Sono trascorsi alcuni mesi dal ritrovamento del corpo straziato di Giulio Regeni ma le indagini sono ancora lontane dal restituire una verità plausibile sulle circostanze che hanno portato alla morte del ricercatore italiano. Nonostante le reiterate dichiarazioni di disponibilità a fornire agli inquirenti italiani piena collaborazione, il Governo e la magistratura egiziani sembrano “muri di gomma” in grado di impedire l’acquisizione di informazioni e prove. Ma non mancano neppure “incertezze” e contraddizioni nell’atteggiamento italiano nei confronti del “partner” egiziano. A dichiarazioni “inflessibili” sembrano alternarsi comportamenti meno lineari.
Continua la sua battaglia con il consueto rigore Amnesty International. Negli ultimi giorni è stato pubblicato il rapporto intitolato Egitto: ‘Tu ufficialmente non esisti’. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo, che rivela una vera e propria tendenza che vede centinaia di studenti, attivisti politici e manifestanti, compresi 14enni, sparire nelle mani dello stato senza lasciare traccia”.
Il caso Regeni, dunque, non rappresenta un’eccezione; molti altri episodi di sparizione forzate illustrati nel Rapporto sembrano testimoniare un vero e proprio modus operandi dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa), finalizzato a terrorizzare gli oppositori e i loro familiari, estorcere presunte “confessioni”, ridurre al silenzio ogni forma di dissenso.
Si legge nell’introduzione: “Negli ultimi diciotto mesi un nuovo modello di violazione dei diritti umani è diventato sempre più evidente in Egitto. Centinaia di attivisti e manifestanti politici, tra cui studenti, bambini e altri, sono stati arbitrariamente arrestati o rapiti dalle loro case o dalle strade e sottoposti a periodi di sparizione forzata da parte di agenti statali. Le persone detenute non hanno accesso né alla famiglia né agli avvocati e vengono detenuti in incommunicado al di fuori di qualsiasi ambito giudiziario. Le Ong locali stimano che in media tre-quattro persone vengono sottoposte ad una sparizione forzata ogni giorno in tutto il paese”. Naturalmente tutto questo avviene nel nome della lotta al terrorismo.
Con la consueta apparente “ingenuità” in un appello Amnesty International chiede al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi
- di “attuare immediate misure per porre fine alle sparizioni forzate, ai maltrattamenti e alle torture”.
- di “istituire una commissione d’indagine indipendente, che conduca indagini su tutte le accuse di sparizioni forzate, maltrattamenti e torture ai danni di detenuti da parte dell’Agenzia per la sicurezza nazionale, delle forze civili e militari di sicurezza, d’intelligence e di ogni altro genere”
- di “avviare un’indagine approfondita e indipendente sull’omicidio del cittadino italiano e studente dell’università di Cambridge Giulio Regeni, a seguito del suo rapimento e delle torture subite, e di assicurare i responsabili alla giustizia”.
Chi volesse può firmare l’appello di Amnesty International alla pagina web.
Di seguito riportiamo in forma integrale la nota di presentazione del Rapporto Egitto: ‘Tu ufficialmente non esisti’. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo.
In Egitto, l’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) si rende responsabile di rapimenti, torture e sparizioni forzate nel tentativo di incutere paura agli oppositori e spazzare via il dissenso pacifico: è quanto ha denunciato oggi Amnesty International in un drammatico nuovo rapporto, che mette in luce una scia senza precedenti di sparizioni forzate dai primi mesi del 2015.
Il rapporto, intitolato “Egitto: ‘Tu ufficialmente non esisti’. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo“, rivela una vera e propria tendenza che vede centinaia di studenti, attivisti politici e manifestanti, compresi 14enni, sparire nelle mani dello stato senza lasciare traccia.
Secondo le organizzazioni non governative locali, la media delle sparizioni forzate è di tre-quattro al giorno. Di solito, agenti dell’Nsa pesantemente armati fanno irruzione nelle abitazioni private, portano via le persone e le trattengono anche per mesi, spesso ammanettate e bendate per l’intero periodo.
“Questo rapporto rivela le scioccanti e spietate tattiche cui le autorità egiziane ricorrono nel tentativo di terrorizzare e ridurre al silenzio manifestanti e dissidenti” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
“Le sparizioni forzate sono diventate uno dei principali strumenti dello stato di polizia in Egitto. Chiunque osi prendere la parola è a rischio. Il contrasto al terrorismo è usato come giustificazione per rapire, interrogare e torturare coloro che intendono sfidare le autorità” – ha aggiunto Luther.
“Le autorità egiziane si ostinano a negare l’esistenza del fenomeno delle sparizioni forzate, ma i casi descritti nel nostro rapporto forniscono ampie prove del contrario. Denunciamo non solo le brutalità cui vanno incontro gli scomparsi ma anche la collusione esistente tra le forze di sicurezza e le autorità giudiziarie, il cui ruolo è quello di mentire per coprire l’operato della sicurezza o non indagare sulle denunce di tortura, e che in questo modo si rendono complici di gravi violazioni dei diritti umani” ha sottolineato Luther.
Sparizioni forzate e tortura
Il rapporto descrive in dettaglio i casi di 17 persone sottoposte a sparizione forzata, detenute illegalmente per periodi varianti da diversi giorni a sette mesi, tagliate fuori dal mondo esterno e private di contatti con avvocati e familiari e di qualsiasi supervisione giudiziaria.
Il rapporto comprende inoltre drammatiche testimonianze delle torture praticate durante sessioni d’interrogatorio che possono durare fino a sette ore, allo scopo di estorcere “confessioni” che verranno poi usate come prova durante gli interrogatori ufficiali davanti al giudice e che condurranno alla condanna. In alcuni casi, sono stati torturati anche dei minorenni.
Uno dei casi più agghiaccianti è quello di Mazen Mohamed Abdallah: sottoposto a sparizione forzata nel settembre 2015, quando aveva 14 anni, è stato ripetutamente violentato con un bastone di legno per estorcergli una falsa “confessione”.
Aser Mohamed, a sua volta 14enne al momento dell’arresto, è stato vittima di sparizione forzata nel gennaio 2016 per 34 giorni, negli uffici dell’Nsa di Città 6 ottobre (nella Grande Cairo). Durante quel periodo è stato picchiato, colpito con scariche elettriche su tutto il corpo e sospeso per gli arti. Alla fine è stato portato di fronte a un procuratore che lo ha minacciato di ulteriori scariche elettriche quando ha provato a ritrattare la “confessione”.
I due 14enni sono tra i cinque minorenni vittime di sparizione forzata per fino a 50 giorni descritti nel rapporto di Amnesty International. Alcuni di loro, anche dopo che ne era stato disposto il rilascio, sono stati sottoposti nuovamente a sparizione forzata prima di venire raggiunti da nuove accuse.
In altri casi, sono stati arrestati i familiari di persone da cui si voleva ottenere una “confessione”. Nel luglio 2015 Atef Farag è stato arrestato insieme al figlio 22enne Yehia. I loro familiari sostengono che Atef è stato arrestato per aver preso parte a un sit-in mentre suo figlio, che è disabile, è stato preso per costringere il padre a “confessare” una serie di gravi reati. Dopo una sparizione forzata durata 159 giorni, padre e figlio sono stati rinviati a processo per appartenenza al gruppo fuorilegge della Fratellanza musulmana.
L’evidente aumento delle sparizioni forzate risale al marzo 2015, ossia alla nomina a ministro dell’Interno di Magdy Abd el-Ghaffar, che in precedenza aveva fatto parte del Servizio per le indagini sulla sicurezza dello stato (Ssi), la famigerata polizia segreta dei tempi di Mubarak, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani: è stata smantellata dopo la rivolta del 2011 ma solo per essere rinominata Nsa.
Nel 2015 Islam Khalil, 26 anni, è stato sottoposto a sparizione forzata per 122 giorni. Tenuto bendato e ammanettato per l’intero periodo, è stato picchiato brutalmente e sottoposto a scariche elettriche anche sui genitali. Una volta, negli uffici dell’Nsa della città di Tanta (a nord del Cairo), è stato tenuto sospeso per i polsi e le caviglie per ore e ore fino a quando ha perso conoscenza.
Una volta, un agente che lo stava interrogando gli ha detto: “Pensi di avere qualche valore? Ti possiamo uccidere, arrotolarti in una coperta e buttarti in una discarica e nessuno chiederà di te”.
In un’altra occasione, un secondo agente lo ha sollecitato a dire le ultime preghiere mentre gli stava somministrando scariche elettriche.
Dopo 60 giorni Islam Khalil è stato trasferito in quello che ha chiamato “l’inferno”, ossia gli uffici dell’Nsa a Lazoughly, dove sono proseguite le torture.
A Lazoughly, a giudizio unanime il peggior centro di detenzione dell’Nsa, si stima si trovino centinaia di detenuti. Questa sede dell’Nsa si trova dentro il ministero dell’Interno, ironicamente a poca distanza da piazza Tahrir, dove cinque anni fa migliaia di persone avevano manifestato contro la tortura e le brutalità delle forze di sicurezza di Mubarak.
La sparizione forzata dello studente italiano Giulio Regeni, trovato morto al Cairo nel febbraio 2016 con segni di tortura, ha attratto l’attenzione dei mezzi d’informazione di ogni parte del mondo. Le autorità egiziane si ostinano a negare qualsiasi coinvolgimento nella sparizione e nell’uccisione di Giulio Regeni, ma il rapporto di Amnesty International rivela le similitudini tra i segni di tortura sul suo corpo e quelli sugli egiziani morti in custodia dello stato. Ciò lascia supporre che la sua morte sia stata solo la punta dell’iceberg e che possa far parte di una più ampia serie di sparizioni forzate ad opera dell’Nsa e di altri servizi d’intelligence in tutto il paese.
Le sparizioni forzate non solo aumentano il rischio di tortura e collocano i detenuti al di fuori della protezione della legge, ma hanno anche un impatto devastante sulle famiglie degli scomparsi, che sono lasciate sole a interrogarsi sul destino dei loro cari.
“Tutto quello che voglio sapere è se mio figlio è vivo o morto” – dichiarava mesi fa Abd el-Moez Mohamed, padre di Karim, uno studente d’Ingegneria di 22 anni scomparso per quattro mesi dopo essere stato rapito nella sua abitazione del Cairo da agenti dell’Nsa pesantemente armati, nell’agosto 2015.
Alcuni familiari hanno denunciato la scomparsa dei loro cari al ministero dell’Interno e alla procura ma nella maggior parte dei casi non sono scattate le indagini. Nelle rare occasioni in cui ciò è accaduto, le indagini sono state chiuse dopo l’ammissione che lo scomparso era nelle mani dell’Nsa anche se questi ha continuato a vedersi negati i contatti con parenti e avvocati.
“Il presidente Abdel Fattah al-Sisi deve ordinare a tutte le agenzie per la sicurezza dello stato di porre fine alle sparizioni forzate e alla tortura e dire chiaramente che chiunque ordinerà o commetterà queste violazioni dei diritti umani, o se ne renderà complice, sarà portato di fronte alla giustizia” – ha affermato Luther.
“Tutte le persone detenute in tali condizioni devono avere accesso a familiari e avvocati e coloro che sono trattenuti solo per aver esercitato in modo pacifico i loro diritti alla libertà di espressione e alla libertà di riunione devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni” – ha aggiunto Luther.
Il rapporto chiede inoltre al presidente al-Sisi di istituire con urgenza una commissione indipendente d’inchiesta che indaghi su tutte le denunce di sparizione forzata e di tortura commesse dall’Nsa o da altre agenzie per la sicurezza dello stato e che abbia il potere di chiamare a deporre tutte le agenzie governative, comprese quelle militari, senza subire interferenze.
Collusione e inganno
Il rapporto di Amnesty International contiene forti accuse nei confronti della procura egiziana, colpevole di accettare prove dubbie ottenute dall’Nsa – che falsifica regolarmente le date d’arresto per nascondere il periodo in cui i detenuti sono sottoposti a sparizione forzata -, di emettere incriminazioni basate su “confessioni” estorte sotto coercizione e di non disporre indagini sulle denunce di tortura, evitando ad esempio di ordinare esami medici e di includerne i risultati negli atti ufficiali.
Nei rari casi in cui la procura autorizza esami medici indipendenti, gli avvocati dei detenuti non possono prendere visione dei risultati.
“Siamo molto critici nei confronti della procura egiziana, che si rende complice di violazioni dei diritti umani e tradisce in modo crudele il dovere, assegnatole dalla legge, di proteggere le persone dalle sparizioni forzate, dagli arresti arbitrari e dalla tortura. Se l’istituto della procura non verrà riformato per garantire la sua indipendenza dal potere esecutivo, ciò sarà fatto di proposito” – ha chiarito Luther.
L’Egitto è considerato da molti paesi occidentali un partner chiave nella lotta al terrorismo a livello regionale e questa è la giustificazione usata per rifornirlo di armi e altro materiale nonostante le prove che tali forniture vengono usate per commettere gravi violazioni dei diritti umani. Molti paesi continuano a tenere strette relazioni diplomatiche, commerciali e di altra natura con l’Egitto senza dare priorità ai diritti umani.
“Tutti gli stati, particolarmente quelli dell’Unione europea e gli Usa, devono usare la loro influenza per spingere l’Egitto a porre fine a queste terribili violazioni dei diritti umani, perpetrate col falso pretesto della sicurezza e del contrasto al terrorismo” – ha sottolineato Luther.
“Invece di proseguire ciecamente a fornire equipaggiamento di sicurezza e di polizia all’Egitto, questi paesi dovranno annullare tutti i trasferimenti di armi e altro materiale che vengono usati per compiere gravi violazioni dei diritti umani fino a quando non saranno poste in essere garanzie efficaci contro il loro uso improprio, non saranno condotte indagini esaurienti e indipendenti sulle violazioni dei diritti umani e i responsabili di queste ultime non saranno portati di fronte alla giustizia” – ha concluso Luther.
Roma, 13 luglio 2016