Restituire il sorriso ai bambini di tutto il mondo attraverso degli interventi che in Italia sono di routine ma che nei Paesi più poveri del mondo presentano innumerevoli difficoltà. E’ questa la missione di Emergenza Sorrisi, un’Organizzazione Non Governativa che si occupa di bambini affetti da labbro leporino, palatoschisi, malformazioni del volto, esiti di ustioni, traumi di guerra, cataratte e altre patologie invalidanti nei Paesi in via di sviluppo. Emergenza Sorrisi unisce 369 medici e infermieri volontari, grazie ai quali vengono realizzate missioni chirurgiche in 17 Paesi nel mondo, dove fino ad ora 3.878 bambini sono stati operati e hanno ritrovato il sorriso. Uno dei pilastri dell’attività di Emergenza Sorrisi è la formazione e l’aggiornamento dei medici e degli infermieri locali. Tutti i progetti di Emergenza Sorrisi nei Paesi del Sud del mondo prevedono infatti un’ampia partecipazione locale: allo stato attuale sono 7 le sedi locali autonome dell’associazione aperte in Benin, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Georgia e Burkina Faso.
Per conoscere meglio l’Organizzazione abbiamo incontrato il presidente di Emergenza Sorrisi, il medico chirurgo Fabio Massimo Abenavoli.
Di seguito il testo dell’intervista-video.
Quando nasce Emergenza Sorrisi?
Emergenza Sorrisi nasce su una storia antica partendo nel 2007 come Smile Train che era un’altra organizzazione collegata a una struttura americana il cui obiettivo principale era trattare i bambini con deformità del labbro e del palato. Dopo il terremoto di Haiti noi siamo andati a operare, come gruppo italiano, in questo contesto. Ci siamo resi conto che le necessità erano tante e che non potevamo focalizzare la nostra attenzione solo su queste patologie. Da lì abbiamo ottenuto il riconoscimento come Organizzazione Non Governativa del Ministero degli Esteri italiano e abbiamo deciso di trasformarci da Smile Train in Emergenza Sorrisi, quindi un’organizzazione sempre a impronta medica ma con una possibilità di azione a 360 gradi. Abbiamo iniziato a concretizzare missioni dedicate al trattamento degli ustionati, a trattamenti ortopedici, oculistici, sempre con prevalenza di un interesse per i bambini con delle patologie che nei loro Paesi non vengono trattate per condizioni di disagio, povertà e mancata preparazione. E quindi i nostri obiettivi sono questi: trattare i bambini, trattare i pazienti con queste patologie, formare i medici, portare il nostro contributo in termini di strumenti, materiali e risorse per consentire ai medici e alle strutture sanitarie di poter lavorare autonomamente e al meglio.
Quali sono ad oggi i Paesi in cui operate?
Noi operiamo in tanti Paesi, ma al di là dell’operare ciò che ci sta dando molte soddisfazioni ed è ciò che fa la differenza è di concretizzare in questi Paesi la stessa tipologia di organizzazione. Per cui noi abbiamo Emergenza Sorrisi Iraq, Benin, Georgia, Congo, Afghanistan, Kurdistan. Il principio è che all’interno di questi Paesi, attraverso la gestione da parte di persone locali come medici, imprenditori, si possa portare avanti questa nostra azione e si possa continuare. L’idea è di non andare sempre negli stessi Paesi, ma di rafforzare l’economia e l’aspetto sanitario e consentire loro poi autonomamente di proseguire.
In che modo si svolge, nel dettaglio, la vostra attività nel corso di un anno?
Noi abbiamo grosso modo una missione medica al mese, per cui i nostri medici, infermieri e volontari, vanno all’interno di queste strutture ospedaliere, operano con i medici locali, e poi abbiamo attraverso le organizzazioni in sede autonome un follow up di questi pazienti. Torniamo una o due volte l’anno e in tutti i casi contribuiamo anche allo sviluppo sociale. Non ci occupiamo, infatti, solo di sanità, ma anche dello sviluppo delle capacità di produzione delle donne, favorendo per esempio un’economia che si realizza con la produzione di abiti che poi portiamo in Italia e in Europa e li vendiamo. Favoriamo lo siluppo di campagne di prevenzione o di campagne di raccolta e riciclaggio di materiali. Facciamo un’azione a 360 gradi. Al di là di questa nostra azione di missione medica in questi Paesi noi continuamente lavoriamo con tutta quella che è un’attività di sviluppo di relazioni per far sì che poi queste nostre organizzazioni possano rapportarsi con imprenditori e autorità locali, rafforziamo questa loro azione attraverso lo sviluppo di contatti, di promozione, di informazioni e favoriamo quelle che sono le loro necessità con contributi, materiali, informazioni, insomma con tutto ciò che possa rafforzarli.
Quali sono i numeri registrati dalla vostra Organizzazione finora?
Ad oggi noi abbiamo operato circa 3.800/3.900 bambini, quindi sono numeri importanti in termini di chirurgia, ma ancora più importante è che abbiamo consentito ai nostri medici in Afghanistan, in Iraq, in Kurdistan, in Congo, di lavorare giorno dopo giorno su queste problematiche e questo ci da numeri incredibili. Le faccio solo un esempio: in Afghanistan un medico che inizialmente operava 10 casi l’anno, oggi opera 1200/1300 casi ogni anno. Lo stesso in Iraq, siamo tornati da 10 giorni da una missione a Nassiriya, dove quest’anno è la terza volta che siamo presenti. Abbiamo iniziato anche un programma di sviluppo di quelle che sono le patologie urologiche nei bambini, quindi ipospadia, epispadia, abbiamo portato un’equipe di urologhi in questo contesto, e i medici locali stanno già lavorando, per cui al di là dei bambini che abbiamo operato, noi sappiamo che verranno operati molti bambini e che molte famiglie troveranno un’assistenza adeguata.
Quali sono le principali difficoltà che riscontrate nell’operare in luoghi così difficili del mondo?
Diciamo che il pericolo è in parte quello che ci viene trasmesso. Per cui prima di andare in questi Paesi ci dicono “attenzione è pericoloso”. Lo stesso Ministero degli Esteri, in qualche modo legittimamente, ci mette sull’avviso e vorrebbe limitare questa nostra azione. Ma noi andiamo con estremo entusiasmo e disponibilità dei medici e delle autorità locali, e questo ci dà la giusta tranquillità. La vera preoccupazione, specialmente quando andiamo in posti nuovi, è di non trovare un supporto locale, cioè dei medici che partecipino attivamente, dei ministeri che siano interessati al nostro contributo, perché quello sarebbe per noi un fallimento. L’importante, ripeto, è andare e trovare una disponibilità dei medici, farli lavorare con noi, trovare dei ministeri, anche quello della cultura, della promozione sociale, che siano interessati a queste tematiche e possano supportarci perché ovviamente le nostre sono missioni che si realizzano in dieci giorni. Per prepararle ci vogliono mesi e per continuare questo rapporto ci vogliono altri mesi. Però all’interno di questi 10 giorni noi dobbiamo essere molto operativi, per cui se non troviamo un supporto important,e perdiamo quelle che sono le nostre attività e i nostri impegni.
Tante difficoltà ma sicuramente tante soddisfazioni, c’è un episodio particolare che ricorda con maggiore commozione?
Tantissime soddisfazioni, le dico l’ultima. Siamo stati a Nassiriya nel periodo del Ramadan, quindi in pieno periodo importante dal punto di vista religioso per loro. E siamo stati invitati dentro la loro Moschea. Da stranieri, cristiani cattolici, essere stati invitati è stata una manifestazione di grande disponibilità, per noi un grandissimo privilegio, per loro una testimonianza di affetto e di riconoscenza. Per cui un momento davvero emozionante.
La vostra Organizzazione si avvale di tanti testimonial, anche famosi, ma i veri testimonial sono poi effettivamente i bambini che voi avete aiutato.
Assolutamente. I testimonial sono i bambini. Noi facciamo vedere i nostri risultati, il pre e post operatorio. Facciamo vedere i Paesi dove andiamo, le immagini dei nostri medici che lavorano, e questo è il nostro testimonial principale. Poi devo dire che i nostri medici e infermieri che quando partono decidono poi sempre di ritornarci. Inondano facebook di immagini e di messaggi e sono sempre i primi a prenotarsi per la prossima missione E poi abbiamo degli attori, dei giornalisti importanti, che mettono la loro faccia su questa nostra azione, che conoscono ciò che facciamo, che conoscono personalmente la trasparenza dei nostri bilanci e del nostro impegno, e quindi si mettono in gioco per noi.
Il motore principale di un’Organizzazione di questo genere è la solidarietà di tante persone. Quanto è importante questo tipo di attività e quanto è importante la sinergia attivata con l’Istituto Italiano della Donazione?
Diciamo che gli italiani sono molto generosi e in momenti di crisi come questo ancor di più io ritengo che questa generosità vada premiata con la trasparenza e con l’efficacia e l’efficienza di un’organizzazione. Noi siamo un’Organizzazione non Governativa dove i medici e gli infermieri lavorano gratuitamente, tutti i contributi ricevuti vanno per le nostre missioni, per l’acquisto dei farmaci e degli spostamenti aerei quando non riusciamo a ottenerli gratuitamente. Quindi massima trasparenza che è sostenuta dall’Istituto Italiano della Donazione che è un organo che, con molta soddisfazione per me, ci controlla con attenzione i bilanci, verifica la nostra azione e l’efficacia del nostro messaggio, come noi ci comportiamo, come noi trattiamo i nostri collaboratori, come noi riusciano a realizzare le nostre campagne sms di informazione. L’efficacia ma anche l’eticità che è quello che fa la differenza in un momento in cui sembra che l’economia sia l’elemento prevalente.
Un’ultima domanda. Qual è, secondo lei, l’elemento più importante per il raggiungimento della felicità pubblica?
Io dico questo: per me la cosa più importante è che la mattina mi possa guardare allo specchio e possa essere, non dico soddisfatto, ma almeno non abbia delle rescriminazioni nel mio agire. E questo è quello che guida, o almeno dovrebbe guidare, l’agire delle persone. Quando uno si sente in pace con se stesso per quello che fa e per quello che è, è in pace con gli altri . In un momento di crisi, di difficoltà etiche e di difficoltà nei rapporti tra le persone, se uno veramente avesse questa disponibilità a riconoscere che il proprio comportamento è importante per affrontare anche un atteggiamento negativo di un’altra persona, e che le tematiche, i concetti e i principi sono compatibili, se non addirittura soprapponibili, anche al di là dell’aspetto economico e religioso, questo sicuramente porterebbe a una pace sociale. La pace sociale promuove lo sviluppo, lo sviluppo promuove la fratellanza, e quindi torniamo a questo rapporto tra le persone civili, Un rapporto non dico felice ma almeno soddisfacente per tutti.