Il tema delle aree interne da sempre occupa il dibattito politico e appassiona gli esperti di sviluppo locale. Purtroppo alle affermazioni di principio quasi mai ha fatto riscontro un impegno autentica da parte dei decisori politici e istituzionali. Ma nel vasto capitolo delle aree interne ancora minore attenzione è stata dedicata alla montagna. Difficile far intendere che la montagna non è questione marginale, di interesse di pochi residenti e di qualche escursionista. Ancor più difficile far comprendere che misurarsi con le aree montane significa fare i conti radicalmente con modelli di sostenibilità non solo ambientale ma anche sociale, con politiche di sviluppo “leggere”, calibrate sulle reali vocazioni territoriali e sulle scelte delle comunità locali.
Tuttavia questa prima quindicina di luglio registra due importanti notizie per chi ha a cuore questi temi. La prima riguarda la nomina dell’Onorevole Enrico Borghi a consigliere speciale del sottosegretario Claudio De Vincenti, con funzioni di coordinamento in fase attuativa della Strategia Nazionale delle Aree Interne. Borghi è presidente dell’UNCEM – “Il sindacato della montagna” -, Parlamentare del Partito Democratico, Sindaco di Vogogna (Verbanio Cusio Ossola) e Presidente della Fondazione Montagne Italia. Sarà dunque l’onorevole Borghi responsabile del coordinamento operativo della Strategia per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in stretta collaborazione con il Dipartimento per le politiche di coesione.
La seconda notizia riguarda l’imminente presentazione del 2° Rapporto Montagne Italia a cura di Fondazione Montagne Italia “uno strumento per orientare le politiche pubbliche, l’uso dei fondi strutturali europei e l’assetto degli enti locali nei prossimi anni”.
L’iniziativa è programmata per il 18 luglio prossimo alle ore 15.00 presso l’Auletta dei Gruppi della Camera dei Deputati – Palazzo dei Gruppi – Via Uffici del Vicario 21. Interverranno l’On. Enrico Borghi (Presidente Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della Montagna), Giampiero Lupatelli (Fondazione Montagne Italia), Luca Lo Bianco (Direttore Scientifico Fondazione Montagne Italia), Fabio Piacenti (Fondazione Montagne Italia).
In attesa di poter analizzare i contenuti del secondo Rapporto proponiamo ai lettori di Felicità Pubblica due abstract di presentazione del Rapporto Montagne Italia 2015, rinviando la consultazione del testo integrale al link.
Come sostiene Luca Lo Bianco “il progetto di questo Rapporto muove dalla convinzione che la montagna non rappresenti una delle criticità che l’Italia deve affrontare. Al contrario una risorsa alla quale attingere e sulla quale impostare il lavoro di rigenerazione del nostro Paese verso un’economia leggera che faccia della sostenibilità il principio fondante delle politiche e in particolare delle politiche di sviluppo. Senza il contributo delle are interne e di quelle montane questa prospettiva è preclusa”.
Abstract: L’immagine della montagna italiana
I molteplici processi di evoluzione che hanno interessato la società, le economie, la cultura e le istituzioni del Paese hanno attraversato il territorio montano con qualche tratto di uniformità rispetto agli altri territori che contraddistinguono la geografia fisica italiana ma con ancor più numerosi caratteri di diversificazione legati ai diversi contesti macro regionali (la faglia nord sud che sembra riproporsi in primo piano in molte delle dinamiche recenti), alle specifiche condizioni istituzionali (le regioni e le province autonome della montagna), alla puntuale dotazione di asset, tangibili e intangibili, che caratterizzano specifici contesti locali, anche molto circoscritti.
Diversità che disegnano articolazioni e differenze che è difficile comporre entro una immagine dai tratti ben definiti. Naturalmente l’esplorazione del particolare, la consapevolezza della necessaria multidimensionalità degli approcci, non può limitarsi alla enumerazione dei casi ma deve sapersi fare racconto, provare a costruire visioni, per quanto parziali, che strutturino identità riconoscibili.
Si propone quindi ai lettori una sintesi in dieci immagini tematiche della montagna italiana. Ciascuna di esse è una immagine doppia, per cogliere l’intima dialettica del cambiamento che attraversa i territori ed anche il chiaro-scuro dei processi, la loro irriducibile ambiguità.
Partiamo allora dall’immagine di una montagna che ritorna a crescere [TAV. A.2.1] nella sua compagine demografica dopo lunghi e certamente non uniformi periodi di declino. Cresce anche in funzione della sua (diversa) capacità di accogliere ed ospitare i nuovi flussi della migrazione di lungo raggio, sino a fare degli stranieri una componente rilevante delle forze di lavoro montane [TAV. A.2.2]
Anche per effetto di questi nuovi tratti della demografia del nuovo secolo la montagna italiana mostra oggi una connotazione meno periferica del passato e ne è buona prova la forte crescita dell’accessibilità del territorio [TAV. B.1.3] ma la maggiore centralità non riduce (o non riduce abbastanza) la dipendenza che il territorio montano mostra nei confronti delle realtà costiere e di pianura per come è registrato dai flussi pendolari motivati da ragioni di studio e di lavoro [TAV. B.1.6]
E la ragione è, forse, che la montagna, ancor più di quanto non sia penalizzata in termini di reddito, è discriminata nella dotazione di servizi [TAV. B.3.1] senza che le opzioni offerte dalle nuove tecnologie ICT possano ancora esercitarsi con efficacia in condizioni di diffusione della banda larga decisamente inadeguate anche con riferimento ai livelli prestazionali più modesti [TAV. B.2.1] per non parlare di quelli adeguati a sostenere processi più sofisticati e innovativi di erogazione di servizi a distanza.
Nei suoi caratteri economici, una montagna sempre meno basata sulle funzioni primarie dell’agricoltura segue però con buon ritmo i processi di specializzazione e innovazione dell’agricoltura che puntano ad esempio sul biologico [TAV. C.1.5] soprattutto al centro e al sud, e sulla multifunzionalità [TAV. C.1.7], soprattutto al nord, nell’arco alpino.
Sul fronte delle attività turistiche una montagna sicuramente vocata e specializzata – ma ancora distante da una cospicua capacità attrattiva della domanda – segna performance positive nella diffusione dei nuovi turismi: per tutti il turismo rurale degli agriturismi e dei B&B [TAV. C.2.2] ma registra anche il peso di una tradizione di seconde case (sempre più un problema piuttosto che una opportunità) uniformemente diffuse sull’intero territorio nazionale con l’eccezione quanto mai significativa del contesto – istituzionale e culturale – dell’Alto Adige [TAV. C.2.4].
È anche una montagna che punta con decisione sulla nuova stagione dell’energia, come testimonia la massiccia adesione al Patto dei Sindaci [TAV. C.3.1], potendo contare su una dotazione di risorse naturali locali che le nuove tecnologie degli alti rendimenti e del km zero possono fornire alle popolazioni montane [TAV. C.3.3] in una condizione di elevata sostenibilità.
Dinamiche economiche importanti, nel segno dell’innovazione e della mobilitazione delle risorse locali che registrano comunque il permanere di importanti esigenze di innovazione e di sviluppo dei sistemi locali della montagna, al sud in modo assai più marcato che al centro e al nord, dove permangono tuttavia limitate condizioni di grave criticità [TAV. C.4.4] che le recenti (ma largamente precedenti gli anni della crisi) dinamiche della produzione (e della redistribuzione) del reddito non sono certo state in grado di colmare nonostante il permanere di processi redistributivi del circuito di finanza pubblica che hanno paradossalmente penalizzato maggiormente (in termini relativi) le aree più sviluppate e competitive del Paese [TAV. C.4.6].
Se un tratto segnala con maggiore evidenza le criticità antiche che segnano il contesto montano e lo collocano però al centro delle preoccupazioni (e, si spera, anche delle attenzioni) del Paese, è quello dell’immane deficit di manutenzione che le incredibili dimensioni dell’abbandono del presidio agricolo del territorio hanno determinato nel corso dell’ultimo mezzo secolo [TAV. D.1.1]
Un deficit che le risorse (umane, organizzative, economiche) dei sistemi locali non sono assai spesso in grado di fronteggiare, rendendo evidente l’urgenza di una nuova azione di respiro nazionale sui temi della manutenzione territoriale [TAV. D.1.6]. Perché prevenire è meno costoso che riparare…
I sistemi locali della montagna esprimono istanze di rafforzamento e rinnovamento della governance locale assai significative anche se ancora asimmetriche nella propria diffusione, istanze che puntano alle Unioni [TAV. A.3.4] per rispondere agli impulsi della riforma istituzionale ma anche per cercare di cogliere, con migliore organizzazione, nuovi traguardi di sviluppo che trovano alimento anche nell’associazionismo “tematico” che si muove nelle “reti lunghe” delle “associazioni di identità” che trovano in res tipica la loro vetrina.
Problemi di governance che sono centrali nella prossima stagione di programmazione comunitaria (che, con qualche ritardo, dovrebbe già essere in avvio), sia che ci si muova sui canali “più sperimentati” delle politiche di sviluppo rurale e dei GAL, da rafforzare comunque nella loro efficacia che ha mostrato sin qui divaricazioni decisamente troppo ampie sia che ci si inoltri con ottimismo e coraggio nella nuova direzione della Strategia Nazionale delle Aree Interne, sperimentando nelle aree pilota nuovi modelli di cooperazione tra dimensione locale e nazionale delle politiche, tra attenzione ai progetti di sviluppo locale e diffusione dei servizi di cittadinanza, tra politiche ordinarie e straordinarie; modelli che dovrebbero saper trovare, in tempi non troppo remoti, diffusione in tutto l’arco delle aree interne e montane.
Abbiamo pensato di evidenziare queste dieci rappresentazioni tematiche dal più ampio panorama proposto da questo primo rapporto per distillarne il contributo più efficace alla comprensione del cambiamento in corso e alla immaginazione di traiettorie desiderabili e possibili per la sua evoluzione.
Ugo Baldini Presidente CAIRE Urbanistica
Abstract: Le voci della montagna
La “voce” dei Comuni montani (situazione, punti di forza, criticità, aspettative) è stata raccolta attraverso la somministrazione di un ampio questionario ad un campione di 440 Sindaci, rappresentativo dell’universo di riferimento, stratificato per regione e dimensione demografica (errore campionario 4,4% ad un livello di fiducia del 95%), previo contatto con tutti i Sindaci dei 3.516 Comuni “totalmente montani” censiti dall’Istat (il 43,7% dei Comuni italiani). La rilevazione ha coperto tutte le regioni italiane e ben 80 province.
La distribuzione del campione per area geografica evidenzia una prevalenza di comuni a Nord (54,5%), seguiti da quelli del Sud (32,5%) e del Centro (13%), mentre in termini dimensionali prevalgono i comuni con una popolazione fino a 1.000 abitanti (42,5%), seguiti da quelli della fascia 1.001-2.000 abitanti (27%), dalla fascia 2.001- 5.000 (19,3%) e da un più ridotto numero di comuni con più di 5.000 abitanti (11,2%).
I Sindaci ritengono che la montagna rappresenti ancora uno spazio capace di garantire una qualità della vita elevata per i propri cittadini (55% delle indicazioni), anche in presenza del permanere di una forte identità montana, radicata soprattutto nel forte legame con la natura e con il territorio (75,6% delle citazioni). Il 58,5% dei Sindaci evidenzia tuttavia che negli ultimi 3 anni la qualità della vita nei comuni montani sia diminuita, principalmente per ragioni di carattere economico-occupazionale (93,2% delle citazioni).
Sotto il profilo economico, la prevalenza di piccoli comuni spiega la forte dipendenza dei comuni montani dai territori circostanti, visto che soltanto nel 43% dei casi la produzione del reddito avviene principalmente all’interno del comune stesso (64,4% nei comuni con oltre 5 mila abitanti); in questo caso si tratta peraltro spesso di redditi da prestazioni pensionistiche. Interessante, al riguardo, il tema della “marginalità territoriale”, visto che livello di interconnessione con il Capoluogo di Provincia o di Regione (registrato dal 12,1% del campione) risulta meno stretto di quello con i comuni della prima e seconda fascia (rilevato nel 44,9% dei casi). In ogni caso prevale trasversalmente l’indicazione di un’economia in flessione (57,8% delle indicazioni), e in particolare nei comuni con oltre 5.000 abitanti (69,4%), più esposti alle dinamiche di natura esogena.
Altissima la convergenza tra le valutazioni dei Sindaci intervistati in relazione ai punti di forza dell’economia dei comuni montani, indicati nel patrimonio naturale (87,3%) e nella qualità ambientale (75,8%), con indicazioni ancora superiori nei piccolissimi comuni.
Sul fronte opposto, sono tre le maggiori criticità per l’economia e lo sviluppo dei comuni montani: la scarsa accessibilità/dotazione di infrastrutture (49,3%), cui seguono il rischio idrogeologico (43,2%) e la struttura demografica (40,7%).
Coerentemente alla criticità sul fronte delle infrastrutture rilevata da circa la metà dei Sindaci, a registrare le più severe bocciature sono proprio le infrastrutture viarie: i collegamenti ferroviari (cui è attribuito un voto “scolastico” pari a 3/10), i collegamenti stradali (4,8) e i trasporti pubblici (4,9). Bocciate anche le strutture culturali (voto: 4,6), la banda larga (voto: 4,8), le strutture sanitarie (5,1) e le strutture commerciali (5,4).
Al Sud, nei comuni di alta montagna e nei piccoli comuni si registrano le maggiori criticità. Sul fronte opposto, un generale livello di soddisfazione sembra riguardare soprattutto gli allacciamenti e le reti (promosse con un voto pari a 7), le strutture scolastiche (6,8), i servizi socio-assistenziali e gli impianti sportivi (6,4) e i servizi postali/bancari (6,1).
Sul fronte dei bisogni formativi, soltanto per l’1,7% dei Sindaci intervistati le competenze di cui dispone il personale della propria Amministrazione non richiederebbero alcun rafforzamento o aggiornamento, mentre gli ambiti maggiormente citati sono la progettazione europea (su cui il 63,4% dei Sindaci riterrebbe utile un rafforzamento delle competenze), la gestione/acquisizione dei finanziamenti (42,6%) e il marketing territoriale (28,4%).
L’agricoltura (34,3% delle indicazioni, che salgono al 53,2% tra i comuni montani del Sud) e il turismo (24,5%) rappresentano le vocazioni “naturali” di questi comuni, con evidenti opportunità di avviare positive sinergie tra i due settori; in particolare soltanto il 13% dei Sindaci dei intervistati definisce “non turistico” il proprio comune, mentre negli altri casi il comune si caratterizza per un turismo prevalentemente estivo (33,9%), a doppia stagionalità (20,8%) o culturale (14,5%).
Di particolare interesse appare il rapporto tra comuni montani ed energia, visto che nel 64% di quelli intervistati si realizza una produzione di energia, che nel 21,2% dei comuni “produttori” risulterebbe adeguata o superiore al fabbisogno energetico del territorio, con punte ancora superiori nei comuni di alta montagna (29%). Elemento centrale di tale produzione energetica è la sua derivazione da fonti rinnovabili (che rappresenta il 75%, contro il 25% costituito dalle fonti fossili).
Il tema della governance locale, dei modelli e delle strategie associative costituisce una costante preoccupazione tra i sindaci intervistati, che segnalano l’appartenenza del proprio comune a diversi “sistemi di riferimento locale” e strutture associative (soltanto l’1,7% dei comuni, a detta del proprio sindaco, non aderisce ad alcuna struttura territoriale); la quasi totalità dei comuni appartiene infatti ad una comunità montana e/o ad una unione dei comuni, mentre il 67% aderisce ad un Gal.
Diversificate anche le occasioni di collaborazione che trovano quali interlocutori principali la regione (63,4%), gli altri comuni (62,3%) e la provincia (52,5%).
La presenza di referenti sul territorio costituisce un fattore strategico per i comuni montani; coerentemente una forte maggioranza dei sindaci intervistati (il 69,1%) giudica negativamente il ridimensionamento di ruolo della Provincia derivante dal suo passaggio ad ente di secondo livello, mentre soltanto il 7,9% dei comuni ritiene positivo un suo ridimensionamento (che scende al valore minimo di 6,5% tra i più piccoli comuni).
I maggiori timori sugli effetti negativi del ridimensionamento della Provincia riguardano la viabilità/mobilità (75,5%) e, con ampio scarto, la rappresentanza politica (36,6%).
Il 54,3% dei comuni denuncia una significativa riduzione delle entrate comunali (diminuite mediamente del 16,5%). Tale riduzione interessa soprattutto i piccoli comuni, mentre la situazione appare meno critica in quelli con oltre 5 mila abitanti (che hanno registrato una flessione nel 37,2% dei casi).
La diminuzione rilevata è dovuta provocata soprattutto alla riduzione dei trasferimenti dello Stato (segnalata nel 97,1% dei casi), mentre le altre voci del bilancio comunale (multe, altre entrate extratributarie, l’ICI e l’IMU e i Tributi) sono perlopiù rimaste stabili o aumentate. Maggiori capacità “compensative” si registrano nei comuni di maggiori dimensioni demografiche, che hanno potuto bilanciare la flessione dei trasferimenti aumentando soprattutto multe, ICI e IMU.
Coerentemente alle criticità rilevate, ben il 90,5% dei Sindaci ha dovuto realizzare tagli ai servizi (che hanno interessato soprattutto il funzionamento del comune, le attività ricreative e culturali e lo sport), riuscendo a effettuare investimenti/ stanziamenti in un ben più contenuto 56,1% dei casi.
Per rispondere adeguatamente alle proprie esigenze, il 92,7% chiede quindi maggiori risorse (in media il 37,3% in più, che sale al 43,2% in più nei piccolissimi comuni).
Le interviste in profondità
La terza azione di ricerca contenuta nel Rapporto sulla Montagna in Italia è stata costituita da una indagine qualitativa che ha raccolto, per questa prima edizione, un panel di interlocutori di alto profilo Istituzionale o scientifico, espressione delle Istituzioni Locali e del mondo dell’Università e della ricerca, capaci di rappresentare le “voci della montagna”, ovvero di leggerne la situazione, le problematiche e le potenzialità, di declinarne il piano dei bisogni e di indicare le condizioni necessarie alla loro veicolazione e valorizzazione. Attraverso tale azione di ricerca si è cercato di impostare una riflessione sul ruolo attuale e sulle prospettive di valorizzazione del potenziale rappresentato dai territori montani nel “sistema-Italia” e, più in dettaglio, nello sviluppo economico, energetico, turistico, naturalistico e ambientale del Paese.
Le questioni oggetto di analisi, trasversalmente affrontate anche nell’analisi di scenario e nelle interviste ai Sindaci, hanno riguardato in primo luogo il ruolo attuale e le direttrici necessarie alla valorizzazione dei territori montani, accanto ad una riflessione sui presupposti legislativi e organizzativi più idonei a valorizzare il contributo dei territori montani, conservandone la specificità e tutelandone la sostenibilità e la qualità ambientale.
Più in particolare, i diversi temi oggetto di analisi hanno riguardato:
- l’impatto dei diversi modelli di governo sui territori montani;
- la nascita delle Unioni Montane dei Comuni quale opportunità reale per il territorio;
- il ruolo dei Gruppi di Azione Locale per lo sviluppo della montagna;
- i punti di forza e le criticità dell’attuale classificazione dei comuni montani;
- il ruolo attuale e le prospettive di valorizzazione del potenziale dei territori montani nel sistema-Italia nei diversi ambiti di sviluppo (economico, energetico, turistico, naturalistico e ambientale);
- le opportunità e i criteri per la remunerazione dei servizi ecosistemici;
- le problematiche e i bisogni dei comuni montani;
- la conoscenza da parte degli interlocutori di buone prassi, modelli o esperienze virtuose adottate (a livello nazionale o europeo) dai comuni montani per rilanciare il territorio.
Considerando l’ampia articolazione dei temi oggetto di analisi, è possibile sintetizzare come segue le principali risultanze che hanno raccolto una piena convergenza da parte degli esperti intervistati:
- Il modello federalista è considerato il più adatto per governare i territori montani (esperienze positive delle Regioni a statuto speciale e delle Nazioni confinanti come Svizzera, Austria e Germania) rispetto a un modello “centralista” tradizionalmente più distante da tali realtà.
- Per individuare strategie e risposte adeguate alle effettive esigenze dei territori montani è necessario focalizzare/finalizzare il campo dell’azione politica e degli interventi legislativi alla sola montanità, per non “appiattirle” all’interno di disegni di carattere più generale.
- Positivo, in generale, il passaggio dalle Comunità montane alle Unioni di Comuni, ferme restando le preoccupazioni per le modalità ed i dettagli in cui tale passaggio dovrà avvenire. In ogni caso tutti concordano nel riconoscere all’Associazionismo tra i Comuni un ruolo importante, se non decisivo, per valorizzare i territori montani.
- All’interno di tale contesto, i GAL divengono attori fondamentali per promuovere e rilanciare la montagna italiana; centrale, tuttavia, la qualità e la professionalità delle risorse umane che li guidano, per evitare la dispersione delle poche risorse finanziarie disponibili, oltre che duplicazioni, sovrapposizioni e perdita di efficacia.
- È necessario introdurre sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici che porterebbe una ulteriore possibilità di sviluppo per i territori montani. Due i problemi principali: individuare i servizi interessati e definire i giusti criteri di remunerazione da applicare.
- Il turismo è un fattore chiave per rilanciare e per consolidare l’economia della montagna italiana, con particolare riferimento ai “turismi alternativi” (cicloturismo).
- La principale criticità per i comuni montani è l’assenza o insufficienza dei servizi essenziali (scuola, cultura, tempo libero), oltre alla scarsa accessibilità degli stessi, legata anche ad infrastrutture obsolete o spesso assenti. In tale contesto la Banda larga risulta fondamentale per la costruzione di nuove opportunità per l’economia e la qualità della vita territorio collegandosi direttamente anche ad altri fattori di crescita (turistico o imprenditoriale).
- Qualità e formazione del capitale umano, di primaria importanza per lo sviluppo, risultano spesso carenti, pregiudicando le possibilità di rilancio dei territori stessi.
Fabio Piacenti Presidente EURES