È proprio vero, a volte allontanarsi dalla politica attiva, sempre immersa nella gestione e nella mediazione, aiuta a recuperare visione strategica e pensiero “radicale”. Se poi la nuova attività consiste nella formazione politica dei giovani, l’esigenza di rimboccarsi le maniche, “guardare avanti” e costruire speranze diventa del tutto naturale.
Questo è il percorso che Enrico Letta – presidente del Consiglio nel 2013/2014, più volte ministro e parlamentare europeo – racconta nel suo ultimo libro Contro venti e maree. Idee sull’Europa e sull’Italia, conversazione con Sébastien Maillard, pubblicato da Il Mulino nei primi mesi dell’anno in corso.
Siamo abituati a conoscere Enrico Letta, fin dal suo esordio in giovanissima età, come un politico intelligente, misurato, affidabile, prudente. All’indomani della conclusione traumatica dell’esperienza di governo, Letta si dedica all’Università assumendo l’incarico di professore a Parigi a Sciences-Po (Institut d’Etudes politiques de Paris). Qualche mese dopo stupisce tutti con una scelta inedita nel panorama politico italiano: le dimissioni dalla Camera dei Deputati per intensificare l’impegno nella ricerca e nell’insegnamento. E così, in rapida successione, ad aprile 2015 fonda la Scuola di Politiche intitolata a Beniamino Andreatta, a settembre 2015 assume la direzione della Paris School of International Affairs dell’Università SciencesPo a Parigi e, infine, a luglio 2016 diventa Presidente del “Jacques Delors Institut – Notre Europe“, centro di ricerca fondato dall’ex Presidente della Commissione Europea Jacques Delors, con sedi a Parigi e Berlino.
Ma veniamo a Contro venti e maree: una breve introduzione che ripercorre gli ultimi due anni di lavoro di Letta, dodici capitoli e una conclusione, articolati in poco meno di cento domande e risposte.
Il tema è l’Europa e il suo destino, “all’alba di due mattine che, con il Brexit e Trump, hanno cambiato la nostra storia”. Riuscirà l’Europa a “diventare adulta”? La risposta di Letta è chiarissima: “L’Europa ha un grande futuro, non è solo il passato. E l’Europa è l’unico orizzonte di integrazione e di futuro per il quale battersi. Ma la prospettiva di successo non può essere ‘questa’ Europa”. Tutta la riflessione scorre tra questi due polarità: l’assoluto bisogno di Europa e l’altrettanto assoluta inadeguatezza di questa Europa.
Si tratta di una sfida i cui esiti non sono affatto scontati. Una sfida che attraversa ognuna delle 150 pagine del volume. “Ma pensare che possa essere vincente un’Europa così è un errore. L’Europa è stata vincente quando era incarnata in progetti e persone che si misuravano all’ispirazione al meglio e non erano presenti come alternativa al peggio. Oggi stiamo scoprendo che l’Unione Europea è di nuovo mortale. E stiamo scoprendo che fuori dall’Europa sono in tanti a volerla indebolita se non addirittura morente. È tempo che il pensiero critico si unisca alle passioni in una grande battaglia di idee e di valori. Perché non sosterremo l’Europa per una scelta obbligata, ma pensando ai nostri figli e al loro futuro”.
Se questa è la conclusione lungo la riflessione di Letta ci si imbatte in analisi tutt’altro che scontate. Come nel caso dei riflessi sull’Europa della questione mediorientale e di quella nordafricana. “Le guerre scatenate in Iraq e in Afghanistan, la guerra civile in Siria e quella in Libia nascono tutte da grandi errori occidentali. Sono il risultato di una volontà politica che deriva dalle elezioni presidenziali americane del 2000”. Oppure, cambiando del tutto argomento, nell’interpretazione degli squilibri territoriali in Italia. “Sono stupefatto di come in Italia la questione della doppia velocità tra Nord e Sud sia ormai da tempo uscita dai radar. Si potrebbe dire che Bossi ha vinto vent’anni dopo. Si parla di Sud sempre più come di una zavorra inutile e ineluttabile. ‘Col Sud non c’è niente da fare’ pare essere ormai il mantra ricorrente”.
Particolarmente convincente la riflessione sui valori europei, laddove Letta ricorda che i diritti umani, la democrazia, la parità tra uomini e donne, i diritti e le libertà degli omosessuali, la protezione dell’ambiente e del patrimonio, il diritto del lavoro, la laicità costituiscono l’identità dell’Europa. Valori che siamo abituati a dare per scontati ma che, in un’ottica globale, rappresentano ancora “eccezioni” che fanno dell’Europa un’esperienza unica e di riferimento per tanti altri Paesi.
Altrettanto importante la riflessione sui migranti. Innanzitutto Letta rivendica il merito dell’operazione “Mare Nostrum”, operazione militare e umanitaria, nata in assenza di un’iniziativa europea, che “permise di salvare innumerevoli vite umane ed evitò al Mediterraneo di diventare un ‘Mare Mortuum’, secondo la macabra definizione di un manifesto apparso in quei drammatici giorni”. Successivamente suggerisce “cinque piste” di lavoro: in primo luogo, “prevenire le crisi nei Paesi d’origine dei flussi migratori”; in secondo luogo, “affrontare la scarsa armonizzazione delle politiche di accoglienza tra i vari Paesi europei”; in terzo luogo, “cambiare le regole europee che costringono il migrante a presentare la domanda d’asilo nel paese attraverso cui è entrato in Europa”; in quarto luogo, “una politica di ricollocazione dei profughi gestita in maniera congiunta”; e, infine, rendere “sicure le frontiere esterne dell’Unione europea”.
In definitiva Letta cerca, in modo originale, di squarciare il velo di ipocrisia di cui si ammantano le classi dirigenti dei diversi Paesi europei utilizzando la generica categoria di populismo per “evitare che i loro errori siano evidenziati e le loro responsabilità rese visibili e sanzionate”. Il vero problema consiste nell’affermazione di leader inadeguati, che “si acconciano a ottenere i loro piccoli o grandi vantaggi personali rinunciando a esprimere le proprie convinzioni”, in “partiti adulterati, resi scatole vuote, nelle quali, con giochi di specchi, trucchi e soperchierie, il fregare gli altri membri della comunità sembra un valore”.
Parole dure che hanno l’amaro sapore della verità e che aiutano davvero a ricostruire una prospettiva nella quale ci sia spazio anche, e soprattutto, per il futuro dell’Europa.