In occasione della Festa della Mamma, Save the Children ha presentato il suo nuovo rapporto “Le Equilibriste – Da scommessa a investimento: maternità in Italia. Rapporto Mamme 2016”. Qualche giorno fa abbiamo preso in esame i dati sulla condizione di vita e di lavoro delle madri italiane che emergono da questa indagine (leggi l’articolo).
Oggi vorremmo soffermarci su alcuni quesiti che nel Rapporto vengono proposti nell’introduzione. “Le donne italiane dedicano al lavoro familiare più ore di tutte le altre donne in Europa, tra queste, le madri sono chiaramente le più impegnate. È giusto? È quello che vogliono le donne? Conviene al sistema? È possibile redistribuire il lavoro di cura in un’ottica di maggiore condivisione delle responsabilità genitoriali? È auspicabile un maggiore intervento dello Stato? Come si riflette questo svantaggio delle madri nella crescita dei loro figli e delle loro figlie?”.
Naturalmente fornire risposte non è affatto semplice ma nel capitolo finale del Rapporto, dal titolo “Conclusioni e raccomandazioni”, emergono argomentazioni e suggerimenti che meritano un’attenta riflessione.
Per consultare il testo integrale del Rapporto andare sul link.
Da questa analisi sintetica sulla condizione delle mamme in Italia emerge un quadro d’insieme che può essere letto con un duplice approccio.
Da un lato occorre infatti sottolineare la persistente complessità dell’essere madri oggi in Italia: un carico di lavoro, sia familiare che retribuito, che mette a dura prova le loro capacità di resistenza e ne mina certamente le possibilità di crescita personale. Le statistiche evidenziano infatti l’elevato carico del lavoro di cura che le mamme in Italia svolgono e sostengono ogni giorno, ed il conseguente costo in termini non solo umani ma anche professionali ed economici. I dati ci confermano infatti che essere madri in Italia rappresenta oggi una condizione inequivocabile di svantaggio sociale, professionale ed economico, che penalizza le loro capacità di crescita sotto ogni punto di vista. La responsabilità della cura delle persone, soprattutto bambini e anziani, viene infatti sostenuta prevalentemente dalle donne e, tra queste, in modo speciale dalle madri. Un sacrificio che, se dal punto di vista umano si può solo definire encomiabile, spesso è così impegnativo da spaventare le donne al punto da indurle a riconsiderare o ridurre le loro aspirazioni riproduttive.
D’altra parte, la condizione delle madri in Italia rappresenta anche un potenziale di crescita non espresso di una parte di popolazione che ha sviluppato e sta sviluppando delle capacità e dei talenti importanti. Le madri italiane di oggi hanno sicuramente un livello di istruzione più elevato di tutte le generazioni che le hanno precedute, e la loro condizione le predispone ad una capacità di relazione, di cura e di empatia che difficilmente altre esperienze umane e professionali possono sviluppare con analoga intensità. Recentemente alcune pubblicazioni hanno sottolineato che l’esperienza della maternità e della genitorialità – spesso considerate come problematiche in ambito lavorativo – permettano invece alle persone di sviluppare talenti e capacità come la resilienza, l’empatia, e una maggiore capacità d’ascolto, che sono preziose e che, se ben utilizzate, possono avere effetti positivi non solo sulla carriera delle persone, ma anche sul mondo del lavoro in generale. È quindi necessario capovolgere la prospettiva secondo cui la maternità è un peso nel mondo del lavoro, e vederla invece come un’occasione di crescita importante. Inoltre, investire sul miglioramento della condizione materna sotto ogni punto divista permette di moltiplicare gli effetti positivi, coinvolgendo anche i figli e le future generazioni, come ci illustrano i dati sulla povertà educativa.
Le mamme rappresentano dunque una risorsa importante che il nostro sistema sta sacrificando in nome di un’organizzazione sociale familista palesemente non più adeguata ai cambiamenti sociali, in corso e futuri.
Nel giro di pochi anni, infatti, le nostre famiglie, e con esse le donne e le madri, non saranno più in grado di sostenere sia il crescente carico di cura legato all’aumento della popolazione anziana che la complessità di un mercato del lavoro sempre più precario, flessibile ed esigente in termini di tempo e coinvolgimento.
Tutte le componenti del nostro sistema economico e sociale saranno quindi chiamate ad affrontare la crisi demografica e sociale contribuendo alla ridefinizione di un nuovo modo di prendersi cura delle persone e di lavorare: occorrerà sviluppare un forte impegno a livello culturale e legislativo per aumentare il coinvolgimento degli uomini nel lavoro di cura e familiare, sensibilizzare maggiormente le aziende verso le politiche di responsabilità sociale e di valorizzazione del capitale umano, soprattutto femminile, aumentare il ruolo del welfare secondario e del terzo settore. Le strade da seguire per valorizzare il lavoro femminile e quello delle mamme in particolare sono varie: incentivare l’occupazione femminile, rafforzare il sistema di tutela delle lavoratrici esposte a una condizione di precarietà permanente, e talora a ricatti e vessazioni, promuovere gli strumenti di conciliazione, la flessibilità degli orari e lo Smart Working, sostenere le imprese che offrono servizi per l’infanzia e usare la leva della fiscalità, nei confronti di famiglie e imprese, per incentivare gli investimenti in tal senso. Per ridurre le diseguaglianze di genere e la diversa partecipazione al mercato del lavoro occorre dunque intervenire sui fenomeni di segregazione orizzontale, per cui le donne lavorano in settori economici diversi da quelli degli uomini sul differenziale salariale e sulla segregazione verticale in termini di percorsi di carriera.
Una forte spinta propulsiva in questo senso dovrà essere data dalle istituzioni e dalle politiche pubbliche. Per riorientare il sistema economico e sociale verso un modello produttivo e di welfare in grado di aprire nuovi spazi di libertà anche per le donne e le madri, è indispensabile un indirizzo politico forte e deciso. Una strategia complessiva capace non solo di fare scelte innovative di tipo legislativo e di investimento finanziario, ma anche di orientare in tal senso la società e il mondo produttivo. Occorre elaborare una visione chiara definita di come dovrà essere la società italiana futura, che potrà essere più produttiva, efficace ed efficiente sotto ogni punto di vista solo se le politiche pubbliche sapranno anche sostenere con determinazione e convinzione l’equità di genere. A questo riguardo occorre investire per ridurre lo scarto che ancora divide, in Italia – a fronte di percorsi scolastici che premiano fondamentalmente le ragazze – uomini e donne per quanto riguardale prospettive di carriera e di affermazione professionale e il peso che anche qui gioca la scelta della maternità. Garantire le pari opportunità significa anche investire nel rafforzamento della tutela giuridica dei padri, estendendo e garantendo maggiormente i congedi parentali; significa ridurre la mancata rappresentanza politica delle donne, considerato infatti un elemento di effettivo svantaggio per il miglioramento complessivo della condizione delle donne e, tra queste, delle madri. Una riflessione che emerge dalle pagine precedenti è che investire sulle donne, le madri e le pari opportunità coniuga con una dinamica virtuosa il concetto di equità e di parità con quello di efficienza produttiva del sistema. Investire sulle politiche di welfare che favoriscono le donne e, a maggiore ragione le madri, rappresenta una politica vincente sotto ogni aspetto, non solo nella tutela dei diritti, ma anche nell’aumento della produttività e della crescita socio-economica.
Una recente ricerca inglese lo ha dimostrato in modo inequivocabile: in tutti i paesi analizzati, compresa l’Italia, investire nella cura avrebbe un effetto importante sull’occupazione e ne diminuirebbe il divario di genere. Si potrebbero così “affrontare alcuni dei problemi delle nostre economie attuali: bassa produttività, deficit di cura, cambiamenti demografici, e la persistente disuguaglianza di genere nel lavoro pagato e non pagato”. Di fronte all’evidenza di una strategia dalle ricadute così favorevoli, viene da chiedersi: perché no? Quali sono gli ostacoli che ancora oggi si frappongano ad un maggiore investimento nel welfare e nella cura, dato che stanno aumentando i bisogni sociali e c’è un chiaro e inequivocabile vantaggio economico e sociale?
Inutile nascondere che investire sul welfare e sulla cura rappresenta una radicale inversione di tendenza rispetto agli orientamenti economici mondiali e, di conseguenza, nazionali. Lo stesso studio inglese che è stato citato è nato con l’obiettivo di confutare la validità delle politiche della contrazione della spesa pubblica per servizi che hanno contraddistinto la strategia politica europea scelta per affrontare le conseguenze della crisi economica a partire dal 2008 e che ha avuto delle ricadute sociali ed economiche disastrose. La validità di questo approccio viene oggi messo in dubbio da una crescente quantità di studi, analisi e ricerche che stanno riflettendo su una diversa strategia per uscire dalla crisi e riavviare un ciclo virtuoso di espansione sia economica che sociale.
Tra le varie ipotesi occorrerà certamente prendere in considerazione l’investimento in capitale umano, in politiche di cura e di welfare, a partire proprio dalle madri. Per interrompere il ciclo dello svantaggio che si trasmette da madre in figli occorre dunque investire nella lotta alla povertà educativa, a partire da un investimento nella rete dei servizi rafforzando l’offerta di asili nido in sede di attuazione della delega della riforma della Buona Scuola, L. 107/2015, in merito alla riforma dei servizi per l’infanzia 0-6 anni, superando una volta per tutte la concezione del servizio “a domanda individuale” e garantendo a tutti i bambini un servizio educativo, con la necessaria copertura dei posti ed adeguati standard qualitativi. Soprattutto nelle aree più svantaggiate e prive di risorse, i servizi per la prima infanzia possono essere concepiti come veri e propri centri multifunzionali per i bambini e le famiglie, promuovendo, ad esempio, percorsi di sostegno alla genitorialità, auto-aiuto, supporto professionale per la promozione della salute – intesa come alimentazione e sani stili di vita – orientamento legale ed amministrativo, educazione al consumo, contrasto alla violenza domestica. I dati ci dicono come, peraltro, proprio dalla rete di servizi di cura potrebbe venire una nuova spinta allo sviluppo della occupazione femminile. Un piano di rafforzamento della rete dei servizi di cura e di protezione territoriale rappresenta dunque oggi una assoluta priorità per non lasciare da sole le mamme e i bambini senza opportunità.
Da parte di Save The Children, questo rapporto, sul solco di un impegno pluriennale a difesa dell’infanzia e della maternità, vuole contribuire alla maturazione di una nuova consapevolezza pubblica sul bisogno del cambiamento culturale, sociale ed economico che ci aspetta. Senza nascondere le difficoltà e le forze contrarie che certamente contrastano oggi questa svolta, ma anche con la fiducia che, con il contributo delle istituzioni e di tutte le componenti della società, si possa e si debba trovare il coraggio di attuare una svolta sociale ed economica che, partendo proprio dalle donne e dalle madri, andrà certamente a vantaggio di tutti.