Quest’oggi prendiamo in prestito lo spazio settimanale dedicato agli approfondimenti di PPP per fare un po’ di chiarezza sul Regno Unito e sulla sua uscita dalla Ue.
Ci riferiamo al referendum di giovedì 23 giugno scorso e ci preme sottolineare alcuni punti.
Abbiamo letto su fonti diverse e sentito conduttori tv, giornalisti e politici parlare in generale di “Inghilterra che ha lasciato l’Unione Europea”.
Teniamo a specificare alcune questioni.
Il Regno Unito (United Kingdom o per brevità UK), che è entrato nell’allora CEE nel 1973, è composto da 4 nazioni diverse: Galles, Scozia, Irlanda del Nord e Inghilterra e tutte hanno votato.
Quattro Paesi che, non più Stati sovrani a sé stanti, hanno costituito uno Stato unitario con capitale Londra.
Anche il nome Gran Bretagna, comunemente usato, è improprio, in quanto con questo nome si identifica l’isola maggiore, esclusa cioè l’Irlanda del Nord.
Anche Gibilterra, per esempio, è un territorio d’oltremare appartenente al Regno Unito e ha votato a favore. Lo stesso l’Isola di Wight e altri territori.
Pertanto, affermare che l’Inghilterra ha votato per uscire dall’Unione Europea è sbagliato.
È tanto più sbagliato affermare che il Regno Unito è uscito dalla Ue come fatto compiuto, con commenti infiniti su future ma immaginifiche conseguenze.
Come già spiegato in un precedente articolo, il referendum era consultivo e in teoria il Governo potrebbe non tenerne conto. Cosa che probabilmente non avverrà, tantomeno dopo le dimissioni del primo ministro David Cameron (ricordiamo se necessario che il Regno Unito è una monarchia costituzionale che prevede, oltre alla regina o re, due Camere e un primo ministro che di fatto governano il Paese).
In ogni caso il parlamento dovrà ratificare la decisione e presentarla ufficialmente alla Ue.
L’articolo 50 del Trattato di Lisbona del 2009, sottoscritto dai Paesi membri, prevede l’uscita di uno Stato dall’Unione, ma non ne prevede le modalità.
Per ulteriore chiarezza lo riportiamo.
Articolo 50
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Quindi per ora non è accaduto ancora niente e niente è cambiato; l’ipotesi di scenari apocalittici è quantomeno prematura.
Ci vorranno anni e trattative e, come recita il succitato articolo 50, sarà l’Unione Europea a dettare le regole.
Infine, un’ultima puntualizzazione: Si sono fatte ipotesi di un effetto domino in Europa e quindi di referendum simili in tutti i Paesi membri.
In Italia non è possibile poiché la nostra Carta Costituzionale all’art. 75 recita: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.
E forse non è un male.