Prendiamo spunto dal nostro articolo pubblicato ieri “Home restaurant: quando a cucinare è il padrone di casa”. Si tratta di un interessante e innovativo esempio di sharing economy che, partito da Londra, si sta pian piano sviluppando in diversi Paesi d’Europa, compresa l’Italia attraverso i cosiddetti home restaurant.
L’iniziativa consiste nel trasformare la propria abitazione in un piccolo e accogliente ristorante dove è proprio il padrone di casa, host, a mettersi ai fornelli per preparare ottime portate per i propri commensali, sconosciuti che trovano l’opportunità su internet e che, rigorosamente a pagamento, sperimentano la cucina home made.
L’home food tende a creare un circuito virtuoso, le cui caratteristiche sono antiche ricette, senso dell’ospitalità, peculiarità del territorio, valorizzazione del prodotto tipico.
Infatti, l’home food tende a costruire una rete su tutta la penisola, in modo da offrire la possibilità di trovare in molte località italiane una tavola accogliente e tradizionale. Si tratta di un’attività volta a mantenere viva non soltanto l’ospitalità tipica del luogo, ma anche le tradizioni culinarie, attraverso antiche ricette che caratterizzano la singola città, senza trascurare gli aspetti di natura sociologica insiti nella convivialità domestica.
Come viene normata l’attività di “Home Restaurant” o “ristorante casalingo”?
In base alle disposizioni dettate dalla L. n. 287 del 1991, “anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati e tenuto conto che i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, non può che essere classificata come un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela”.
Lo ha stabilito il Ministero dello Sviluppo Economico con la risoluzione n. 50481 del 10 aprile 2015, emanata in risposta ad un preciso quesito posto da una Camera di Commercio che ha chiesto di chiarire come configurare l’attività di cuoco a domicilio e se tale attività possa rientrare fra quelle soggette alla Segnalazione Certificata di Inizio di Attività (SCIA) da presentare la Comune di residenza, al fine di stabilire in modo chiaro l’iter da seguire per garantire il controllo dei requisiti professionali a tutela del consumatore finale.
Gli “Home Restaurant” sono attività in cui un privato organizza pranzi o cene nella propria abitazione in giorni dedicati e per poche persone, trattati come ospiti personali. Per partecipare è richiesta una prenotazione su un apposito sito web e, al termine del pasto, è previsto il pagamento del prezzo corrispondente. Si tratta, sempre secondo il Ministero, di un’attività economica in senso proprio e, di conseguenza, “non può considerarsi un’attività libera e pertanto non assoggettabile ad alcuna previsione normativa tra quelle applicabili ai soggetti che esercitano un’attività di somministrazione di alimenti e bevande”.
Richiamando poi una precedente nota (n. 98416 del 12 giugno 2013), il Ministero ricorda che in quell’occasione “ha classificato come un’attività vera e propria di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande quella effettuata da un soggetto che, proprietario di una villa, intendeva preparare cibi e bevande nella propria cucina fornendo tale servizio solo su specifica richiesta e prenotazione da parte di un committente e quindi solo per gli eventuali invitati”.
Pertanto, anche nel preciso caso in questione, considerata la modalità con la quale viene esercitata l’attività, si devono applicare le disposizioni di cui all’articolo 64, comma 7, del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59. Ciò significa che, i soggetti interessati devono:
(www.mise.gov.it)
Il miglior mezzo di contatto con un gestore di un Home Restaurant è il web. Esistono molte le piattaforme che permettono ai “cuochi” l’incontro con i potenziali clienti.
La piattaforma social di riferimento per una serata alternativa fra le mura domestiche della Capitale è Ceneromane, dedicata ai viaggiatori e residenti in cerca di avventure gastronomiche in location di grande effetto. I padroni di casa affiliati sono una quarantina. Si tratta di un progetto autofinanziato, lanciato nel 2012. Da un anno è entrato in un programma di accelerazione di Sellalab (Banca Sella). La piattaforma gestisce direttamente i flussi di pagamento, incassando e girando ai padroni di casa la quota di competenza al netto di una trattenuta del 15% e delle spese di transazione. Il costo medio di una cena è di 40 euro.
Le Cesarine di Bologna hanno messo in pratica il progetto Home Food patrocinato dal ministero delle Politiche agricole, in collaborazione con l’Università, per valorizzare e diffondere la cultura del cibo tradizionale, del prodotto tipico e del territorio. L’iniziativa copre oggi l’Italia intera.
Gnammo.com (nata nel 2012 dalla fusione delle start up Cookous e Cookhunter, con sede a Torino e a Bari) è la più grande community italiana: è diffusa in 124 città dove ha arruolato 1.055 cuochi e realizzato 500 eventi social. Sul sito sono segnalati brunch da 10 euro fino a cene-spettacolo da 40.
New Gusto è un progetto abruzzese e si rivolge soprattutto ai turisti per favorire scambi culturali attraverso il cibo.
KitchenParty.Org è una comunità di “persone aperte e curiose che condividono la propria passione per la cucina e la buona tavola incontrandosi a casa e nei locali per conoscere ogni volta nuovi amici”. Per gli aspiranti chef, il motto è: “Il migliore ristorante è la tua cucina”.
Peoplecooks si rivolge principalmente a studenti e a lavoratori fuorisede, turisti low cost e persone con difficoltà economiche: il pasto non supera i 6 euro.
(www.food24.ilsole24ore.com)