È risaputo come il volontariato eserciti in Italia un ruolo importantissimo, spesso capace di intervenire dove lo Stato non è in grado di operare con mezzi e risorse propri. È pertanto un dato di fatto come questa prassi sia di grande aiuto agli altri ma, come molti probabilmente sospettavano da tempo, non solo a chi ne gode ma anche a chi la elargisce. Da questi tesi parte il lavoro di tre studiosi, Riccardo Guidi, Ksenija Fonović e Tania Cappadozzi, che hanno presentato alla Camera un libro di ricerca dal titolo “Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni” (edizione “Il Mulino”).
Dalle pagine del testo emerge l’identikit del “volontario-tipo” in Italia: è di solito più istruito della media, nutre più fiducia nei confronti degli altri, è molto aperto nelle relazioni umane e, soprattutto, è più felice di chi non presta attività di volontariato. Il nostro Paese può vantare un gran numero di volontari, 6.63 milioni, (il 12,6 della popolazione totale) che presta i propri servizi per metà attraverso le tante organizzazioni e per il resto in forma individuale.
Lo studio mostra con chiarezza come esista una comunanza di fattori tra il popolo del volontariato, primo fra tutti la qualità della vita. In modo particolare, questa caratteristica risulta più pronunciata in coloro che svolgono l’attività da almeno 10 anni, segno di come aiutare attivamente il prossimo non stanchi affatto ma al contrario dia risultati migliori nel tempo. Infatti, interrogando le persone con più di 65 anni, gli studiosi hanno scoperto una percentuale altissima tra questi che, spesso già in pensione, si dichiara molto contenta della propria vita.
In senso più ampio appare evidente che chi fa volontariato è maggiormente predisposto a dare fiducia al prossimo il 35,8% contro il 20,6% dell’italiano medio stando ai dati Istat. Lo studio riportato nel testo compie una disamina dei vari tipi di volontari: sono ben un milione e 228.000 le persone – chiamate “fedelissime dell’assistenza” – che utilizzano una media tempo di mezza giornata alla settimana nel settore dei servizi sociali, della sanità e della protezione civile, prestando la propria opera all’interno di un’organizzazione. Non vanno dimenticati quelli che gli autori definiscono “educatori di ispirazione religiosa”e gli “investitori in cultura” che mettono a disposizione il loro sapere e le competenze acquisite per dar luogo a eventi e iniziative ricreative, di aggregazione sociale e spazi culturali.
Ci sono anche “i volontari dello sport”, vale a dire tante persone che svolgono a titolo gratuito il ruolo di allenatori di squadre dei più svariati tipi di sport. Lo studio indica anche la categoria degli “stacanovisti della rappresentanza”, di solito persone profondamente idealiste che si occupano gratuitamente di politica e tutela dei diritti. Infine, come dimenticare i donatori di sangue? Senza la loro generosità non sarebbe possibile salvare molte delle vite quotidianamente in pericolo.
Ciò che giustamente fanno notare gli autori del libro è quanto sia importante investire risorse nell’educazione affinché valori come la solidarietà e l’impegno civico crescano e continuino a generare buoni risultati. Marginali, infatti, secondo questo accurato studio, sarebbero ricchezza e genere di appartenenza o anche la quantità di tempo libero a disposizione, mentre di primaria importanza sarebbero l’istruzione e la cultura.