11 gennaio 1999 – A 58 anni si spegne la vita di Fabrizio De André, unanimemente riconosciuto come uno tra i più grandi cantautori della musica italiana. È infatti “Faber” l’esponente di spicco della grande Scuola genovese, insieme a Luigi Tenco e Gino Paoli.
A partire dal 1964 riscuote un enorme successo con “La canzone di Marinella” che sbalordisce il pubblico e la critica per il sublime stile poetico del testo, l’utilizzo geniale delle metafore, la grande forza evocativa delle parole. L’Italia scopre in breve di aver partorito un genio, un poeta, un artista in grado di cantare la bellezza della vita e dell’amore e gli ideali di libertà, di denunciare gli abusi dei potenti e dei prepotenti, di raccontare le pene dei reietti e degli emarginati e dei soldati mandati a morire alla guerra.
Fabrizio De André sforna un capolavoro dopo l’altro, scrive e canta canzoni baciate dalla promessa dell’immortalità: “Il pescatore”, “La guerra di Piero”, “Creuza de mä”, “Il testamento di Tito”, “Il cantico dei drogati”, “Anime salve”, “Dolcenera”, “Bocca di Rosa”, sono solo alcune delle canzoni con le quali Faber si impone in tutta la sua grandezza, con quella personalissima ironia dissacrante mista a un profondo realismo e a una ricercatezza lessicale da grande poeta.
Molti dei suoi testi compaiono presto nelle antologie delle scuole, una sorte toccata a pochi altri cantautori italiani. Quando, ormai sconfitto dalla malattia, Fabrizio De André muore a soli 58 anni è un duro colpo per il mondo della musica e non solo. Ci lascia però un’eredità preziosa: la convinzione che la musica – al pari delle altre arti – possa essere immortale. Mentre il suo nome entra di rigore nella storia italiana e nella memoria collettiva.