«Voglio parlargli, capire perché tu mi voglia uccidere, visto che sono negra. Sono impaurita, non perché io abbia paura di essere uccisa, ma mi spaventano le ragioni per cui verrei uccisa».
Sono parole che lasciano senza fiato per la loro drammaticità ma soprattutto per il loro realismo. Sono parole tratte da una lunga lettera inviata idealmente da una studentessa originaria del Burkina Faso e residente a Venezia al coetaneo che nei bagni dell’Università ha scritto “Onore a Luca Traini. Uccidiamoli tutti”, con il simbolo della svastica.
Qualora non ricordaste chi è Luca Traini, ve lo dico io. Si tratta di ventottenne di Macerata che una mattina si è messo al volante della sua automobile, ha imbracciato un’arma e si è messo a “giocare” al cecchino, sparando e ferendo 6 extracomunitari, colpevoli solo di avere un diverso colore della pelle (leggi l’editoriale).
Un pazzo? Un caso isolato che non desta preoccupazione? Probabilmente no, visto che a distanza di appena un mese, un altro italiano insospettabile, questa volta un pensionato, è uscito di casa a Firenze e ha ucciso Idy Diene, un senegalese che abitava nel capoluogo toscano da 16 anni.
Due pazzi, dunque? Due casi isolati? Ancora una volta mi sento di dire probabilmente no, visto che c’è chi si sente di rendere omaggio a queste persone scrivendolo sul muro di un’università, un luogo che per antonomasia dovrebbe trasmettere cultura, apertura mentale, intelligenza. Ed è proprio per questo che la studentessa Leaticia Ouedraogo, leggendo quella frase, è rimasta colpita da tanta cattiveria e ha scritto una lettera indirizzata non solo all’autore di quel messaggio, ma anche al suo fratellino di 8 anni che inizia a fare i conti con le frasi razziste dei suoi compagni di scuola. Proprio come era accaduto a lei qualche anno fa. «Devo trovare un modo di rendere mio fratello immune al razzismo», scrive la ragazza in un passaggio della lettera che vi invio a leggere integralmente (clicca qui). «Proprio come sua sorella. Sì, perché io mi ritengo immune al razzismo: non sono razzista e i razzisti non mi fanno paura, non mi fanno arrabbiare, non li detesto. E oltretutto, ho sviluppato una sottile arma per combattere il razzismo a modo mio. Io rispondo con l’ironia, anzi, il sarcasmo».
Ma purtroppo c’è chi non prende il razzismo con ironia, e al contrario pensa di combatterlo usando la stessa violenza, la stessa rabbia, che inevitabilmente rischia di ingigantire il problema fino a dar vita a un vero e proprio conflitto razziale.
E’ quanto accaduto a Firenze all’indomani dell’omicidio del povero senegalese quando le manifestazioni di pace e solidarietà sono state sporcate da episodi di violenza e intolleranza, come l’accanimento contro il sindaco della città e la distruzione di fioriere, cestini e danni vari da parte non solo di alcuni esponenti della comunità senegalese, ma anche di attivisti dei centri sociali e di estrema sinistra.
A preoccupare è soprattutto la rabbia della comunità senegalese, da sempre tranquilla e ben integrata in Italia e nella città di Firenze. «Abbiamo raccolto due morti in questa città e abbiamo mantenuto la calma. Stavolta basta», ha detto Pape Diaw, membro della comunità senegalese di Firenze. «Come mai questo avviene subito dopo le elezioni? E’ un omicidio razzista, di tutte le persone che ha incontrato una volta uscito di casa lui ha sparato a uno di colore… E a noi dicono di stare calmi? Siamo stati calmi già l’altra volta», riferendosi alla strage di piazza Dalmazia compiuta da Gianluca Casseri nel 2011.
Il clima è molto teso, dunque, e non soltanto a Firenze purtroppo. Lo avevo già detto in passato e lo ribadisco in questa sede: dalle strade ai social network si respira un clima di odio, intolleranza, paura e – permettetemi di dirlo – ignoranza davvero preoccupante. C’è chi strumentalizza questi sentimenti per scopi politici, senza considerare che il risultato finale potrebbe essere quello di trovarsi a gestire una situazione pericolosissima. Auguro a me stessa, agli italiani e agli stranieri che vivono nel nostro Paese che questo non accada, che quel limite non venga mai superato. Ma forse, purtroppo, è troppo tardi.
Il direttore
Vignetta di copertina: Freccia.