Crowdfunding / Fundraising

Fundraising per la politica

Questa settimana dedichiamo spazio alla quinta edizione dell’indagine comparativa “Fundraising per la politica in Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America” di Raffaele Picilli e Marina Ripoli e a cura del Centro Studi sul Nonprofit e Raise the Wind.
L’indagine offre una panoramica sui cambiamenti apportati dall’approvazione della Legge 13/2014 sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto, sulle modalità di autofinanziamento dei partiti e movimenti politici italiani, sulla loro scelta di seguire il percorso del fundraising.
Si tratta di un passaggio importante passaggio, quello dal sistema di finanziamento pubblico dei partiti politici di tipo diretto a quello di tipo indiretto, basato su donazioni liberali con un tetto di 100.000 euro annui per persone fisiche e giuridiche, agevolazioni fiscali al 26% per importi tra i 30 e 30.000 euro annui e 2xmille dell’imposta sul reddito per i soggetti politici registrati nella seconda sezione del Registro Nazionale dei partiti politici.
Questa ricerca fotografa la risposta dei partiti e movimenti italiani di fronte alla sfida della creazione di un sistema di autofinanziamento virtuoso e diffuso e di conseguenza la loro capacità di reimpostare organizzazioni, strategie comunicative e strumenti di marketing politico in funzione del political fundraising. Il tutto comparato agli scenari internazionali della raccolta fondi di tradizione anglosassone.
La prima edizione della ricerca pubblicata nel 2010 descriveva un contesto lontano dalle logiche del fundraising professionale. Le ingenti contribuzioni di denaro pubblico non motivavano i cittadini a donare alla politica e, allo stesso tempo, rappresentavano una entrata tale per i partiti che non sentivano l’esigenza di impegnarsi in campagne di fundraising. Il confronto dell’Italia con UK e USA – Paesi con lunghe tradizioni nel fundraising e nel people raising – era dunque impietoso. Risultava e risulta anche oggi che la totalità dei partiti di matrice anglosassone raccoglie fondi da privati cittadini e aziende e lo fa utilizzando le tecniche di fundraising.
Nelle edizioni della ricerca pubblicate tra il 2013 e il 2015, nonostante il mutato contesto sociale, politico e normativo di questi anni sul tema del finanziamento dei partiti, è emersa una fotografia del fundraising come fenomeno ancora marginale e utilizzato non sempre in modo professionale o inserito in una strategia complessiva.
L’indagine ci sollecita un’interessante riflessione: il fundraising per la politica è una strada da percorrere per accrescere il capitale di risorse e di consenso di un soggetto politico in un’ottica integrata, relazionale e secondo opportune strategie di comunicazione politica. In questo senso, trasparenza, coerenza, accountability rappresentano i pilastri necessari di una comunicazione politica orientata al fundraising, intesa come formula di mobilitazione ri‐costruttrice di fiducia.
Riportiamo alcuni dati dell’indagine circa le nostre tendenze.

Restano basse le percentuali dei partiti che ricorrono a tecniche che implicano una maggiore interazione o basate su un forte rapporto identitario. Soltanto il 24% dei partiti presi in esame offre la possibilità di svolgere attività di volontariato organizzato, appena il 12% punta sulla vendita di gadget e shop online e solo il 7% dei partiti e movimenti analizzati fa ricorso propriamente al crowdfunding per il finanziamento di progetti e attività.

Nel 100% dei casi sono i social network (principalmente Facebook e Twitter) il mezzo più utilizzato dai partiti e dai movimenti politici analizzati per comunicare con i propri sostenitori. Solo il 35% del campione dispone di intranet, strumenti di comunicazione interna e community ufficiali. Sui siti web dei soggetti politici analizzati solo il 47% offre la possibilità di iscriversi alla newsletter di partito e solo il 12% dispone di form in home page per l’iscrizione.

Si punta troppo sulle potenzialità della raccolta fondi sul web, potenziando il ricorso a sistemi di pagamento online, ma si dimentica che anche se Internet offre applicazioni eccellenti per sostenere e migliorare un programma di fundraising, non vi è nulla che possa sostituire i metodi classici e il contatto personale con un donatore.

Si guarda al 2xmille come la panacea di tutti i mali, ma solo il 41% del campione analizzato lo pubblicizza in modo efficace, e da solo non è sufficiente al completo autofinanziamento e non permette una fidelizzazione del donatore nel lungo periodo.

Volendo analizzare il resto del mondo, nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America le tecniche di fundraising e people raising sono ormai consolidate da decenni e mantengono un trend in crescita. L’apertura degli uffici per la raccolta fondi, la preparazione delle strategie e delle campagne di comunicazione per raccogliere fondi, sono tra i primi investimenti fatti dai candidati.
Anche i partiti si muovono sulla stessa linea e si mantengono costantemente aggiornati su tecniche e strategie di fundraising. Negli Stati Uniti la sperimentazione di nuovi metodi è maggiore che in altri paesi.
Ultimo concetto che vogliamo mettere in evidenze è quello della trasparenza. Quando si parla di fundraising, non si possono trascurare i principi di trasparenza e rendicontazione. Il donatore quando dona una somma per sostenere un progetto elettorale, dovrebbe poterne seguire l’andamento e controllare le spese, l’uso che è stato fatto di quella donazione.
Condividiamo dunque la concezione del political fundraising che va oltre la funzione utilitaristica della raccolta fondi, ma promuove la partecipazione attiva e il legame con il cittadino, secondo principi di trasparenza e coerenza.
Per ulteriori approfondimenti, rinviamo all’abstract dell’indagine.

Published by
Barbara Scutti