Mantelli dorati che brillano nella notte sulle spalle di uomini che per giorni hanno sfidato la morte. Bambini mai nati che dal profondo del mare turbano i sogni di chi non è riuscito a proteggerli. Occhi che piangono, mani che pregano, pelle che brucia, cuori che amano ancora, nonostante la paura.
Non è un film che parla di supereroi, o forse sì. Non è un film dell’orrore, o forse sì. Non è un film da grande pubblico, eppure dovrebbe esserlo.
Parliamo di “Fuocoammare”, la pellicola del regista Gianfranco Rosi, già vincitore del Leone d’Oro nel 2015 con il docufilm “Sacro GRA”. O meglio torniamo a parlarne, dal momento che al film avevamo già dedicato un ampio spazio lo scorso mese di gennaio quando Rosi era in corsa per l’Orso d’oro al Festival del Cinema di Berlino (leggi l’articolo). E lo facciamo perché ora che il regista italiano può vantare sulla sua libreria anche l’ambito riconoscimento conferitogli alla Berlinale, Fuocoammare è pronto per una nuova sfida: portare in Italia l’Oscar come migliore film straniero.
Il docufilm, che affronta il tema dell’immigrazione sull’isola di Lampedusa, rappresenterà infatti l’Italia negli Stati Uniti, dove il Belpaese nella scorsa edizione è riuscito a strappare, alla qualificata concorrenza, la statuetta per la migliore pellicola straniera grazie al capolavoro di Paolo Sorrentino “La grande bellezza“.
Ma non è di certo questo il motivo per cui vogliamo in questa sede consigliarvi questo film. Forse ne è il pretesto, ma non la sola ragione. Così come può essere un ottimo pretesto per guardare il documentario la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, in programma il prossimo 3 ottobre e in occasione della quale RaiUno trasmetterà in prima serata la pellicola di Rosi.
Fuocoammare, a nostro parere, va visto soprattutto per conoscere e per capire il dramma di migliaia di esseri umani che ogni giorno scappano dai propri Paesi martoriati dalla guerra per mettersi in salvo, affrontando viaggi della speranza che per molti di loro purtroppo terminano in fondo al mare. Ma anche per cercare di comprendere come la vita di una piccola comunità, quella di Lampedusa, possa ritrovarsi coinvolta, suo malgrado, in qualcosa di molto più grande e diverso dalla routine.
Nel film Fuocoammare, Rosi, dopo aver trascorso quasi un anno sull’isola siciliana, infatti, racconta da un lato il tema più scottante e drammatico dei nostri giorni, quello della “diaspora” dei migranti verso l’Europa, dall’altro la tranquillità della vita degli isolani. Su una superficie di appena 20 km quadrati due realtà scorrono parallelamente senza incontrarsi praticamente mai, o quasi.
I primi protagonisti sono dunque gli immigrati, di cui Rosi riesce a riportare sullo schermo l’intensità delle emozioni, la disperazione degli sguardi, la sofferenza fisica e in alcuni casi il dramma della morte. Il racconto della loro odissea inizia dalle telefonate in cui chiedono aiuto per poi passare alla fase della ricerca in mare da parte degli elicotteri e delle imbarcazioni della Marina Militare, della Capitaneria di Porto, della Guardia di Finanza e dei Carabinieri. Il docufilm riporta poi fedelmente sullo schermo il salvataggio, la fase dei controlli e la vita all’interno dei centri di accoglienza, in un crescendo di drammaticità che culmina con le immagini di coloro che non ce l’hanno fatta.
Il secondo protagonista è invece Samuele Pucillo, un bambino lampedusano di 12 anni che interpreta semplicemente se stesso, le cui giornate sull’isola scorrono lente tra la scuola, un occhio pigro da curare, un mal di mare da superare per diventare da grande un pescatore, come da tradizione di famiglia, e la passione per le fionde. Samuele gioca alla guerra, incidendo volti sui cactus e colpendoli con sassi e petardi, o mimando un fucile con il braccio per sparare alle navi in lontananza. A pochi chilometri da lui bambini della stessa età, o molto più piccoli, sanno già che la guerra non è un gioco, che le bombe e i fucili uccidono davvero e che è proprio da questo che stanno scappando. Nel film le vite dei protagonisti non si incontrano mai. C’è un unico elemento che li accomuna ed è il mare, lo stesso mare che quando è mosso fa paura a tutti e due: ai migranti perché rischia di capovolgere le precarie imbarcazioni; a Samuele, e più in generale agli isolani, perché con la tempesta non si può uscire a pescare. Un mare che quando è calmo però significa speranza e sopravvivenza, per gli uni e per gli altri.
Protagonisti di certo non secondari sono poi i lampedusani. Le donne anziane, che trascorrono le loro giornate svolgendo le mansioni di casa, da anni sempre uguali. I pescatori, che si affidano all’umore del mare per portare a casa il pane. Lo speaker della radio, che alterna canzoni dal sapore antico – tra cui proprio “Fuocoammare” – e notizie di drammatica attualità. I volontari, il personale sanitario e gli uomini delle forze dell’ordine, che freneticamente fanno fronte all’emergenza. E il medico dell’isola, Pietro Bartolo, che cura e soccorre con la stessa dedizione e la stessa professionalità i raffreddori dei lampedusani e le ustioni degli immigrati. E’ proprio lui, tra i grandi ispiratori del regista, uno dei supereroi dei nostri giorni. Lui che si emoziona a raccontare dei morti in mare. Lui che quei morti li sogna anche di notte. Lui che però di persone ne ha salvate tantissime e che continuerà a farlo ogni giorno perché, come spiega alla telecamera, “è il dovere di ogni uomo, che sia un uomo, aiutare queste persone”.
Fuocoammare è tutto questo concentrato in meno di due ore. Due ore che si trasformano in giorni, mesi e anni per chi vive ogni giorno questo dramma. Ed è per questo che Fuocoammare dunque va visto, perché non è solo un film, ma è la quotidianità di migliaia di persone in cerca di un futuro più felice.
Titolo originale: Fuocoammare
Anno: 2016
Nazione: Italia
Regia: Gianfranco Rosi
Durata: 108 minuti