Il raccapricciante fenomeno del bracconaggio in Italia ha assunto, nel corso del tempo, proporzioni sempre più drammatiche. Ogni anno migliaia di esemplari di animali vengono uccisi illegalmente dai bracconieri mettendo a rischio la sopravvivenza di intere specie e, di conseguenza, minando le risorse di un territorio sempre meno patrimonio di tutti. A questo dato di fatto vanno aggiunti l’enorme danno ambientale, l’impatto sull’ecosistema e l’inevitabile riflesso sull’economia.
Il Wwf, proprio in previsione della Giornata Oasi del 2016 (consulta qui il calendario delle iniziative) che si terrà il 2 ottobre, ha diffuso il suo rapporto “Furto di Natura.Storie di bracconaggio Made in Italy”.
Dal report si intuisce rapidamente come non sia affatto semplice quantificare i reati che si consumano ogni giorno dal momento che non esiste una sorta di “database” studiato ad hoc. Però, solo basandoci sulle cifre fornite dalle associazioni del territorio e dalle forze dell’ordine, viene fuori che dal 2014 al 2015 gli episodi di bracconaggio in Italia hanno subito un vertiginoso aumento del 40,7% rispetto agli anni precedenti. Una percentuale così distribuita su 706 casi presi in esame: il 67% contro gli uccelli e il 23% a danno dei mammiferi. Dalla stessa indagine effettuata dal Wwf si denota una crescita nell’utilizzo di trappole e veleni, oltre ai ben noti fucili, tagliole e arnesi di questo tipo. Chiaramente un incremento tanto forte è dovuto al rapporto che esiste tra una nota carenza di vigilanza e monitoraggio del territorio e dall’inefficacia delle sanzioni applicate nei confronti dei trasgressori, pressoché risibili.
Non che le multe non esistano, se però fossero applicate sarebbe meglio. La Legge sulla caccia (157/1992) prevede – in caso di uccisione ad esempio di un esemplare di orso bruno, stambecco, camoscio appenninico – l’arresto da 3 mesi a 1 anno con una multa che parte da un minimo di 1.032 a un massimo di 6.197 euro. Per le altre specie invece l’arresto va dai 2 agli 8 mesi con un’ammenda fino a 2.065 euro. Ma, come denuncia il Wwf, chi si macchia di questi reati è molto difficile che poi incorra in una multa e, men che meno, in una pena detentiva. Del resto l’evidenza del bracconaggio è sotto gli occhi di tutti: sono famosi i mercati di Ballarò a Palermo e di Sant’Erasmo a Napoli, le sedi più famose di questo genere di commercio illegale.
Dopo la recente riforma del Codice Penale che – ricordiamo – ha introdotto il Delitto contro l’ambiente, il Wwf chiede coerentemente l’inasprimento delle sanzioni penali a tutela della fauna selvatica. La nota Organizzazione ambientalista non si è limitata solo a questo ma ha anche elaborato una proposta di legge, “Delitto di uccisione di specie protetta”, studiando un’equa pena o sanzione in base al tipo di crimine commesso.