Purtroppo, ormai, la situazione è abbastanza chiara. L’Italia per mesi ha cercato l’aiuto dell’Europa nelle politiche di accoglienza e di ricollocazione dei migranti. Non ha registrato alcuna disponibilità sostanziale, solo apprezzamenti formali e qualche marginale compensazione economica. Il carico economico, sociale ma soprattutto psicologico dell’accoglienza si è fatto via via più pesante, anche per la proverbiale incapacità organizzativa del nostro Paese. Spesso reali difficoltà di alcuni sindaci si sommano a comportamenti poco accorti delle Prefetture. A rendere ancora più drammatico lo scenario si aggiungono numerose infiltrazioni malavitose che speculano sui migranti, turbando l’opinione pubblica.
Si avvicinano le elezioni politiche e la maggioranza di governo, non essendo riuscita a far cambiare orientamento all’Europa, è preoccupata che un atteggiamento troppo morbido verso i migranti possa penalizzarla nelle urne. Così prende corpo la linea del rigore di cui il Ministro Minniti è autorevole interprete. Due i principali indirizzi. Limitare gli interventi di soccorso in mare e chiamare in causa i governi libici.
Sul primo versante l’indagine della Magistratura di Trapani offre un assist straordinario. Alcune ONG avrebbero rapporti con gli scafisti. Quali tipi di rapporti? In che occasioni? Quali vantaggi ne avrebbero tratto? Poco importa. “La calunnia è un venticello”, basta aspettare qualche giorno e tutti sono alla caccia di complicità inconfessabili. Naturalmente nessuno ricorda perché le ONG sono scese in mare. Nessuno ricorda le lacrime versate dopo ogni naufragio al largo di Lampedusa. Nessuno ricorda più nulla. Ecco il codice per le ONG, benedetto da un’Europa che ha anche la presunzione di spiegare all’Italia come sia meglio comportarsi.
Sul secondo versante parte la strategia del dialogo dapprima con i sindaci libici, poi con il Governo Sarraj e infine anche con il generale Haftar. Sarraj dovrebbe contenere l’esodo sulle coste, anche con qualche sostegno militare italiano. Haftar, leader della lontana cirenaica, potrebbe presidiare il confine sud della Libia. Il primo e il secondo hanno già iniziato a presentare il conto della propria disponibilità, quantificando le attese economiche. In questo quadro il rientro dell’ambasciatore italiano al Cairo – grande sostenitore del generale – facilita l’intera operazione. Naturalmente l’intervento a gamba tesa del Presidente Macron disturba la strategia italiana ma non ne compromette l’efficacia.
A ben pensarci l’Italia, in piccolo, segue le orme dell’Europa nel contrasto alla rotta balcanica. In quel caso il gendarme armato è stato Erdogan; per la rotta mediterranea ci affidiamo ai libici. In entrambi i casi deleghiamo il lavoro sporco a due Paesi che di certo non danno alcuna garanzia di rispetto dei diritti umani e di adeguate condizioni di accoglienza.
E così prima ci siamo strappati le vesti e pianto lacrime amare in occasione dei naufragi. Poi abbiamo esaltato gli eroi della Guardia Costiera e delle ONG. Dopo poco, però, ci siamo stancati di questo bello spettacolo e ci siamo appassionati al giallo dei presunti intrighi tra ONG e scafisti. Adesso vorremmo “risolvere” il problema.
Funzionerà questa nuova strategia? Forse sì. Gli sbarchi sulle coste italiane diminuiranno e l’opinione pubblica sarà più serena. Ma in ogni caso si tratta di una strategia abbastanza rozza: lontano degli occhi lontano dal cuore. Eppure per anni ci siamo presentati al mondo come i più “umanitari”. La retorica del buonismo si accompagna spesso con l’ipocrisia dei sepolcri imbiancati. Restano sempre fuori del nostro orizzonte le scelte possibili: rispettare pochi principi inderogabili, accogliere dignitosamente chi cerca aiuto, verificare rapidamente i requisiti dei richiedenti asilo, programmare ingressi legali, negoziare corridoi umanitari. Tutte scelte che mal si coniugano con il sentimentalismo e l’allarmismo imperanti, tutte scelte troppo difficili per una politica che lavora “giorno per giorno” o “elezione per elezione”.