Ieri, a 50 anni dall’alluvione di Firenze, il WWF ha presentato un nuovo Dossier che fa il punto sulla situazione del dissesto idrogeologico in Italia e avanza proposte urgenti al governo: “1966 – 2016. 50 anni dalle alluvioni di Firenze e delle tre Venezie. E’ ora di cambiare, si può, si deve”. L’indagine e stata curata da Andrea Agapito Ludovici con la collaborazione di Stefano Lenzi, Gigi Ghedin, Mariagrazia Midulla, Isabella Pratesi.
Ha dichiarato Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia: “Le conseguenze degli errori del passato ripropongono ogni giorno nuove emergenze: la messa in sicurezza del territorio è una priorità ma servono urgentemente investimenti e politiche rigorose. E’ necessaria una forte integrazione tra la Struttura di Missione ‘Italia Sicura’, nata per affrontare l’emergenza idrogeologica, e la Struttura di Missione ‘Piano Casa Italia’, che si occuperà della prevenzione in campo sismico e alluvionale, che fanno entrambe capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e tra queste e il gruppo di lavoro promosso dal ministero dell’Ambiente che sta definendo il Piano Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici sia per condividere i dati e le informazioni che porteranno a individuare le aree più vulnerabili, che per individuare le priorità di intervento”.
Ma leggendo il Rapporto si ha la netta sensazione che il nostro Paese non sia in grado di apprendere alcuna lezione dalle precedenti esperienze, neppure da quelle più drammatiche. Ci accontentiamo di celebrare l’eroismo dei soccorritori (nel caso di Firenze “gli angeli del fango”) ma sembriamo incapaci di mettere in atto con tempestività politiche strutturali di salvaguardia del territorio. Purtroppo la celebrazione degli eroi di certo non ci salverà da nuovi disastri ambientali.
Di seguito il Sommario e le Conclusioni del Dossier; per consultare la versione integrale cliccare qui.
SOMMARIO
La mattina del 4 novembre di 50 anni fa, dopo 24 ore di intense piogge battenti su un territorio già saturo d’acqua, l’Arno esondò drammaticamente allagando completamente Firenze; tutta la Toscana e anche altre parti del Paese, come il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, dove anche Piave, Adige, Brenta, Livenza e Tagliamento esondarono drammaticamente, furono interessate da quell’evento eccezionale. Purtroppo da allora è ulteriormente aumentata la vulnerabilità del nostro territorio, testimoniata da un consumo di suolo che viaggia al ritmo di 35 ettari al giorno e che ha portato ad occupare molte delle aree di esondazione dei fiumi, compromettendone la capacità naturale di mitigazione del rischio idrogeologico.
E’ il caso della Liguria, dove un quarto del suolo, entro la fascia di 150 metri dagli alvei
fluviali, è stato consumato tra il 2012 e il 2015 oppure del Trentino Alto Adige con il 12%, il Piemonte con l’9%, l’Emilia Romagna con l’8,2%, la Lombardia con l’8% o la Toscana con il 7,2% di ulteriore consumo di suolo entro la fascia di 150 metri dei fiumi in questi ultimi 3 anni.
Si è irresponsabilmente continuato a costruire in aree pericolose, così in Italia la percentuale di suolo consumato all’interno delle aree a pericolosità idraulica elevata è del 7,3, mentre è del 10,5% nelle aree a pericolosità media, lasciando così oltre 7,7 milioni di italiani a rischio (ISPRA, 2016).
Purtroppo scontiamo anche il notevole ritardo nell’applicazione delle importanti direttive europee “Acque” (2000/60/CE) e “Alluvioni” (2007/60/CE), la notevole confusione istituzionale
con troppi soggetti nazionali e non che si occupano a più livelli di difesa del suolo senza una chiara regia a livello di bacino idrografico come, peraltro, previsto dalle normative europee.
Inoltre, mancano i soldi per prevenzione e pianificazione mentre ne spendiamo tanti solo a fronte di emergenze che, come sappiamo, sono sempre più frequenti: per far fronte al dissesto idrogeologico è stato stimato un fabbisogno di 44 miliardi di euro, molti ma nemmeno poi così tanti se confrontati ai circa 175 di miliardi di euro spesi negli ultimi 50 anni soprattutto in emergenze, con una media di 3,5 miliardi di spesa all’anno.
Ma a fronte di questa situazione e in barba ai numerosi proclami spot del governo, l’attuale legge di stabilità prevede nel 2016 per la messa in sicurezza del territorio e per interventi di
manutenzione la somma di 260 milioni di euro!
Nonostante ciò, cambiare si può e si deve, come dimostra il caso della riqualificazione del Sangro in Abruzzo, orrendamente canalizzato e cementificato negli anni ’80 e ora oggetto di un innovativo intervento di rivitalizzazione del suo corso. Oppure l’esempio di Bologna dove è stato realizzato un partecipato Piano di adattamento della città, in gran parte incentrato su azioni di risparmio, riutilizzo e miglioramento della qualità delle acque.
Purtroppo non abbiamo più molto tempo per ulteriori improvvisazioni, dobbiamo far tesoro delle esperienze positive, che ora esistono anche nel nostro Paese, e moltiplicarle; è indispensabile raccogliere la sfida della Conferenza sul Clima (Parigi, 2015) e promuovere un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, articolato per bacini/distretti idrografici e attuare un vasto programma di riqualificazione ambientale per il recupero dei servizi ecosistemici, attraverso la rimozione di opere di difesa obsolete, il ripristino di aree di esondazione naturale, il recupero della capacità di ritenzione del territorio, garantendo cura e manutenzione costanti del territorio fondamentali per una corretta azione di prevenzione ambientale.
CONCLUSIONI E PROPOSTE
“Nel corso di un trentennio non dovrebbe poi avere ripercussioni apprezzabili ai fini dell’opera da svolgere, la variazione generale del clima, posta in evidenza dal progressivo elevamento del livello marino, in conseguenza di un aumento della temperatura dell’aria, che ha provocato il ritiro dei ghiacciai alpini e lo scioglimento delle, calotte polari.
Non oseremmo invece pronunciarci ora a proposito di possibili effetti della crescente immissione sia di fumi nella atmosfera, che potrebbe influire sul regime, e sulla quantità delle precipitazioni, sia di anidride carbonica che, aumentando la percentuale di questo gas nell’atmosfera e diminuendone la permeabilità alla radiazione terrestre, tenderebbe ad aumentarne ulteriormente la temperatura”.
La Commissione “De Marchi” già nel 1970 evidenziava come il mondo scientifico era ben già consapevole dei Cambiamenti Climatici e dell’impatto dell’uomo su di essi.
Ora che anche la Conferenza sul Clima (Parigi, 2015) ha ribadito l’urgenza di promuovere un impegno concreto per avviare politiche efficaci di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, non possiamo più rimandare un cambio di rotta nelle politiche territoriali. L’Italia deve impegnarsi a portare avanti un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici partendo da una serie di azioni legate al buon governo del territorio e in particolare alla gestione delle acque e adeguando le previsioni di rischio agli scenari degli attuali e futuri impatti del cambiamento climatico.
C’è urgente bisogno di una governance basata sull’integrazione delle politiche ambientali, sulla promozione di intese sul territorio, sullo sviluppo di azioni innovative e di diffusione di best practices. Alla base di questo rilancio ci dovrebbe essere una vasta azione di riqualificazione ambientale nella quale le Autorità di distretto, che si trovano a coordinare le direttive “Acque” e “Alluvioni”, possano ricoprire un ruolo centrale anche grazie alla recente trasformazione in distretti idrografici (LEGGE 28 dicembre 2015, n. 221).
Non c’è più molto tempo. E’ indispensabile a questo punto raccogliere la sfida della Conferenza di Parigi e promuovere un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, articolato per bacini/distretti idrografici o per ampi territori omogenei e problematici, come le città, promuovendo l’integrazione virtuosa delle pianificazioni delle direttive europee (“Acque”, “Alluvioni”, “Habitat”).
E’ indispensabile attuare un vasto programma di interventi di rinaturazione e riqualificazione ambientale per il recupero dei servizi ecosistemici, attraverso la rimozione di opere di difesa obsolete, il ripristino di aree di esondazione naturale, il recupero della capacità di ritenzione del territorio, garantendo cura e manutenzione costanti del territorio, promuovendo sistemi di drenaggio sostenibile nei centri urbani e coinvolgendo e responsabilizzando amministratori locali e popolazioni.
Il WWF ritiene quindi indispensabile:
1) Consolidare un governo delle acque basato sui bacini idrografici e sul ruolo delle Autorità di bacino – recentemente trasformate in Autorità di distretto – in qualità di garante del necessario coordinamento degli interventi urgenti in materia di dissesto idrogeologico, di difesa e messa in sicurezza del suolo.
2) Garantire le necessarie risorse economiche per la difesa del suolo, la mitigazione rischio idrogeologico e il miglioramento dello stato ecologico dei corsi.
3) Prevedere una forte integrazione tra le Struttura di Missione “Italia Sicura” e la Struttura di Missione “Piano Casa Italia” della Presidenza del Consiglio dei ministri e tra queste e il gruppo di lavoro promosso dal ministero dell’Ambiente che sta definendo il Piano Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici, per condividere i dati e le informazioni di base esistenti sulle aree più pericolose e vulnerabili al rischio del nostro paese e concordare, di conseguenza, le priorità di intervento;
4) Promuovere Piani di adattamento ai Cambiamenti Climatici sia a livello di bacino idrografico che per ampi comparti omogenei come le aree metropolitane e le città
5) Bloccare il consumo del suolo lungo le aste fluviali e avviare un’azione di recupero di suolo attraverso politiche di delocalizzazione degli insediamenti civili e industriali che sorgono nelle aree a maggior rischio (classificate come R3 e R4 ai sensi del D.Lgs. n. 49/2010).
6) Applicare correttamente e in modo integrato le direttive europee, con particolar riguardo per la Direttiva Quadro “Acque” (2000/60/CE), “Alluvioni” (2007/60/CE), “Energie rinnovabili”(2009/28/CE) e “Habitat” (43/92/CEE) e “Uccelli” (2009/147/CE)
7) Avviare una diffusa azione di rinaturazione fluviale, aumentando la percentuale minima del 20% di finanziamenti (L. 133/2014) da impiegare per interventi integrati per ridurre il rischio idrogeologico e per il miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua e la tutela degli ecosistemi e della biodiversità, promuovendo in via prioritaria gli interventi tutela e recupero degli ecosistemi e della biodiversità.
8) Realizzare “infrastrutture verdi”, come previsto dalla risoluzioni della Commissione europea come quella sulle infrastrutture verdi (2013/249).
9) Garantire la manutenzione del territorio per tutelare la funzionalità dell’ecosistema e mantenere un adeguato equilibrio territoriale ambientale.
10) Garantire un approccio interdisciplinare alla definizione delle azioni sugli ecosistemi fluviali e, soprattutto, il coinvolgimento delle adeguate competenze nella progettazione e realizzazione degli interventi di difesa del suolo e miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua e di manutenzione del territorio
4 novembre 2016