Il 20 giugno il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha pubblicato sul proprio portale un Documento dal titolo “Direttiva 2014/95/UE sulla disclosure non finanziaria e sulla diversità nella composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo”. L’aspetto interessante non sta certo nel fatto che i commercialisti si occupino della Direttiva comunitaria o, più in generale, della responsabilità sociale delle imprese, quanto nella modalità con cui se ne occupano.
Infatti, a dispetto del titolo che rimanda ad un ambito tematico limitato e molto tecnico, le questioni prese in esame spaziano sull’intero universo della “Corporate Social Responsibility (CSR)”.
Dopo un breve excursus sull’origine della CSR il documento nella prima parte prende in esame i diversi aspetti dell’informazione non finanziaria nelle grandi imprese, soprattutto in riferimento agli standard internazionali di rendicontazione. La seconda parte, invece, si concentra, ed è qui la prima novità, sull’informazione non finanziaria nelle piccole e medie imprese. Parlo di novità perché nella letteratura sul tema quasi sempre la questione viene elusa, parlando in generale di CSR ma di fatto riferendosi, quasi esclusivamente, alla grande impresa. Allargare lo sguardo alle PMI significa sia interrogarsi sulle modalità in cui sia possibile trasferire i modelli di rendicontazione sociale a unità organizzative meno strutturate e più semplici, sia diffondere la CSR ad un universo ampio e articolato, che coinvolge un numero elevatissimo di imprese diffuse sull’intero territorio nazionale.
La terza parte è dedicata all’esame del ruolo del professionista nella diffusione della responsabilità sociale e dei suoi strumenti di rendicontazione, sia nelle grandi imprese sia nelle PMI. “I professionisti, attraverso il loro rapporto con i clienti e con i colleghi, possono essere tra i primi artefici della promozione e della diffusione della cultura della responsabilità sociale, che si basa innanzitutto su un atteggiamento mentale, sull’adesione a un modello culturale orientato verso criteri in cui la gestione dell’impresa si fonda con i concetti di tutela delle persone e dell’ambiente; un approccio che assegni alla professione un ruolo sempre più innovativo, inclusivo e qualificante. In una frase: Practice what you preach”.
In definitiva, i commercialisti italiani, seppure con un documento “tecnico”, prendono esplicita posizione a favore di un processo di diffusione nell’intero mondo imprenditoriale italiano della responsabilità sociale e dei suoi strumenti di rendicontazione, proponendosi come protagonisti di questo processo nel ruolo di “promotori di innovazione e di sviluppo”.
Di seguito proponiamo due estratti rispettivamente dalla seconda e dalla terza parte del documento. Per la consultazione del testo integrale andare al link.
Vantaggi competitivi della rendicontazione di sostenibilità per le PMI
L’Italia, con 5,3 milioni di imprese attive al 31 dicembre 2013, è il Paese che vanta il maggior numero di microimprese e di PMI nell’Unione europea, superando di gran lunga anche Paesi più popolosi come la Germania e la Francia.
La maggior parte delle aziende attive in Italia ha una veste giuridica che ben si adatta ad aziende familiari o di dimensione microscopica: si contano infatti 3,3 milioni di imprese individuali e oltre 900.000 società di persone attive. Sono invece poco più di 1 milione le società di capitale, che hanno autonomia patrimoniale perfetta (il patrimonio dei soci è separato da quello della società) e maggiori obblighi informativi, tra cui quello di depositare il bilancio presso la Camera di commercio.
Tra i grandi attori dell’economia globale, le PMI contribuiscono per i due terzi dell’esternalità ambientali globali (oltre 4.000 miliardi di dollari dei costi esterni nel 2008). I dati quantitativi relativi al numero di PMI e al loro contributo produttivo nei singoli contesti territoriali evidenziano il peso preponderane che le stesse rivestono nella generazione degli impatti economici e sociali a livello planetario, circostanza, questa, per la quale l’Unione europea e i singoli Paesi membri proseguono la propria azione sul fronte dello sviluppo di politiche energetiche e di salvaguardia ambientale specificamente rivolte alle PMI.
Con riguardo alle politiche nazionali e internazionali si segnala, infatti, che:
In tale scenario non si manca, tuttavia, di evidenziare come la CSR sia spesso correlata alla dimensione dell’impresa e, in particolare, alla categoria della grande impresa. E’ altresì vero come da più parti sia oggi avvertita la necessità di diffondere anche tra le PMI la cultura della responsabilità sociale verso tutti gli stakeholder. Per le PMI è emersa la necessità di adottare comportamenti socialmente responsabili proprio in virtù del forte legame che queste aziende hanno con il sistema locale. La capacità di creare consenso e sviluppare fiducia attorno al progetto imprenditoriale sono elementi essenziali per tali imprese, come pure la capacità di creare relazioni, anche in considerazione della presenza di molte PMI nei distretti industriali.
Tutto ciò impone di reinterpretare la CSR per tali realtà. In questa direzione sembra si stiano muovendo molte istituzioni pubbliche italiane, come pure la politica europea che guarda alla CSR come ad una strategia essenziale per rafforzare e rilanciare il sistema economico europeo, un sistema alternativo al modello americano di capitalismo liberista, basato su elevati standard di qualità della vita, opportunità paritarie, protezione dell’ambiente e attenzione al sociale.
Il comune denominatore di tutti questi interventi si ravvisa nella proposta di considerare la CSR non più come un aspetto addizionale delle strategie aziendali, ma come un fattore integrante della gestione delle imprese. Ciò vale in particolar modo per le PMI, che rappresentano una parte consistente del sistema economico europeo.
Autorevole dottrina ritiene che l’integrazione della CSR nei sistemi di governo e gestione aziendale diviene elemento determinante nella prospettiva della creazione del valore nel medio-lungo termine (Crane et al., 2014; Porter e Kramer, 2006). Sul punto si concorda pienamente con la tesi sviluppata da Eccles (Eccles et al., 2012), in base alla quale “the organizations that voluntarily adopt environmental and social policies represent a fundamentally distinct type of modern corporation characterized by governance structure that accounts for the environmental and social impact of the company in addition to financial performance, a long-term approach towards maximizing inter-temporal profits, an active stakeholder management process, and more developed measurement and reporting systems.”.
A supporto di quanto ribadito si rimarca, infatti, l’imponente diffusione di studi empirici sull’argomento, volti a dimostrare la presenza di una relazione positiva tra responsabilità sociale e ambientale d’impresa, sovente associata alla comunicazione di informativa di sostenibilità, e performance economico-finanziarie. Una ricerca condotta nel dicembre 2013 dall’ufficio studi di Hera (multiutility quotata presso Borsa Italiana) su un campione di 930 imprese europee di grandi dimensioni evidenzia come l’impegno sui temi della responsabilità sociale d’impresa, misurato dalla propensione delle aziende alla rendicontazione di sostenibilità, sia associato positivamente alla performance economica delle stesse imprese. In particolare, le imprese che pubblicano un bilancio di sostenibilità registrano migliori performance di bilancio in termini di patrimonio netto, valore della produzione, totale attivo, utile netto ed Ebitda. Tali evidenze sembrerebbero pertanto confermare che la realizzazione di un investimento in CSR favorisca nel medio-lungo termine il miglioramento delle performance economiche d’impresa.
Quest’ultima considerazione assume ancor più rilevanza laddove si considerino anche i molteplici benefici riconducibili ad un’impresa che manifesti un approccio “pro-attivo” verso la responsabilità sociale d’impresa.
Si riporta di seguito una tabella in cui sono esplicitati alcuni vantaggi tra i più evidenti derivanti da un approccio CSR-oriented.
Tabella 5: Principali benefici di un approccio CSR-oriented
Vantaggi | In cosa consistono |
Miglioramento dell’immagine e del brand aziendale | Il fatto che siano poche le PMI a comunicare in maniera efficace consente ad una PMI virtuosa di differenziarsi dalle altre, potenziando la propria immagine agli occhi di clienti, finanziatori e fornitori. Ciò equivale a dire anche che il riposizionamento strategico verso la CSR contribuisce alla notorietà ed all’incremento di valore del brand aziendale. |
Migliore posizionamento a livello di supply chain | Una PMI virtuosa è in grado di correggere distorsioni e disincentivare comportamenti in conflitto con i propri valori e con i propri principi etici, sociali e ambientali. Assume un ruolo di primo piano non solo nei confronti dei propri fornitori (partner selection in base a requisiti etici, ambientali e sociali), ma anche nei confronti dei propri clienti più importanti (di grandi dimensioni e spesso internazionali), che premino le buone pratiche nel campo della sostenibilità. |
Incremento del capitale relazionale | Imprese animate da stessi principi etici, sociali e ambientali, riconoscendo in altre imprese lo stesso livello di rendicontazione di sostenibilità, sono naturalmente portate verso l’attivazione di rapporti di tipo sinergico o aggregativo. |
Supporto dai propri stakeholder | La CSR favorisce la comunicazione bidirezionale e il coinvolgimento con gli stakeholder, attivando così meccanismi di legittimazione sociale che favoriscono l’interazione dell’impresa con gli altri attori della comunità locale. |
Reperimento di migliori risorse umane e valorizzazione di quelle presenti | Una migliore reputazione aziendale favorisce un’efficace politica di reperimento di risorse qualificate e motivate nonché un clima di lavoro più disteso e allo stesso tempo più incentivante a beneficio della produttività aziendale. |
Riconoscibilità da parte del mercato | I consumatori sono sempre più attenti alle imprese che realizzano buone pratiche in materia di sostenibilità e sono disposti perciò a riconoscere un maggior valore al prodotto e al servizio offerto da quelle imprese (e ad “accettare” il suo maggior prezzo). |
Migliore accesso al mercato del credito | Una più efficace rendicontazione economica, sociale e ambientale in una prospettiva di risk assessment può essere funzionale ad un migliore accesso al mercato del credito e a una più efficiente redistribuzione delle risorse finanziarie da parte del sistema creditizio. |
Più agevole accesso ai rapporti con la Pubblica Amministrazione | Negli appalti pubblici e negli strumenti di finanza agevolata le buone pratiche in tema di CSR costituiscono un fattore distintivo che incide positivamente nel processo di valutazione da parte della Pubblica amministrazione. |
Nelle PMI, in particolare, si ravvisa spesso una relazione positiva tra adesione alla cultura della sostenibilità ed evoluzione dei sistemi di governance.
L’orientamento alla CSR da parte delle PMI è spesso legata a fenomeni di legittimazione esterna favoriti dalla presenza di fattori quali:
I benefici su riportati, se riferiti alle PMI, entrano in stretta relazione con alcuni temi specifici che, nel corso dell’ultimo ventennio, sono stati oggetto di autorevoli studi internazionali sulla sostenibilità di tali imprese.
Tali studi hanno evidenziato alcune peculiarità, tra le quali, a mero titolo esemplificativo, si segnalano le seguenti:
(…)
3.3 Portare cultura e innovazione
Risulta evidente, da quanto finora esposto, che il primo compito del professionista nel campo della CSR e dello sviluppo sostenibile consiste nell’allargare gli orizzonti culturali delle imprese, accompagnandole e supportandole nel processo d’integrazione di tali concetti nel modello di gestione. Si tratta quindi di una grande opportunità per il professionista, cui è però associata una responsabilità altrettanto significativa, per di più in un momento di grandi cambiamenti politici, economici e sociali, in cui si sta cercando di uscire da una crisi che appare culturale e valoriale prima ancora che economica in senso stretto.
Tale percorso risulta più strutturato nelle imprese di grandi dimensioni (GI) caratterizzate da una maggiore complessità organizzativa, in cui è sempre più frequente trovare una funzione dedicata, diretta da uno specialista, il “CSR manager”, e dove la cultura aziendale in tale ambito risulta essere maggiormente diffusa e condivisa. A differenza delle PMI, dove, nella maggior parte dei casi, il cambiamento si basa su un approccio bottom-up (in cui si raccolgono e si strutturano gli stimoli che provengono dalla base), l’evoluzione delle GI è di frequente ispirata e promossa dal top management o dalla direzione, attraverso un processo top-down.
Essere interlocutore efficace per le GI, in grado di portare valore aggiunto in materia di CSR e sostenibilità, richiede quindi per il professionista, innanzitutto, un elevato livello di esperienza e una grande sensibilità. È fondamentale saper cogliere immediatamente il grado di commitment dei vertici dell’organizzazione e le motivazioni che sono alla base delle decisioni assunte in tali ambiti, al fine di calibrare il tipo di intervento ai diversi livelli della struttura. È poi necessario disporre di un team consolidato e multidisciplinare, in grado di offrire un supporto di elevata qualità nei diversi ambiti gestionali dell’impresa, considerando gli standard di riferimento e le migliori prassi internazionali.
Nelle PMI risulta invece fondamentale l’opera di affiancamento e di sensibilizzazione dell’imprenditore e dei suoi più stretti collaboratori, che devono per primi conoscere la CSR e i principi di sostenibilità e comprenderne la portata per l’impresa. Se il messaggio non passa efficacemente a questo livello, ogni ulteriore sforzo del professionista risulterà vano; viceversa, i piccoli e medi imprenditori convinti del valore strategico di un approccio di business responsabile e sostenibile risultano spesso trainanti per la propria organizzazione e sono sovente al vertice di imprese che diventano veri e propri casi di best practice.
Riflettendo quindi sul ruolo del professionista, con riferimento agli ambiti appena descritti, una prima considerazione da fare è che l’attività di consulenza si caratterizza come “trasferimento di know-how” alle persone e all’organizzazione, favorendo la creazione e/o la crescita del capitale intangibile dell’impresa. Il professionista, infatti, con i suoi servizi porta all’interno delle imprese cultura e conoscenza. Inoltre, quando è coinvolto in processi di ristrutturazione, riorganizzazione e innovazione può contribuire a orientare l’imprenditore e la sua organizzazione nella definizione delle strategie di sviluppo.
Come abbiamo già avuto modo di evidenziare, l’approccio culturale del professionista nei confronti delle aziende che intendano avviare un percorso di gestione orientato alla sostenibilità, siano esse GI o PMI, è assai diversificato, in quanto coinvolge tutti gli ambiti della gestione; in particolare, come vedremo più in dettaglio, il professionista può agire nei confronti dei propri interlocutori a diversi livelli, ciascuno dei quali richiede competenze specifiche e con modalità di approccio differenti per GI e PMI: