adattamento e regia Roberto Latini
con Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
video Barbara Weigel
organizzazione Nicole Arbelli
foto Simone Cecchetti
produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi, Festival Orizzonti. Fondazione Orizzonti d’Arte, Emilia Romagna Teatro Fondazione
Pescara, 18 febbraio 2017, Florian Metateatro
Terzo mito moderno, dopo “Lazzaro” (1928) e “La Nuova Colonia” (1929), “I Giganti della Montagna” rappresenta il mito dell’arte. Portato in scena postumo nel 1937, è l’ultimo dei capolavori pirandelliani ed è incompleto per la morte dell’autore.
Una compagnia di attori girovaghi, guidata dalla contessa Ilse, decisa a recitare “La favola del figlio cambiato” (opera dello stesso Pirandello), non trova spazio nei comuni teatri e giunge a una villa abbandonata. In realtà si celano strani e misteriosi abitanti, il mago Cotrone e gli Scalognati, che cercano di allontanarli con tuoni, fulmini, fantasmi. Ma gli irriducibili commedianti non si lasciano intimorire, e allora Cotrone cerca di convincere la contessa a recitare il suo dramma per gli ospiti della villa. Ilse non accetta l’offerta; “allora Cotrone le propone di recitare la sua favola ai Giganti della montagna, potenti signori occupati nella realizzazione di grandi opere, che potrebbero inserirla in un contesto di festeggiamenti per un loro importante matrimonio”. L’originale pirandelliano si conclude con l’arrivo dei Giganti e con la famosa espressione di Diamante, la seconda donna della compagnia del teatranti: “Ho paura…”. Pirandello affida al figlio Stefano l’epilogo del dramma: Ilse, rifiutata dai Giganti, è costretta a recitare per i loro servi, esseri barbari e rozzi che sbranano lei e i suoi attori.
Ma Roberto Latini, regista, attore e adattatore del testo, non sembra particolarmente interessato alla trama e, ancor meno, all’epilogo. La sua attenzione è rivolta ad altre suggestioni. Come si legge nelle note di presentazione dello spettacolo “la più importante è rispetto al fascino del ‘non finito’, ‘non concluso’; all’attrazione che ho sempre avuto per i testi cosiddetti ‘incompiuti’. Sono così giusti rispetto al teatro: l’incompiutezza è per la letteratura, per il teatro è qualcosa di ontologico. Trovo perfetto per Pirandello e per il Novecento che il lascito ultimo di un autore così fondamentale per il contemporaneo sia senza conclusione. Senza definizione. Senza punto e senza il sipario di quando c’è scritto – cala la tela. Voglio rimanere il più possibile nell’indefinito, accogliere il movimento interno al testo e portarlo sul ciglio di un finale sospeso tra il senso e l’impossibilità della sua rappresentazione”.
La seconda grande suggestione è riassunta in questa sua espressione: “Voglio immaginare tutta l’immaginazione che posso per muovere dalle parole di Pirandello verso un limite che non conosco. Portarle “al di fuori di tempo e spazio” (…) toglierle ai personaggi e alle loro sfumature, ai caratteri, ai meccanismi dialogici, sperando possano portarmi ad altro, altro che non so, altro, oltre tutto quello che può sembrare. Le parole, le parole, le parole! sono queste il personaggio che ho scelto”.
Latini nell’incontro con il pubblico, che ha seguito lo spettacolo, insiste: “L’unico personaggio sono le parole di Pirandello, parole non definitive, non corrette, (…) parole che non sono pronte e che, quindi, ci somigliano”. Parole che non si preoccupano di seguire la trama. Parole che, anche senza esplicita intenzione, prendono forma di poesia: ma, soprattutto, parole che “si prestano ad essere gestite musicalmente”.
Tra le tante espressioni che potrebbero essere citate, una su tutte merita di essere ricordata: “Ho paura …”. In primo luogo perché queste parole, con scelta molto efficace, aprono e chiudono la pièce; in secondo luogo perché non potrebbero essere più attuali; ma soprattutto perché, come ricorda Latini, richiamano l’esigenza di “aver a che fare con la paura”, “prendersi cura della paura”, senza allontanarla da sé ma riconoscendone piena centralità nella vita di ciascuno.
Da segnalare il decisivo contributo di Gianluca Misiti, musicista, compositore, curatore dei suoni, ma in realtà co-autore dell’adattamento. Essenziale, infatti, l’utilizzo dei microfoni in scena e dal vivo per veicolare una recitazione che trasforma costantemente la parola in suono. L’effetto è di straordinaria intensità, a testimonianza di una comune ricerca condotta da Latini e Misiti da oltre ventanni.
Sulla scena pochi elementi essenziali: una sedia, tre microfoni e un telo rosso; una voce-suono, alcuni interventi musicali avvolgenti, poche luci sapienti. L’attenzione è orientata sul suono delle singole parole e del testo nel suo complesso. Eppure la platea rimane ipnotizzata per la durata dell’intero spettacolo, immersa nella ricerca del significato, del suono e delle allusioni nascosti in ogni espressione.
In definitiva, Latini propone in scena, con grande efficacia, una lettura pirandelliana del tutto “al di fuori di tempo e spazio”, senza alcun riferimento storico, “contemporanea” tanto nei contenuti quanto nelle modalità espressive.
Resta da ricordare che per quest’opera Latini ha ricevuto il Premio della Critica dall’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro nel 2015 mentre Gianluca Misiti ha ottenuto il Premio Ubu 2015 per il Miglior progetto sonoro o musiche originali.
Infine si segnalano i prossimi appuntamenti: a Milano, Teatro Elfo Puccini in Corso Buenos Aires 33 dal 28 Febbraio al 5 Marzo 2017 (www.elfo.org) e l’8 Marzo 2017 a Buti (PI) al Teatro Francesco di Bartolo in Via F.lli Disperati, 4.