Quanto pesa la vita di una persona? Dipende dalla sua nazionalità.
Pensate che io stia dicendo un’assurdità? Eppure, purtroppo, è così e – mi dispiace dirlo – forse lo è anche per voi.
Assistiamo ogni giorno impotenti alla morte di centinaia di persone a causa di fame, guerre, carestie, attentanti terroristici o calamità naturali. Ma quante di queste tragedie hanno peso nei mezzi di informazione? Sicuramente poche. Certo non possiamo pensare che i nostri telegiornali o la carta stampata dedichino ogni giorno spazio a ogni evento drammatico che spezza la vita di persone, in ogni momento, in tutto il mondo. Ma il punto è un altro.
Sulla base di quali fattori avviene la selezione? Sicuramente per una questione di prossimità e su questo non c’è nulla da discutere. Per intenderci, se un evento drammatico avviene in Italia è giustissimo e doveroso che la stampa italiana se ne occupi. Ma quando lo stesso episodio avviene al di fuori dei confini nazionali, a quale dobbiamo dare più risalto?
Verrebbe da dire che tanto maggiore è la gravità dell’accaduto, così come la sua ampiezza, e tanto più esso meriterebbe di essere raccontato. Sempre per semplificare, se in un attentato muoiono 3 persone e in un altro perdono la vita in 100, la seconda notizia dovrebbe avere maggiore visibilità. Logico, no? Eppure troppo spesso avviene proprio il contrario.
Un esempio su tutti: il 14 ottobre due autobombe sono esplose a Mogadiscio, in Somalia, causando oltre 260 morti e più di 300 feriti; mentre ieri un furgoncino ha volontariamente investito un gruppo di ciclisti a New York provocando 8 morti e alcuni feriti. In entrambi i casi si tratta di stragi terroristiche, eppure la risonanza che le stesse hanno avuto sui nostri mezzi di comunicazione è stata decisamente diversa.
Così come diversa è stata la risonanza che hanno avuto in passato gli episodi drammatici che hanno colpito più volte la Francia, la Spagna, il Belgio, la Germania o il Regno Unito, rispetto al dramma che quotidianamente affligge territori come l’Afghanistan, la Siria, lo Yemen o il Sud Sudan (solo per citarne alcuni) dove migliaia di persone perdono la vita senza alcun clamore.
Appare atroce anche solo pensarlo, ma sembra quasi che ci sia una graduatoria stilata sulla base dell’importanza della nazionalità delle vittime. E inutile dire che quelle del Continente Nero occupano – ahimè – i posti più bassi della classifica. Pensateci un attimo: non fate anche voi così? Quando il telegiornale annuncia una strage, non abbassate immediatamente il livello di attenzione se è accaduta in un Paese africano o del Medio Oriente?
Ma come diceva nel film “Deadline – USA” Humphrey Bogart: “E’ la stampa, bellezza. La stampa! E tu non puoi farci niente. Niente!”. Oppure no. Perché qualcosa per invertire la rotta possiamo farla. Noi di Felicità Pubblica almeno ci proviamo, dando la stessa importanza a tutti, anzi spesso privilegiando gli ultimi, i dimenticati, coloro di cui si parla meno.
Lo abbiamo fatto con il Sud Sudan, dando spazio alle parole di padre Daniele Moschetti (leggi l’intervista) o raccontando il dramma dello Yemen (leggi uno degli articoli) o del Myanmar (leggi l’articolo), solo per citare alcuni esempi. E continueremo a farlo finché avremo voce, perché è troppo semplice stare sempre dalla parte di chi vince. Ma soprattutto perché siamo coscienti che avremmo potuto nascere noi dalla parte “sbagliata” del mondo.
Il direttore
Vignetta di copertina: Freccia.