Era nata come un’iniziativa benefica, poi si è trasformata in un vero e proprio tormentone, sfociando spesso in pure e semplici forme di esibizionismo, perdendo di vista il suo obiettivo originale. Ma oggi sappiamo che le secchiate di acqua gelata che due estati fa hanno letteralmente inondato le nostre pagine social hanno permesso di raggiungere un importante traguardo. Parliamo dell’ Ice Bucket Challenge, la sfida a colpi di acqua e cubetti di ghiaccio che nel 2014 è stata lanciata per raccogliere fondi a sostegno della ricerca contro la Sla. La catena di Sant’Antonio funzionava così: una persona, spesso un personaggio del mondo dello spettacolo, si versava (o si faceva versare da una terza persona) una secchiata di acqua gelata in testa e invitava altri tre amici a farlo. Parallelamente coloro che erano stati invitati ad accettare la sfida, però, dovevano anche effettuare un versamento, seppur modesto, a favore della ricerca contro la Sla.
A distanza di due anni ora scopriamo che quel tormentone estivo, che ha prodotto 17 milioni di video caricati sui social e 440 milioni di click, ha permesso di raccogliere 115 milioni di dollari (oltre 100 milioni di euro) e ha consentito a due progetti specifici di ricerca di aggiungere importanti tasselli sulla conoscenza di questa drammatica malattia. La rivista Nature Genetics, infatti, nel suo ultimo numero ha pubblicato i risultati dei due studi che hanno individuato altrettanti geni ritenuti responsabili dello sviluppo della malattia.
Le ricerche parlano anche un po’ di italiano, non solo perché sono tanti i residenti del Belpaese ad aver sostenuto la causa, ma soprattutto perché entrambi i progetti hanno visto la partecipazione di specialisti italiani.
«La sconfitta della malattia non è dietro l’angolo», spiega il professor Mario Sabatelli, ricercatore del Gemelli di Roma, «ma quanto riferito da Nature Genetics ci dice alcune cose importanti. La prima è strategica: anche una trovata all’apparenza strampalata come tirarsi secchiate d’acqua alla fine ha funzionato. Ha coinvolto tutto il mondo su un obiettivo comune perché queste battaglie, che si tratti di raccogliere soldi o di fare ricerca, ormai si vincono solo attraverso la cooperazione internazionale. Poi c’è l’aspetto scientifico: è stato confermato che la Sla nasce non da fattori ambientali ma genetici e in particolare dal malfunzionamento di più geni. Le ricerche ne hanno individuato uno, denominato Nek1, e hanno indicato dove isolarne un altro, il C21. Non siamo ancora riusciti a svelare perché questi geni si ammalano, ma il passo avanti è importante».