Circa il 60% delle oltre 500 specie di primati conosciute attualmente nel mondo, come i lemuri, i lorisidi, i galagoni, i tarsi, e le piccole e grandi scimmie, sono a rischio di estinzione, mentre il declino delle popolazioni interessa perfino il 75% di esse. Se non verranno messe in atto misure per fronteggiare il fenomeno, entro 25-50 anni la maggior parte dei primati non umani saranno scomparsi.
L’allarme arriva dallo studio “Impending extinction crisis of the world’s primates: Why primates matter”, realizzato da un team internazionale di 31 primatologi, guidato da Alejandro Estrada dell’Universidad Nacional Autónoma de México e da Paul A. Garber dell’Università dell’Illinois e al quale hanno partecipato anche Francesco Rovero e Claudia Barelli del MUSE – Museo delle scienze di Trento, che è stato pubblicato sulla rivista Science Advance.
L’indagine mette in luce che il Brasile, l’Indonesia, il Madagascar e la Repubblica democratica del Congo, ospitando ben due terzi di tutte le specie di primati, rappresentano i quattro Paesi in cui occorre adottare immediatamente urgenti misure per arrestare il tendenza globale di estinzione dei primati.
I ricercatori sottolineano che i primati non umani sono costantemente minacciati dalla perdita di habitat, risultato della costruzione di strade, apertura di miniere, industria del legname e creazione di nuove coltivazioni agricole, e dalla caccia e dal commercio illegale di animali e di loro parti. L’impatto maggiore sulla sopravvivenza dei primati, infatti, è costituito dalle pratiche agricole e soprattutto dalla produzione di olio di palma, di soia e gomma, e dalla ricerca e abbattimento di essenze pregiate e dall’allevamento, che distruggono milioni di ettari di foresta.
Inoltre per quanto riguarda la caccia e il commercio illegale risultano spesso legati ad alti tassi di incremento della popolazione e alla povertà delle comunità locali. Proprio in virtù di ciò occorre, come spiega Paul A. Garber, coautore dello studio, realizzare economie fondate sulla conservazione delle foreste e dei loro abitanti primati.
Gli studiosi, attraverso questa indagine, rivolgono dunque un appello a funzionari governativi, studiosi, organizzazioni internazionali, Ong, imprese e alla cittadinanza affinché mobilitino e sensibilizzino l’opinione pubblica riguardo alla delicata situazione dei primati in ogni parte del Pianeta, ponendo l’attenzione sui costi della loro perdita per la salute dell’ecosistema, la cultura umana e la sopravvivenza stessa degli esseri umani.