Nel 1998 Aldo Bonomi e Giuseppe De Rita pubblicano per i tipi di Bollati e Boringhieri il
Manifesto per lo sviluppo locale: dall’azione di comunità ai patti territoriali. Si tratta di un testo agile e impegnativo allo stesso tempo, che ben presto diventa un ineludibile punto di riferimento per tutti quelli che, a vario titolo, si occupano di sviluppo locale.
In occasione dell’Expo 2015 il Censis torna sull’argomento con un documento dal titolo “Il futuro dei territori. Idee per un nuovo manifesto per lo sviluppo locale”. Il documento è stato alla base di uno dei dibattiti tenutosi a Milano con la partecipazione degli stessi De Rita e Bonomi, insieme a Fabrizio Barca e Cesare Vaciago, nella sua qualità di Direttore Territori e Contenuti Padiglione Italia Expo 2015.
“Cosa resta oggi della lunga stagione dello sviluppo locale come fattore essenziale della trasformazione economica e sociale del Paese? Quali sono i territori, i soggetti, i processi che hanno saputo cogliere nuove opportunità e che si propongono come esperienze di nuovi percorsi? Mentre un certo localismo politico si patologizza in pura intermediazione di risorse senza idee né progetti per crescere, diventa importante una riflessione storica orientata al futuro: un’occasione per discutere idee per un nuovo manifesto per lo sviluppo locale”.
Questi alcuni degli interrogativi proposti dal Censis, meglio argomentati nell’introduzione del documento che riportiamo di seguito.
NUOVE TRAIETTORIE DI SVILUPPO LOCALE
Cosa resta oggi della lunga stagione dello sviluppo locale come fattore essenziale della trasformazione economica e sociale del Paese?
È un quesito lecito pensando alla portata storica dell’esperienza e alle sue radici culturali che rinviano a filoni nobili: la cultura comunitaria che faceva capo ad Adriano Olivetti, la cultura del group work di grandi organizzazioni internazionali di stampo anglosassone e la cultura cattolica nelle diverse versioni, da quella che si occupò di Mezzogiorno e riforma agraria, a quella dei nuovi borghi materani, allo Svimez, sino alle indicazioni di Padre Lebret che propugnava lo sviluppo locale come processo di autopropulsione e autocoscienza delle comunità locali.
Ai filoni fondatori seguì la stagione della istituzionalizzazione, con i tentativi di aggancio con le politiche straordinarie per il Mezzogiorno o, ancora, quelle del fattore umano. Tutto ciò entrò in crisi negli sessanta, e poi venne la stagione dei localismi vitali antesignani dei distretti che hanno marcato una fase di intenso sviluppo spontaneo dal basso.
Fu negli anni ottanta che tornò una certa attenzione allo sviluppo locale con esperienze diverse, come ad esempio gli agenti di sviluppo locale, comunitario; mentre negli anni novanta ci fu uno stadio più alto di incardinamento istituzionale con l’esperienza dei Patti territoriali, uno strumento fondamentale di concertazione degli impegni dei protagonismi locali, schema di riferimento del partenariato sociale, modo per fare sviluppo locale.
Ne nacque un vero e proprio popolo, per una volta orgoglioso di diventare protagonista del proprio sviluppo, e tuttavia l’esperienza si chiuse sotto la duplice stretta di una programmazione di stampo bulgaro dall’alto e di una riproposizione di antichi intrecci tra potere centrale e poteri locali.
Rispetto a questa esperienza oggi si è in un’epoca molto diversa di cui è utile definire alcuni degli aspetti di contesto significativi per lo sviluppo locale:
una torsione del localismo politico verso una dimensione da piccoli cacicchi, tutti presi dalla gestione del potere locale e dalla ridistribuzione di risorse esterne, a volte ingenti, da giocare sui territori;
una pericolosa mancanza di idee, visioni, progetti che non siano tarati sulla disponibilità di fondi, quasi sempre europei, che finiscono per generare una imprenditoria che vola basso;
una caduta progressiva degli investimenti infrastrutturali con relativa deprivazione nel lungo periodo dei territori;
una concentrazione delle derive patologiche richiamate soprattutto nei territori delle regioni meridionali, tanto da poter parlare di una secessione di fatto.
In tale contesto le modalità più tradizionali di fare sviluppo locale mostrano la corda con una difficoltà oggettiva a dispiegare una dinamica spontanea e autopropulsiva dal basso che, anche attraverso processi intenzionali di animazione, lieviti verso l’alto.
E allora per il futuro cosa resta e da dove si può ripartire? La realtà oggi offre comunque alcune indicazioni preziose a partire da esperienze locali: il caso più emblematico è quello relativo ai territori che hanno praticato le opportunità legate alla filiera del cibo, dalla produzione alla distribuzione al consumo, che si è mostrata il perno di processi di rilancio autopropulsivo di territori, spesso in difficoltà.
Expo 2015 è stata l’occasione per capire che oggi lo sviluppo locale sul piano economico ha nuove opportunità di saldare le reti corte locali e le reti lunghe globali, aprendo all’azione degli operatori di territorio mercati in passato impraticabili. In questo senso, esiste una molteplicità di esperienze locali che, a partire dal prodotto tipico e da una diversa visione dell’impresa agricola, hanno poi attivato una filiera di attività che dall’enogastronomia alle tante forme di turismo hanno saputo creare occupazione e reddito, praticando percorsi di nuova crescita di grande interesse.
Si può pertanto dire che laddove il localismo economico ha trovato nuovi soggetti e nuovi processi i territori hanno anche ritrovato un modo per tornare a fare sviluppo, con una buona capacità di posizionarsi rispetto alle reti globali. Restano però tutte le criticità legate alla torsione patologica del localismo politico che intermedia risorse che, allo stato attuale, sono pericolosamente orientate ad alimentare percorsi imprenditoriali lontani dalle nuove e positive esperienze di sviluppo locale.
D’altro canto va anche detto che la dimensione locale è oggi il luogo di un appagamento inerziale nel benessere raggiunto e da difendere. Malgrado la crisi, il benessere locale è nel nostro Paese una realtà in atto, che troppo spesso non mostra interesse a valorizzare la straordinaria reputazione di cui gode a livello internazionale, e piuttosto tende ad assumere la forma di una trincea in cui resistere.
Anche questo è un terreno importante di riflessione su rischi e opportunità potenziali dello sviluppo locale nel futuro.