Prima il Comitato delle Regioni dell’Unione, poi l’incontro sull’immigrazione promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze, e infine la firma del Manifesto per l’accoglienza: così i sindaci diventano protagonisti di una grande battaglia di civiltà. Ma procediamo con ordine.
Dieci giorni fa a Bruxelles il Comitato delle Regioni dell’Unione ha approvato a larghissima maggioranza il parere proposto da Enzo Bianco – sindaco di Catania, presidente del Consiglio nazionale dell’Anci e capo della delegazione italiana al Comitato delle Regioni – sulla Riforma del regolamento di Dublino sull’accoglienza a migranti e rifugiati. Il documento invita l’Unione europea a una profonda riforma del sistema di asilo, stabilendo modalità chiare per la migrazione legale e promuovendo politiche efficaci di integrazione. Nel parere si sostiene che il sistema di asilo ha bisogno di una “vera” riforma per diventare stabile, efficiente e integrato anche nell’interesse di città e regioni. Inoltre chiede di rafforzare l’ Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, ritenendo inadeguate le proposte della Commissione per riformare l’attuale regolamento Dublino.
“Il Comitato delle Regioni – ha commentato Bianco – ha detto con chiarezza alla Commissione e in particolare al commissario Dimitri Avramopulos che il fenomeno migratorio non è un’emergenza che riguarda solo alcuni Paesi, ma una questione strutturale che passa anche dall’ascolto delle esigenze di chi giunge in Europa e da una piena tutela dei minori non accompagnati. Le politiche di accoglienza per i richiedenti asilo non possono avere successo senza un pieno coinvolgimento degli enti locali di tutti i Paesi membri e occorre rafforzare la cooperazione con senso di responsabilità e solidarietà. Occorre superare il principio per cui il primo Paese dove arrivano i migranti deve farsene carico. Il commissario Avramopulos può anche dichiarare che non intende cambiare i criteri del Regolamento di Dublino, ma dovrà spiegare per quale motivo e assumersene la responsabilità. Lui stesso, che è stato per anni sindaco di Atene, ha ammesso che le città e le regioni sono in prima linea nella crisi migratoria e hanno bisogno del sostegno pieno e continuo dell’Ue”.
Due giorni dopo, il 9 e 10 dicembre, alla Casina Pio IV in Vaticano, alla presenza di Papa Francesco, il Summit dal titolo “Europa: i rifugiati sono nostri fratelli” promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze. 80 sindaci provenienti da ogni parte d’Europa sono stati chiamati a valutare alcune proposte, che “puntano a ridurre i rischi di una spirale di reazioni catastrofiche nel breve termine, e anche a massimizzare e consolidare i benefici delle riforme nel lungo termine”. Tra queste, si legge nel comunicato dell’organismo pontificio, “fermare all’origine l’ondata di rifugiati, mettendo immediatamente fine alla guerra in Siria”; “pattugliare le frontiere nazionali e dell’Unione Europea al fine di accogliere i migranti così come arrivano” in quanto “la priorità deve essere data a salvare vite”; “creare un robusto sistema di assistenza per i rifugiati, consentendo loro di chiedere asilo, accogliendo in modo equo le loro richieste, ricollocando i più vulnerabili e soddisfacendo i bisogni primari come l’istruzione e la salute”; “creare corridoi umanitari sicuri e certi, riconosciuti a livello internazionale non solo dai paesi membri della Ue”; “offrire l’amnistia o altri tipi di soluzioni per le vittime della schiavitù moderna e la tratta di esseri umani che vengono sottoposti a forme di lavoro forzato, prostituzione e traffico di organi”; “ripristinare un senso di giustizia e di eque opportunità nelle disilluse classi lavoratrici, nei giovani disoccupati e in tutti coloro la cui condizione economica è stata indebolita dalle crisi finanziarie e dall’esternalizzazione e precarizzazione del lavoro”; “concentrare le risorse, compresi eventuali aiuti aggiuntivi, nel promuovere lo sviluppo economico dei paesi a basso reddito, piuttosto che nella guerra”.
I Sindaci italiani hanno immediatamente risposto all’appello della Pontificia Accademia delle Scienze firmando il Manifesto per l’accoglienza “Europa: i rifugiati sono nostri fratelli” che riportiamo integralmente di seguito. Il Manifesto è stato sottoscritto tra gli altri, dal presidente Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro, dal presidente del Consiglio Nazionale Anci e sindaco di Catania Enzo Bianco, e dai sindaci Giuseppe Sala (Milano), Dario Nardella (Firenze), Luigi de Magistris (Napoli), Giusi Nicolini (Lampedusa), Virginia Raggi (Roma), Leoluca Orlando (Palermo), Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria), Giorgio Gori (Bergamo), Federico Pizzarotti (Parma) e Roberto Pella (Valdengo).
Europa: i rifugiati sono nostri fratelli
MANIFESTO DEI SINDACI ITALIANI PER L’ACCOGLIENZA
Noi sindaci italiani affrontiamo il dovere morale e civile di dare accoglienza a coloro che fuggono dalle emergenze umanitarie in memoria dei 24 milioni di italiani emigrati in terra straniera a cavallo tra il XIX° e il XX° secolo e con il pensiero rivolto ai quasi 5 milioni di cittadini italiani che vivono fuori dal nostro Paese: l’Italia sa cosa significa dover lasciare la propria terra per un futuro incerto.
Nell’operare a favore dell’integrazione, intendiamo contribuire alla costruzione di un’Europa in cui le bambine e i bambini portino con orgoglio la memoria della storia e dei luoghi di origine dei loro nonni e dei loro genitori e, allo stesso tempo, siano fieri di essere cittadini Europei.
Un’Europa moderna e aperta al futuro, libera dalle paure, fondata sulla valorizzazione dei talenti e del merito, solidale nei confronti del mondo che più soffre e garante di libertà e di democrazia.
L’impegno dei Sindaci va in questa direzione, nella consapevolezza che l’azione quotidiana delle istituzioni richiede uno sguardo lungo, rivolto non solo all’oggi ma al domani e al dopodomani.
Nel rispondere alla sfida epocale che la protezione dei richiedenti asilo e le migrazioni ci pongono davanti, riconosciamo nel ruolo dei Sindaci la grande responsabilità di trasformare le parole e gli atti della politica in gesti quotidiani e in scelte amministrative concrete, e di saperle raccontare e condividere con la cittadinanza, diventando così operatori di pace.
Per dare piena concretezza a queste parole, è necessario partire da un assunto: ognuno secondo le proprie possibilità e secondo giustizia.
Ciò significa:
- collaborare alla costruzione di corridoi umanitari e programmi di reinsediamento che permettano a chi fugge di raggiungere i nostri territori senza mettere a repentaglio la propria vita e senza arricchire le reti dei trafficanti, partendo dalla consapevolezza che, oggi, il 98% delle persone in fuga da emergenze umanitarie sono accolte fuori dai confini dell’Unione Europea (Turchia, Pakistan, Libano, Iran ed Etiopia sono i primi cinque Paesi per numero di persone accolte);
- organizzare l’accoglienza sostenibile attraverso i Comuni e secondo modalità diffuse, per piccoli numeri, proporzionati alla popolazione residente. Sono, questi, fattori che garantiscono sostenibilità, sicurezza e legalità per le comunità che accolgono e per le persone accolte, che permettono ai Sindaci di essere costruttori di ponti e non di muri;
- dare massima priorità alla tutela delle persone più vulnerabili, a partire dai minori stranieri non accompagnati e dalle persone vittime di tratta e sfruttamento;
- porre il rispetto della legalità a fondamento dell’accoglienza e dell’accesso al lavoro e all’abitazione come elementi condizionanti i percorsi di autonomia: far crescere in Italia una rinnovata etica pubblica nella gestione delle strutture di accoglienza e nella lotta al lavoro nero e alle speculazioni sul mercato abitativo;
- dare la massima priorità alla conoscenza della lingua italiana come essenziale strumento di emancipazione e di agevolazione della coesione sociale e quindi, in buona sostanza, di integrazione;
- riconoscere che una delle cause di fuga sono i disastri ambientali e quindi, coerentemente, riconoscere un ruolo cruciale alle politiche di risparmio energetico e di eco sostenibilità, a partire dalle città.
- garantire in ogni momento alle persone in fuga e accolte nei nostri territori, a titolo volontario e quando la situazione lo renderà possibile, la possibilità di avvalersi di un sostegno alla loro reintegrazione nei paesi di origine in modo da contribuire al processo di ricostruzione economica e sociale del loro paese.
Volgendo con decisione lo sguardo verso il futuro, non possiamo non concludere con l’assunzione di un impegno deciso e convinto a favore delle seconde generazioni.
Le persone sono la più grande risorsa di cui ogni Paese dispone.
Abbiamo l’obbligo di fare in modo che le “seconde” e le “terze generazioni” possano contribuire a tutti gli effetti alla crescita e allo sviluppo di quella che sarà, a pieno titolo, la loro patria.
I figli e i nipoti dei migranti di prima generazione possono essere il cemento per la costruzione di una compiuta, consapevole e matura società multiculturale, già presente nei fatti. Oppure, al contrario, diventare il punto di rottura di un equilibrio reso precario dalla convivenza di ragazzi con gli stessi bisogni, sogni e aspettative, ma con diritti e possibilità nettamente diversi. Sono le istituzioni a poter fare la differenza e le istituzioni più vicine a tutti i cittadini, anche ai nuovi cittadini, scelgono di essere punto di riferimento per frenare le marginalità e le discriminazioni.