È stata una lunga notte quella appena trascorsa, densa di colpi di scena e respiro trattenuto come sulle montagne russe. Diciamo subito che alla fine ha vinto il “leave” (lasciare) con il 51,9%, contro il 48,1% del “remain” (restare). L’affluenza alle urne si è attestata al 72,2%, contro quella annunciata a chiusura urne dell’83,7%.
Ma andiamo con ordine.
Era stato dichiarato che non ci sarebbero stati Exit Poll (sondaggi all’uscita dalle urne) ma sono giunti velocemente prima di mezzanotte gli Opinion Poll (sondaggi di opinione) che segnalavano come, inequivocabilmente, il remain avesse vinto il referendum con il 52% dei voti contro il 48% del leave.
Si sono sprecate parole su parole di consenso, di disamina e di soddisfazione; persino i due leader britannici si sbilanciavano, il primo ministro Cameron ringraziando i volontari e collaboratori per il fecondo lavoro svolto e Nigel Farage di UKip, affermando che questo referendum era solo una battaglia eventualmente persa nel corso di una guerra.
Improvvisamente, alla 1.30 ora italiana, i segnali economici monitorati e che sino ad allora avevano reagito in modo positivo, entravano in fibrillazione, a partire dal valore della sterlina che crollava. Le borse asiatiche nel frattempo avevano aperto cautamente positive. La confusione era immensa e i primi dati dello scrutinio reale dei voti ribaltava improvvisamente le previsioni: vinceva il leave e mano a mano aumentavano le conferme.
Alle 5,40 circa, sempre ora italiana, arrivava la conferma: la vittoria era andata al leave, il Regno Unito lasciava l’Europa.
A seguito di questa conferma c’è stato il crollo della borsa di Tokyo che improvvisamente colava a picco e perdeva circa il 7% , la sterlina perdeva il 10% sul dollaro, attestandosi a un cambio che è il più basso dal 1985, il petrolio scendeva ben sotto i 50$ a barile, mentre l’oro (bene-rifugio per definizione) saliva a 1330$ l’oncia rispetto ai 1250$ di ieri. Questi i dati a caldo di ieri, mentre è notizia recentissima quella delle dimissioni di David Cameron che lascia dichiarando che a ottobre ci sarà un nuovo primo ministro alla guida del Paese.
Vincono, non possiamo negarlo, l’euroscetticismo e la xenofobia. Perché diventa impossibile negare che la svolta decisiva nella scelta di lasciare l’Europa è stata proprio la problematica dell’immigrazione, cavalcata da Farage che è stato seguito dalla maggioranza degli inglesi. Nel frattempo la Gran Bretagna potrebbe avere anche problemi interni con la Scozia e l’Irlanda: entrambi i Paesi, infatti, hanno votato per rimanere in Europa e, stante la situazione, potrebbero di nuovo avanzare pretese di secessione.
Siamo tutti un po’ orfani e la bandiera europea avrà una stella in meno. I problemi sono e saranno molti, sia per la Gran Bretagna che per l’Unione Europea anche se ci vorranno probabilmente un paio di anni per le trattative sull’uscita dalla UE.