Quali sono le caratteristiche di un’impresa coesiva? Quale territorio può definirsi coesivo? Possiamo cercare la risposta nella seconda edizione del rapporto “Coesione è Competizione – Le nuove geografie della produzione del valore in Italia”, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere in partnership con Consorzio Aaster e Aiccon e con il sostegno di Enel e Comieco, presentato lo scorso 8 luglio in apertura del Seminario Estivo di Symbola tenutosi a Treia, in provincia di Macerata.
“Coesione è competizione prova a leggere il rapporto tra economia e società unendo lo zoom e il grandangolo. Perché la competitività dell’Italia risiede anche nel welfare delle grandi e piccole imprese, nel rispetto e nella valorizzazione dei lavoratori, nella contaminazione tra valore economico e valore sociale, nella relazionalità; sta nella capacità delle multinazionali tascabili e delle start up di trarre vigore dai territori e dalle comunità e di trainarli nel proprio cammino verso il mondo; nelle dinamiche partecipative e nella cultura della cittadinanza; nelle consuetudini antiche che alimentano parte della sharing economy; nella fitta rete di relazioni strutturali del miglior made in Italy — tra produttori, fornitori, consumatori — alimentate e arricchite anche grazie al web e ai social network che creano nuovi ruoli”.
Queste espressioni, tratte dalla presentazione di Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere, e di Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, riassumono con efficacia la necessità di “ibridare” modelli economici ormai troppo rigidi e inattuali, alla ricerca di una competitività realizzata nella logica della coesione.
Di seguito il lungo comunicato stampa che illustra i passaggi essenziali della ricerca e il link per la consultazione del testo integrale.
C’è un’Italia che resiste e sa essere innovativa, creativa, solidale, collaborativa, vocata alla qualità e alla bellezza. In poche parole resiliente, giusta e competitiva, nonostante la ripresa fatichi a decollare. È l’Italia della coesione, quella che vede le aziende camminare con le comunità, coinvolgere i cittadini e i consumatori, valorizzare e sostenere i lavoratori, relazionarsi alle energie dei territori. Proprio le imprese ‘coesive’ – quelle cioè che intrattengono relazioni con le altre imprese, le comunità, le istituzioni, i consumatori, il terzo settore – hanno una marcia in più che permette loro di andare lontano. Tanto che le nostre imprese ‘coesive’ hanno registrato nel 2015 aumenti del fatturato, rispetto al 2014, nel 47% dei casi, mentre fra le imprese “non coesive” tale quota si ferma al 38%. Dimostrando una migliore dinamicità anche sul fronte dell’occupazione: il 10 % delle imprese coesive ha dichiarato assunzioni nel 2015, contro il 6% delle altre. Idem dicasi per le esportazioni: le imprese coesive hanno ordinativi esteri in aumento nel 50% dei casi, a fronte del 39% delle non coesive, e sono maggiormente presenti sui mercati internazionali (il 76% di esse sono esportatrici contro il 68% delle non coesive). Sempre le realtà attente alla coesione sono quelle che hanno nel DNA una considerazione maggiore di valori come l’ambiente (investono infatti in prodotti e tecnologie green il 53% delle imprese coesive contro il 38% delle non coesive), la creazione di occupazione e di benessere economico e sociale, gli investimenti in qualità (l’81% delle imprese coesive ha fatto social investment nel 2015 contro il 76% delle altre).
Tutte queste realtà danno corpo e sostanza a quell’Italia che, sfidando tutti i pronostici, è protagonista europea nell’economia circolare, nella green economy e nella riduzione delle emissioni climalteranti, con primati nel surplus manifatturiero (una delle sole 5 nazioni al mondo con un surplus sopra i 100 miliardi di dollari). È quanto emerge dal rapporto “Coesione è Competizione – Le nuove geografie della produzione del valore in Italia” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere in partnership con Consorzio Aaster e Aiccon e con il sostegno di Enel e Comieco, presentato oggi in apertura del Seminario Estivo di Symbola. Un lavoro che coglie e rappresenta i fattori strategici per la nostra competitività, che si collocano su lunghezze d’onda che gli indicatori economici più diffusi non percepiscono.
“Quando l’Italia scommette sui suoi talenti e sulle comunità, quando investe sulla qualità, l’innovazione e la bellezza – commenta il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci – allora ce la fa e spesso vince nel mondo. Una scommessa ancora più valida dopo la Brexit. C’è infatti un Paese che combatte, resiste e compete grazie ad una combinazione unica di memoria del passato e voglia del futuro, di competitività e coesione sociale, di resilienza che è fatta di legami territoriali e beni comuni, di equità e giustizia sociale, di collaborazione, solidarietà e innovazione. Un’Italia che, a partire dal prossimo anno, può avvantaggiarsi dall’obbligo di redigere il bilancio sociale e ambientale per le imprese sopra i 500 addetti fissato dall’UE. Un Paese ricco di saper fare artigiano che abbraccia ricerca, cultura, bellezza e raccoglie le sfide del web e delle nuove tecnologie. Un’Italia che fa l’Italia senza lasciare indietro nessuno e anzi trovando nuova forza nel viaggiare uniti, nel tenere insieme le diversità. Un’Italia dall’economia più a misura d’uomo, più vicina all’economia di cui parla Papa Francesco”.
“La crescente sensibilità del cittadino ai temi della tutela della sostenibilità in tutte le sue sfaccettature sta progressivamente modificando il modo di fare impresa”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello. “Le aziende, infatti, sono sempre più consapevoli del fatto che una quota importante del successo dei propri prodotti e servizi si gioca oggi anche su aspetti non meramente economici ma valoriali. La forza dell’Italia è nella qualità di un’offerta altamente specializzata. Si articola in filiere e distretti e si fonda su un tessuto di piccole imprese che ‘si alleano’ per affrontare i mercati. È una Italia in cui dobbiamo continuare a credere, fornendole gli strumenti per misurarsi con il mondo: semplificazione, digitalizzazione, formazione del capitale umano. Obiettivi strategici per il futuro del nostro Paese, che le Camere di commercio vogliono contribuire a raggiungere”.
Tutte queste realtà danno corpo e sostanza a quell’Italia che, sfidando tutti i pronostici, è protagonista europea nell’economia circolare, nella green economy e nella riduzione delle emissioni climalteranti, con primati nel surplus manifatturiero (una delle sole 5 nazioni al mondo con un surplus sopra i 100 miliardi di dollari). È quanto emerge dal rapporto “Coesione è Competizione – Le nuove geografie della produzione del valore in Italia” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere in partnership con Consorzio Aaster e Aiccon e con il sostegno di Enel e Comieco, presentato oggi in apertura del Seminario Estivo di Symbola. Un lavoro che coglie e rappresenta i fattori strategici per la nostra competitività, che si collocano su lunghezze d’onda che gli indicatori economici più diffusi non percepiscono.
“Quando l’Italia scommette sui suoi talenti e sulle comunità, quando investe sulla qualità, l’innovazione e la bellezza – commenta il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci – allora ce la fa e spesso vince nel mondo. Una scommessa ancora più valida dopo la Brexit. C’è infatti un Paese che combatte, resiste e compete grazie ad una combinazione unica di memoria del passato e voglia del futuro, di competitività e coesione sociale, di resilienza che è fatta di legami territoriali e beni comuni, di equità e giustizia sociale, di collaborazione, solidarietà e innovazione. Un’Italia che, a partire dal prossimo anno, può avvantaggiarsi dall’obbligo di redigere il bilancio sociale e ambientale per le imprese sopra i 500 addetti fissato dall’UE. Un Paese ricco di saper fare artigiano che abbraccia ricerca, cultura, bellezza e raccoglie le sfide del web e delle nuove tecnologie. Un’Italia che fa l’Italia senza lasciare indietro nessuno e anzi trovando nuova forza nel viaggiare uniti, nel tenere insieme le diversità. Un’Italia dall’economia più a misura d’uomo, più vicina all’economia di cui parla Papa Francesco”.
“La crescente sensibilità del cittadino ai temi della tutela della sostenibilità in tutte le sue sfaccettature sta progressivamente modificando il modo di fare impresa”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello. “Le aziende, infatti, sono sempre più consapevoli del fatto che una quota importante del successo dei propri prodotti e servizi si gioca oggi anche su aspetti non meramente economici ma valoriali. La forza dell’Italia è nella qualità di un’offerta altamente specializzata. Si articola in filiere e distretti e si fonda su un tessuto di piccole imprese che ‘si alleano’ per affrontare i mercati. È una Italia in cui dobbiamo continuare a credere, fornendole gli strumenti per misurarsi con il mondo: semplificazione, digitalizzazione, formazione del capitale umano. Obiettivi strategici per il futuro del nostro Paese, che le Camere di commercio vogliono contribuire a raggiungere”.
Territori coesivi
E come le imprese anche i territori possono essere coesivi, cioè caratterizzati dalla presenza di legami e relazioni solide e profonde tra le loro diverse componenti: comunità, imprese, istituzioni, soggetti più deboli. Dove tutti questi rapporti contribuiscono a migliorare e rafforzare la qualità della vita. Ebbene le Regioni più coesive, quelle con una maggiore attenzione al lavoro e alla legalità, con maggiore presenza del non profit e maggiore livello di relazionalità delle imprese, sono in ordine Trentino Alto Adige (137,4 sulla media dell’Italia uguale a 100), Lombardia (114,5), Veneto (113,5), Toscana (109,4), Friuli Venezia Giulia (108,5). Territori in cui la coesione sociale è superiore al livello medio nazionale, così come sono maggiori della media nazionale il livello di raccolta differenziata, la propensione al voto e l’integrazione socio-economica degli stranieri (misurata nel rapporto tra occupati stranieri e cittadini italiani). Le regioni più coesive sono anche quelle in cui la ricchezza misurata in Pil procapite e reddito disponibile delle famiglie è maggiore e meglio distribuita. Considerando il reddito disponibile delle famiglie, ad esempio, fatto 100 il valore medio nazionale le regioni che hanno le migliori performance sono Trentino Alto Adige (129,8), Emilia Romagna (125,5), Lombardia (124,3) Valle d’Aosta (123,4) e Friuli Venezia Giulia (120,7). Di questo bisogna ricordarsi anche quando si propongono soluzioni economiche per il Sud Italia.
Le imprese che vivono in questi territori e che questo rapporto racconta hanno capito che la coesione conviene, che il fatturato dipende sempre più anche da fattori non strettamente economici, come il rispetto dell’ambiente, i diritti dei lavoratori, la valorizzazione delle risorse umane, il sostegno alle comunità, le dinamiche partecipate, la promozione culturale e dei territori. Socialità e sviluppo sono correlate e incorporate in una nuova generazione di imprese (ibride), che hanno nel proprio DNA un forte rapporto con il territorio e un orientamento verso la generazione d’impatto sociale. Tutti elementi che queste realtà gestiscono come fattori produttivi, perché sanno che conviene prestare attenzione anche a questi elementi. Una frontiera allargata della responsabilità sociale di impresa.
Fronte avanzato in cui questo è un anno da primato. I dati 2016 sulla responsabilità sociale d’impresa sono quelli più elevati percentualmente degli ultimi 15 anni: l’80% delle aziende italiane con oltre 80/100 dipendenti dichiara di impegnarsi in iniziative di RSI, per un investimento globale che ha raggiunto la cifra record di 1 miliardo e 122 milioni di euro nel 2015. E proprio la responsabilità sociale di impresa riceverà presto una nuova spinta dall’Europa con la direttiva che prevede l’obbligo a partire del 2017 di redigere il bilancio sociale e ambientale per le imprese con più di 500 occupati e anche dalle norme introdotte con la legge di Stabilità. Ma soprattutto un nuovo paradigma economico più giusto e inclusivo, che produce anche valore sociale, un antidoto alla disgregazione sociale e alle paure che in Gran Bretagna hanno portato alla Brexit.
Un cammino in cui le imprese vanno verso la società e in cui il terzo settore si ispira al mondo del profit, ad esempio nel fundraising, in una ibridazione reciproca foriera di innovazione nella ricerca della soluzione al problema affrontato. La competitività trova infatti il suo humus anche nell’azione dei volontari, nell’iniziativa dei gruppi territoriali, alimentata anche da misure come il baratto amministrativo, apprezzato, secondo un sondaggio Ipsos, da oltre tre italiani su quattro.
E come le imprese anche i territori possono essere coesivi, cioè caratterizzati dalla presenza di legami e relazioni solide e profonde tra le loro diverse componenti: comunità, imprese, istituzioni, soggetti più deboli. Dove tutti questi rapporti contribuiscono a migliorare e rafforzare la qualità della vita. Ebbene le Regioni più coesive, quelle con una maggiore attenzione al lavoro e alla legalità, con maggiore presenza del non profit e maggiore livello di relazionalità delle imprese, sono in ordine Trentino Alto Adige (137,4 sulla media dell’Italia uguale a 100), Lombardia (114,5), Veneto (113,5), Toscana (109,4), Friuli Venezia Giulia (108,5). Territori in cui la coesione sociale è superiore al livello medio nazionale, così come sono maggiori della media nazionale il livello di raccolta differenziata, la propensione al voto e l’integrazione socio-economica degli stranieri (misurata nel rapporto tra occupati stranieri e cittadini italiani). Le regioni più coesive sono anche quelle in cui la ricchezza misurata in Pil procapite e reddito disponibile delle famiglie è maggiore e meglio distribuita. Considerando il reddito disponibile delle famiglie, ad esempio, fatto 100 il valore medio nazionale le regioni che hanno le migliori performance sono Trentino Alto Adige (129,8), Emilia Romagna (125,5), Lombardia (124,3) Valle d’Aosta (123,4) e Friuli Venezia Giulia (120,7). Di questo bisogna ricordarsi anche quando si propongono soluzioni economiche per il Sud Italia.
Le imprese che vivono in questi territori e che questo rapporto racconta hanno capito che la coesione conviene, che il fatturato dipende sempre più anche da fattori non strettamente economici, come il rispetto dell’ambiente, i diritti dei lavoratori, la valorizzazione delle risorse umane, il sostegno alle comunità, le dinamiche partecipate, la promozione culturale e dei territori. Socialità e sviluppo sono correlate e incorporate in una nuova generazione di imprese (ibride), che hanno nel proprio DNA un forte rapporto con il territorio e un orientamento verso la generazione d’impatto sociale. Tutti elementi che queste realtà gestiscono come fattori produttivi, perché sanno che conviene prestare attenzione anche a questi elementi. Una frontiera allargata della responsabilità sociale di impresa.
Fronte avanzato in cui questo è un anno da primato. I dati 2016 sulla responsabilità sociale d’impresa sono quelli più elevati percentualmente degli ultimi 15 anni: l’80% delle aziende italiane con oltre 80/100 dipendenti dichiara di impegnarsi in iniziative di RSI, per un investimento globale che ha raggiunto la cifra record di 1 miliardo e 122 milioni di euro nel 2015. E proprio la responsabilità sociale di impresa riceverà presto una nuova spinta dall’Europa con la direttiva che prevede l’obbligo a partire del 2017 di redigere il bilancio sociale e ambientale per le imprese con più di 500 occupati e anche dalle norme introdotte con la legge di Stabilità. Ma soprattutto un nuovo paradigma economico più giusto e inclusivo, che produce anche valore sociale, un antidoto alla disgregazione sociale e alle paure che in Gran Bretagna hanno portato alla Brexit.
Un cammino in cui le imprese vanno verso la società e in cui il terzo settore si ispira al mondo del profit, ad esempio nel fundraising, in una ibridazione reciproca foriera di innovazione nella ricerca della soluzione al problema affrontato. La competitività trova infatti il suo humus anche nell’azione dei volontari, nell’iniziativa dei gruppi territoriali, alimentata anche da misure come il baratto amministrativo, apprezzato, secondo un sondaggio Ipsos, da oltre tre italiani su quattro.
La coesione made in Italy
La coesione made in Italy Oltre al profitto, le imprese coesive promuovono la creazione di valore sociale. Come una freccia in più nell’arco della competitività italiana. È sempre più diffusa, infatti, la consapevolezza che sono i territori competitivi (quelli con un’alta dotazione di capitale sociale) a far competitive le imprese, e non viceversa.
Fra le aziende coesive c’è chi guarda al benessere dei propri collaboratori, come Elica, che ha ottenuto per la settima volta consecutiva il marchio di certificazione Top Employer: un riconoscimento che premia, a livello mondiale, le aziende che offrono eccellenti condizioni di lavoro ai propri dipendenti. C’è chi guarda al territorio, come la sartoria di Angelo Inglese, che decidendo, nonostante i tanti problemi, di rimanere a Ginosa di Puglia non solo ha salvaguardato mestieri tradizionali che rischiavano di sparire creando un vero e proprio un indotto, ma è impegnata anche in un progetto di recupero della lana locale. O anche Cms, leader della meccanica mondiale, che ha attivato un progetto di volontariato d’impresa – VolontariAMO – a supporto della comunità di Marano sul Panaro (MO). C’è chi, come Illy, collabora con organizzazioni no profit per finanziare progetti educativi a sostegno di comunità straniere.
C’è chi si mette insieme per essere più competitivo all’insegna della sostenibilità ambientale, come la rete 100% Campania che aggrega le industrie campane del ciclo di lavorazione della carta che hanno deciso di sviluppare prodotti sempre più innovativi e di promuovere il miglioramento della raccolta differenziata regionale. C’è Daniela Ducato, che con la sua Edizero, che tramite l’innovazione ecologica crea prodotti che risolvono i problemi delle comunità; Brunello Cucinelli con la grande attenzione al territorio e ai dipendenti, Ferrero con l’omonima Fondazione dedicata ai lavoratori in pensione, Gucci e l’attenzione alla filiera dei fornitori. C’è Enel, unica impresa italiana e unica utility al mondo nel Global Compact, iniziativa delle Nazioni Unite per incoraggiare le aziende di tutto il mondo verso la sostenibilità e la responsabilità sociale.
Infine, c’è un marchio storico del made in Italy, come Ferragamo, che si prende cura della filiera, avvalendosi di un processo di qualificazione dei fornitori che tocca i requisiti tecnici e qualitativi, economici e finanziari e le certificazioni. Ma c’è di più. L’attenzione alla dimensione della sostenibilità sociale entra a far parte degli obiettivi di business con le Benefit Corporation, imprese che per statuto coniugano profitto e beneficio per la comunità e per il territorio in cui operano. Un nuovo paradigma in cui l’Italia è all’avanguardia, essendo il primo Paese dopo gli Stati Uniti, dove le B Corp sono nate, ad essersi dotato di una normativa in materia: e qualcosa questo vorrà pur dire. Alla pioniera Nativa si stanno aggiungendo altri casi, fra cui Fratelli Carli, Equilibrium, Banca Prossima.
Un nuovo paradigma che ritroviamo anche nelle nuove forme dell’abitare. Innovare il modo di vivere all’interno dei condomìni e progettare la residenzialità urbana in maniera sostenibile: ecco, in sintesi, le vocazioni di CoHousing.it, comunità collaborativa nata a Milano nel 2007. E parlare di co-housing, significa anche parlare di architettura partecipata. Come è avvenuto nel caso della collaborazione tra CoHousing.it e lo studio di architetti FreyrieFlores di Milano, che ha contribuito a migliorare il modello proprio introducendo questa pratica con il progetto CO22.
La coesione made in Italy Oltre al profitto, le imprese coesive promuovono la creazione di valore sociale. Come una freccia in più nell’arco della competitività italiana. È sempre più diffusa, infatti, la consapevolezza che sono i territori competitivi (quelli con un’alta dotazione di capitale sociale) a far competitive le imprese, e non viceversa.
Fra le aziende coesive c’è chi guarda al benessere dei propri collaboratori, come Elica, che ha ottenuto per la settima volta consecutiva il marchio di certificazione Top Employer: un riconoscimento che premia, a livello mondiale, le aziende che offrono eccellenti condizioni di lavoro ai propri dipendenti. C’è chi guarda al territorio, come la sartoria di Angelo Inglese, che decidendo, nonostante i tanti problemi, di rimanere a Ginosa di Puglia non solo ha salvaguardato mestieri tradizionali che rischiavano di sparire creando un vero e proprio un indotto, ma è impegnata anche in un progetto di recupero della lana locale. O anche Cms, leader della meccanica mondiale, che ha attivato un progetto di volontariato d’impresa – VolontariAMO – a supporto della comunità di Marano sul Panaro (MO). C’è chi, come Illy, collabora con organizzazioni no profit per finanziare progetti educativi a sostegno di comunità straniere.
C’è chi si mette insieme per essere più competitivo all’insegna della sostenibilità ambientale, come la rete 100% Campania che aggrega le industrie campane del ciclo di lavorazione della carta che hanno deciso di sviluppare prodotti sempre più innovativi e di promuovere il miglioramento della raccolta differenziata regionale. C’è Daniela Ducato, che con la sua Edizero, che tramite l’innovazione ecologica crea prodotti che risolvono i problemi delle comunità; Brunello Cucinelli con la grande attenzione al territorio e ai dipendenti, Ferrero con l’omonima Fondazione dedicata ai lavoratori in pensione, Gucci e l’attenzione alla filiera dei fornitori. C’è Enel, unica impresa italiana e unica utility al mondo nel Global Compact, iniziativa delle Nazioni Unite per incoraggiare le aziende di tutto il mondo verso la sostenibilità e la responsabilità sociale.
Infine, c’è un marchio storico del made in Italy, come Ferragamo, che si prende cura della filiera, avvalendosi di un processo di qualificazione dei fornitori che tocca i requisiti tecnici e qualitativi, economici e finanziari e le certificazioni. Ma c’è di più. L’attenzione alla dimensione della sostenibilità sociale entra a far parte degli obiettivi di business con le Benefit Corporation, imprese che per statuto coniugano profitto e beneficio per la comunità e per il territorio in cui operano. Un nuovo paradigma in cui l’Italia è all’avanguardia, essendo il primo Paese dopo gli Stati Uniti, dove le B Corp sono nate, ad essersi dotato di una normativa in materia: e qualcosa questo vorrà pur dire. Alla pioniera Nativa si stanno aggiungendo altri casi, fra cui Fratelli Carli, Equilibrium, Banca Prossima.
Un nuovo paradigma che ritroviamo anche nelle nuove forme dell’abitare. Innovare il modo di vivere all’interno dei condomìni e progettare la residenzialità urbana in maniera sostenibile: ecco, in sintesi, le vocazioni di CoHousing.it, comunità collaborativa nata a Milano nel 2007. E parlare di co-housing, significa anche parlare di architettura partecipata. Come è avvenuto nel caso della collaborazione tra CoHousing.it e lo studio di architetti FreyrieFlores di Milano, che ha contribuito a migliorare il modello proprio introducendo questa pratica con il progetto CO22.