È arduo commentare un testo di legge che non ha ancora vista la luce nella sua formulazione definitiva. Tuttavia il Governo sta abituando la stampa e l’opinione pubblica a questo complesso esercizio di “divinazione”. Oltre lo scherzo, il comportamento invalso nella gestione degli ordini del giorno del Consiglio dei Ministri e, soprattutto, dei correlati comunicati stampa, crea qualche imbarazzo. Di norma, per qualche settimana, il dibattito politico si concentra sull’annuncio che a una certa data verrà varato dal Consiglio dei Ministri un provvedimento molto atteso che risolverà, una volta per tutte, un problema cruciale, in precedenza sempre affrontato in modo inconcludente. Naturalmente l’esame del provvedimento viene posticipato in più occasioni, aumentando l’attesa nell’opinione pubblica. Le dichiarazioni di esponenti del Governo si susseguono per rassicurare che si stanno mettendo a punto le ultime limature ma la sostanza è definita e il problema in questione troverà la sua soluzione definitiva. Poi il provvedimento viene inserito all’ordine del giorno e discusso in una specifica seduta ma, guarda caso, ne viene approvato in via preliminare soltanto uno schema. In altri termini non c’è una versione definitiva. Di conseguenza non viene reso pubblico alcun documento e, quindi, i commentatori sono costretti a discutere supposizioni e indiscrezioni. Al contrario, i più ottimisti si sentono autorizzati ad archiviare l’argomento, ormai “risolto”, in virtù del solo inserimento all’ordine del giorno di una seduta del CdM.
Questo è accaduto anche nel caso della delega relativa alla trasparenza e all’accesso da parte dei cittadini alle informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione. Il Consiglio dei Ministri del 20 gennaio ha approvato in via preliminare lo schema del decreto attuativo della Legge Madia di Riforma della Pubblica Amministrazione (Legge n. 124/2015) che, nelle intenzioni del Governo dovrebbe diventare il “Freedom of Information Act” (Foia) italiano, una nuova legge di accesso all’informazione, coerente con gli standard internazionali.
La bozza del testo non è mai stata pubblicata ma il 27 gennaio alcune testate hanno anticipato una dettagliata relazione che illustra l’intero articolato normativo presentato in Consiglio dei Ministri (leggi articolo).
Felicità Pubblica ha trattato l’argomento in un approfondimento di metà gennaio, riportando le posizioni delle associazioni che partecipano a Foia4Italy. Oggi vogliamo tornare sull’argomento per conoscere le preoccupazioni di quanti hanno esaminato con attenzione la bozza del provvedimento. Siamo consapevoli che si tratta di una discussione “virtuale”, di eventuali critiche non suffragate da dati ufficiali, ma l’argomento è troppo importante per astenersi dai commenti e attendere silenziosamente la pubblicazione della norma. Allora, meglio correre il rischio di essere smentiti, restando in compagnia di chi da anni conduce una battaglia per un autentico “Freedom of Information Act”, piuttosto che sentirsi appagati dal solo annuncio di mirabili soluzioni.
Per questo riportiamo di seguito una parte dell’articolo di Claudio Cesarano dell’Associazione Diritto di Sapere, dal significativo titolo “Decreto trasparenza: senza modifiche drastiche non è un vero FOIA”. Il testo è stato pubblicato sul portale www.riparteilfuturo.it , promosso da Libera e Gruppo Abele per sostenere una grande campagna digitale contro la corruzione in Italia.
“Purtroppo, già alla prima lettura della bozza entrata in CdM, questo testo è assai deludente e sicuramente non all’altezza delle promesse che il ministro Madia e lo stesso presidente Renzi hanno ripetuto pubblicamente nei mesi scorsi.
Se il testo non sarà modificato nelle prossime settimane, questa sarà l’ennesima occasione perduta per fare dell’Italia un paese più democratico e giusto. Oggi siamo solo 97° su 103 paesi nel ranking internazionale di accesso all’informazione e secondo l’ultimo rapporto di Transparency International penultimi in Europa e 61° nel mondo per lotta alla corruzione.
Con un vero Foia tutti avrebbero diritto di sapere quello che fanno governi e amministrazioni perché i cittadini possono accedere agli atti e ai documenti delle pubbliche amministrazioni, ma invece di un passo avanti il nuovo decreto rischia addirittura di far retrocedere il nostro Paese.
Allo stato attuale, grazie all’art. 6, il nuovo decreto trasparenza offre molte scappatoie per non divulgare informazioni non solo sulle società partecipate ma anche sulle spese dei politici e molto altro.
Il testo presentato al Cdm del 20 gennaio 2016 non soddisfa le esigenze del Paese e non è all’altezza della democrazia italiana perché non supera il modello di accesso costruito dalla Legge 241 del 1990 e non rispetta i 10 punti irrinunciabili che abbiamo individuato.
Il decreto, infatti, istituisce una nuova tipologia di accesso che non sostituisce quella prevista dalla Legge n. 241/1990. Anzi, il nuovo “accesso civico” rappresenta una sorta di accesso di serie B in quanto consente a chiunque di vedere ed avere copia di dati e documenti solo ove non ricorrano una serie di numerosissime eccezioni. La lunga lista delle esclusioni, di fatto, attribuisce un ampio potere discrezionale alle pubbliche amministrazioni e in più non sono chiaramente individuati i confini tra il nuovo accesso e quello precedente definito dalla legge 241.
Non si comprende la scelta di due strumenti di accesso paralleli, soluzione che non è in linea con il quadro internazionale, complica l’attuazione, rischia di rendere maggiormente gravoso il lavoro delle amministrazioni (che dovranno valutare e utilizzare il potere discrezionale) e può avere l’effetto “boomerang” di diminuire l’ampiezza di dati e documenti per i quali è possibile l’accesso (date le ampie e numerose eccezioni, maggiori rispetto alla legge 241/1990).
Inoltre:
• non è previsto che l’accesso ai documenti informatici sia sempre gratuito;
• non sono indicati precisamente i costi che potranno essere richiesti al richiedente (es. per riproduzione e spedizione);
• non è previsto che quando un’informazione sia stata oggetto di un certo numero di richieste di accesso, l’amministrazione debba pubblicare l’informazione nella sezione “Amministrazione Trasparente”;
• i rimedi giudiziari previsti non sono veloci e poco onerosi e non è previsto alcun rimedio stragiudiziale (es. ricorso ad ANAC);
• non sono previste adeguate sanzioni in caso di accesso illegittimamente negato;
• le pubbliche amministrazioni possono continuare ad applicare il silenzio-diniego rendendo molto arduo il percorso di richiesta”.
In conclusione, possiamo solo auspicare che l’arco di tempo che intercorre tra l’approvazione dello schema di provvedimento e il provvedimento definitivo possa consentire al Governo una riflessione e una messa a punto utili a mantenere le promesse e dotare il Paese di un autentico Freedom of Information Act.