Dei Testimoni di Geova, così seri, severi e con rigide regole, diffidano un po’ tutti, non comprendendo la loro religione e non volendolo fare. Ma tra il non comprendere e il vietare passa un abisso, ed ecco la Russia mettersi di nuovo in luce per l’ennesima prodezza: il Paese dell’Est ha messo al bando la congregazione religiosa con l’accusa di estremismo, attraverso una sentenza della Corte Suprema che addirittura ha ordinato la confisca di ogni proprietà del gruppo, che verrà trasferita allo Stato.
Conosciuti per il loro modo di predicare porta a porta, i Testimoni di Geova – nati negli Stati Uniti in Pennsylvania nel 1870 – respingono parte dei principi cardine della fede cristiana, secondo una rilettura delle Sacre Scritture che guarda alla pratica del cristianesimo delle origini. In molti Paesi hanno generato controversie per il rifiuto delle trasfusioni di sangue e l’opposizione al servizio militare.
Secondo i giudici della Corte Suprema, la congregazione dei Testimoni di Geova distrugge le famiglie, alimenta l’odio verso i propri simili umani e mette a rischio vite umane. Addirittura l’avvocato del ministero di Giustizia ha parlato di «minaccia per i diritti dei cittadini, per l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza».
Va segnalato che da diverso tempo molte delle loro pubblicazioni erano state inserite nella lista della letteratura estremista vietata, il sito online oscurato e tutto ciò indipendentemente dal fatto che il gruppo respinga le accuse e non ci siano evidenze di quanto sostiene il ministero.
Commenta amareggiato il portavoce della congregazione russa da San Pietroburgo, Jaroslav Sivulskij: «Siamo scioccati da quest’ingiustizia. Durante il processo il ministro della Giustizia non ha presentato alcuna prova d’estremismo. Abbiamo semmai ascoltato numerose testimonianze inconfutabili sulla nostra innocenza. Siamo tornati all’era sovietica quando noi Testimoni di Geova eravamo perseguitati. Mio padre trascorse 7 anni in prigione, inclusi sei mesi in isolamento. Mia madre, appena diciottenne, venne condannata a 10 anni di carcere. Fu rilasciata dopo 4 grazie a un’amnistia alla morte di Stalin, ma dovette andare in esilio in Siberia insieme alla sua famiglia».
E aggiunge caparbio: «I Testimoni di Geova erano tornati liberi di professare la loro fede al crollo dell’Urss nel 1991, sembrava che avessimo riconquistato la libertà, ma non è così. Andremo in prigione di nuovo. Non smetteremo di credere nel nostro Dio e di praticare la nostra religione. Non abbiamo smesso sotto il regime sovietico, non smetteremo nel ventunesimo secolo», annunciando che la congregazione presenterà appello e, se necessario, ricorso presso la Corte europea per i diritti umani. «Non ci arrendiamo» è la sua conclusione.