In India fino a qualche giorno fa bastava pronunciare tre volte di seguito la parola “talaq” (“ti divorzio”) affinché un uomo musulmano potesse divorziare dalla propria moglie con effetto immediato. Una lite di un minuto, un semplice capriccio, un qualsiasi motivo irragionevole potevano di fatto dar luogo al divorzio istantaneo islamico. Non era neanche necessario che la tripla formula fosse recitata davanti a un giudice, bastava una semplice lettera, una mail, un messaggio inviato al giudice dal proprio telefono. Men che meno era fondamentale guardare in viso, o se non nel viso negli occhi, o se non negli occhi attraverso il cancello del burqua, la propria sposa.
La buona notizia è che la Corte Suprema, in India, ha reso incostituzionale questa assurda pratica. A ben vedere le donne hanno ottenuto una vittoria di misura perché il voto dei giudici non è stato unanime ma di 3 contro 2. Ma certamente è stato meglio vincere per il rotto della cuffia che vedersi di nuovo sconfitte da leggi opinabili, ingiuste, improbabili e inconcepibili. Così ora il Parlamento avrà 6 mesi di tempo per rendere effettiva la decisione e trasformarla in legge.
Il tripo talaq – il divorzio istantaneo – tra i Paesi islamici ormai resisteva solo in India, dunque è effettivamente caduta l’ultima frontiera di questo sopruso. Ma è bene chiarire che nella stessa India permane ancora un’altra pratica, il “talaq-ul sunnat” che, in breve, si svolge in questa maniera: il marito pronuncia il primo “talaq” ma deve attendere il successivo ciclo lunare per enunciare il secondo. Se lo fa, la consorte si preparerà al cosiddetto periodo di “iddat” che ha la durata di 3 cicli mestruali. Qualora il marito, durante quest’ultimo periodo, dovesse avere dei ripensamenti si andrà incontro a una riconciliazione. Diversamente, per la moglie non ci saranno speranze e il matrimonio potrà dirsi finito.
Una parità di genere che appare un miraggio nelle società islamiche ma con la messa al bando del divorzio istantaneo un primo passo è stato fatto e soprattutto fa ben sperare il più consolidato livello di consapevolezza espresso dalle stesse donne indiane di religione musulmana perché, di fatto, le prime petizioni che hanno portato a questo successo provengono da iniziative femminili.
Per quanto questo non possa definirsi un passo storico è indubbio che però alcune coscienze inizino a svegliarsi da un lungo sonno indotto da una società profondamente retriva e maschilista, soprattutto in considerazione del fatto che da ora in poi le donne indiane musulmane avranno uno strumento legale in più per non essere liquidate con tre assurde parole.