Un quadro ancora molto allarmante quello che emerge dal nuovo rapporto l’Indice Globale della Fame 2016 (GHI), redatto da Cesvi e presentato a Milano nella sede dell’ISPI. Il documento, che ogni anno fotografa il tasso di malnutrizione nei diversi Paesi del mondo, mette in luce una situazione tutt’altro che rosea e ben lontana dall’Obiettivo ‘Fame Zero’ delle Nazioni Unite entro il 2030. Tre dati su tutti: i denutriti cronici sono 795 milioni, un bambino su quattro è affetto da arresto della crescita e l’8% da deperimento.
Dal rapporto emerge però qualche primo debole segnale di speranza. Stando ai dati, infatti, il livello di fame nei Paesi in via di sviluppo è diminuito del 29% dal 2000 ad oggi così come nessun Paese in via di sviluppo è risultato nella categoria “estremamente allarmante”. I livelli di fame in 50 dei 118 Paesi analizzati rimangono “gravi’’ (43 Paesi) o “allarmanti” (7 Paesi).
Prevedibile che l’Africa a sud del Sahara abbia il livello di fame più alto, seguita a breve distanza dall’Asia meridionale. A completamento della classifica dei 10 Paesi con i più alti livelli di fame, dopo Repubblica Centrafricana, Ciad e Zambia troviamo Haiti, Madagascar, Yemen, Sierra Leone, Afghanistan, Timor-Est e Niger.
A questi dati va aggiunto, però, che sono ben 13 i Paesi per i quali non è stato possibile raccogliere dati completi. Si tratta principalmente di Stati colpiti da guerre e crisi come Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Libia, Sud Sudan e Siria.
«Il mondo ha compiuto progressi sostanziali nella lotta alla fame, ma a una velocità ancora non sufficiente» spiega Daniela Bernacchi, amministratore delegato Cesvi. «Porre fine alla fame nel mondo è un obiettivo ambizioso, ma non impossibile. Per raggiungerlo è necessario che tutti gli attori in gioco aumentino l’impegno e la responsabilità: stabilire le giuste priorità per garantire che i governi, il settore privato e la società civile dedichino tempo e risorse necessarie per sconfiggere la fame».
Ed è proprio sottolineando l’importanza di azioni concrete che ai dati dell’Indice Globale della Fame, Cesvi affianca la sua esperienza concreta in Zimbabwe, al 99° posto nella classifica del GHI2016 e, ad oggi, uno dei Paesi dell’Africa a sud del Sahara maggiormente colpiti da El Niño con oltre 2,8 milioni di persone affette da insicurezza alimentare. Il caso studio del progetto “Shashe Citrus Orchard” descrive il lavoro di Cesvi che dal 2011 gestisce insieme alla comunità di Shashe, località al confine con il Sudafrica e il Botswana, un aranceto di oltre 90 ettari: il progetto è riuscito a trasformare una zona desertica in una opportunità economica per la popolazione locale.
Alla base delle raccomandazioni strategiche contenute nell’Indice Globale della Fame 2016 c’è, dunque, la necessità di trasformare l’Obiettivo Fame Zero in un impegno esteso a tutte le istituzioni dando priorità, a livello nazionale e internazionale, alla coerenza delle politiche per uno sviluppo sostenibile, per rendere effettivo l’impatto sulla riduzione della povertà e della malnutrizione.