Vi proponiamo un libro, “Io sono Malala”, che è una storia vera, quella di Malala Yousafzai, la più giovane candidata al Premio Nobel per la Pace.
Malala nasce in Pakistan, in un villaggio pashtun nella valle dello Swat, in un contesto tradizionalista e fortemente condizionato dalla religione islamica e dai precetti contenuti nel Corano, che come tutti i libri sacri lascia spazio a interpretazioni più o meno restrittive. Suo padre, un buon musulmano, è un idealista, pacifista e ha un sogno: che l’istruzione diventi in Pakistan un diritto accessibile a tutti, senza distinzioni di genere.
Malala cresce tra i libri e le aule della scuola fondata da suo padre, si innamora delle storie, ama studiare, giocare e conversare con le sue compagne di classe. Riceve un’educazione libera.
E però si guarda intorno, osserva, già da piccolissima si interroga sulla prepotente disuguaglianza tra gli uomini e le donne e sulla subalternità di queste ultime.
Poi a peggiorare ulteriormente le cose arrivano i talebani, ovvero la frangia estremista dell’islam, quella che con i suoi attentatori ha seminato morte e distruzione nel mondo.
In Pakistan comanda il terrore. Viene imposto alle donne di indossare il burqa, si assistono a episodi di pubblica fustigazione, avere una televisione in casa costituisce grave reato, la musica viene fatta tacere. Le bombe distruggono esercizi commerciali che i talebani ritengono immorali, che sia un negozio di dischi o una libreria, i coltelli minacciano, i kamikaze dispensano morte in nome del fanatismo religioso.
E le scuole. Le scuole femminili sono i bersagli preferiti dei talebani: le donne non devono studiare, imparare, capire, domandare. I talebani sono ossessionati da questa idea, minacciano chiunque osi contraddirli. Malala, candidamente, un giorno domanda a suo padre: «perché non vogliono che le ragazze studino?». E lui risponde, semplicemente: «perché hanno paura della penna».
La ragazza, ormai undicenne, scrive clandestinamente su un blog della BBC in cui racconta il quotidiano di una bambina costretta a casa, a vivere nel terrore, a sussurrare le proprie opinioni. Ma non solo: si rende conto di avere una grande opportunità, quella di parlare al mondo, denunciare i soprusi, esprimere le indignazioni, rivendicare il diritto alla pace e all’istruzione per lei e per le ragazze come lei.
Come diceva suo padre, la penna è potente, più di una bomba. La sua fama cresce in Occidente, qualcuno comincia a domandare, i giornali a scrivere, le televisioni a ospitare dibattiti.
I talebani se ne accorgono, Malala è pericolosa, la sua penna e i suoi libri sono pericolosi.
Deve morire.
Una ragazzina deve morire perché vuole andare a scuola, perché vuole imparare.
Così l’attentato, nel 2012. Un proiettile le sfiora la scatola cranica e comincia la sua battaglia per la sopravvivenza. Il mondo reagisce, l’attentato viene rivendicato da uno dei fanatici talebani, le notizie si susseguono con una rapidità che le bombe dei terroristi non possono fermare. Capi di Stato, ministri, giornalisti, attori, attivisti, cittadini comuni si indignano, ciascuno prega il proprio Dio perché Malala sopravviva.
E sarà così. La ragazza, un po’ segnata, torna neanche un anno dopo più forte i prima: lavora alla sua associazione no profit “Malala fund”, impegnata per raccogliere fondi per l’istruzione in tutto il mondo, racconta la sua storia e quella del suo Paese a chiunque la voglia ascoltare, arriva fino alla candidatura per il Premio Nobel per la Pace e tiene un toccante discorso sulla dignità umana, sulla pace, sui diritti di tutti i bambini del mondo a ricevere istruzione.
Ci lascia questo libro, scritto col supporto della giornalista Christina Lamb, che è di tutti e per tutti, scritto con semplicità e passione, dal quale ci congeda così: «La pace in ogni casa, in ogni strada, in ogni villaggio, in ogni nazione, questo è il mio sogno. L’istruzione per ogni bambino e bambina del mondo. Sedersi a scuola a leggere libri insieme a tutte le mie amiche è un mio diritto. Vedere ogni essere umano sorridere di felicità è il mio desiderio. Io sono Malala. Il mio mondo è cambiato, ma io no».