Irresponsabilità sociale e climatica

Nelle news di oggi (4 dicembre 2015) i lettori trovano la presentazione dell’Oxfam Media Briefing sulla disuguaglianza climatica. La rete internazionale di associazioni, in occasione del COP21 di Parigi, ci ricorda che “la metà più povera della popolazione mondiale, che vive nei paesi più vulnerabili al cambiamento climatico, produce solo il 10% delle emissioni globali di carbonio, mentre il 10% più ricco del pianeta contribuisce al 50% delle emissioni globali di carbonio”. E inoltre “in media, una persona che rientra nell’1% più ricco della popolazione mondiale ha un’impronta di carbonio 175 volte superiore a quella di un cittadino che rientra nel 10% più povero”. Di seguito proponiamo uno stralcio del documento, rinviando la consultazione del testo integrale al link.

Per definire lo stato di cose descritto da Oxfam potremmo parlare di “irresponsabilità climatica”. Irresponsabilità dei paesi ricchi nei confronti dei paesi poveri, ovviamente; irresponsabilità dei paesi che vogliono diventare ricchi ripercorrendo gli stessi errori di quelli che li hanno preceduti; irresponsabilità di tutti nei confronti delle generazioni a venire.

Riflettendo sulle macro-responsabilità che le questioni climatiche portano in evidenza viene in mente la definizione di Corporate Social Responsibility formulata dall’Unione Europea nella comunicazione n. 681/2011. L’Unione misura la “responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società” in termini di creazione di “valore condiviso” tra la proprietà e gli altri soggetti interessati e per la capacità di “identificare, prevenire e mitigare” i possibili effetti.

L’Unione si pronuncia sul tema per stimolare tutte le imprese ad accrescere il proprio tasso di responsabilità sociale e, per far questo, alcuni immaginano un sistema di rating, altri propongono meccanismi premiali sia nel mercato privato sia negli appalti pubblici. In altri termini iniziamo a valutare, premiare e sanzionare i comportamenti del sistema imprenditoriale.

Perché non pensiamo a meccanismi analoghi quando prendiamo in esame le trasformazioni climatiche determinate da comportamenti inquinanti, in alcuni casi “consentiti” in altri “tollerati” dai maggiori Stati del pianeta? Perché una simile analogia ci sembra del tutto improponibile? Ebbene, seppure a scala planetaria stiamo parlando esattamente degli stessi temi.

Combattere la diseguaglianza climatica significa rimettere al centro del dibattito la lotta alle diseguaglianze, condividendo il valore prodotto. Inoltre, i governi, ma anche le comunità locali e i singoli, hanno il compito di identificare, prevenire e mitigare gli effetti avversi delle attività economiche e dei comportamenti individuali e collettivi. Questa è l’unica strada praticabile. La diseguaglianza climatica è frutto dell’irresponsabilità. L’unica strada percorribile per invertire una tendenza autodistruttiva, ancora una volta, è quella di riprendere con pazienza e determinazione, un percorso di responsabilità, fatto di condivisione della ricchezza e di prevenzione e attenuazione degli effetti negativi. Purtroppo c’è fretta e, quindi, attendiamo con trepidazione le molte “conversioni” necessarie a invertire rotta in tempo utile.

Cambiamento climatico e disuguaglianza economica sono indissolubilmente legati: la crisi ambientale, infatti, deriva dal livello di emissioni di gas a effetto serra prodotte dai “ricchi” ai danni dei “poveri”. In questo briefing Oxfam illustra il grado di disuguaglianza nei livelli di emissioni di carbonio prodotte a livello mondiale confrontando le emissioni associate ai modelli di consumo individuale in diversi paesi.

Le nostre stime indicano che la metà più povera della popolazione mondiale – circa 3,5 miliardi di persone – è responsabile solo del 10% delle emissioni globali associate ai modelli di consumo individuale, di contro, in larga maggioranza, vive in paesi più vulnerabili e meno preparati ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Invece, il 50% circa delle emissioni globali può essere attribuito al 10% più ricco del pianeta che in media ha un’impronta di carbonio 11 volte più elevata della metà più povera della popolazione globale e 60 volte quella del 10% dei più poveri.

Alla COP21 i Governi negozieranno un accordo sul livello di emissioni da ridurre nei propri paesi, ma in realtà saranno i loro cittadini ad essere vincitori o vinti del summit di Parigi.

La cartina di tornasole dell’accordo sarà infatti dato dal grado in cui le misure politiche adottate andranno a vantaggio dei più poveri che sono allo stesso tempo i meno responsabili delle emissioni e i più vulnerabili al cambiamento climatico, indipendentemente dal posto in cui vivono.

I nuovi dati dell’analisi di Oxfam, che per i diversi paesi stima il livello di emissioni associate ai consumi delle diverse classi di reddito, non mostrano soltanto la natura dell’estrema disuguaglianza in termini di emissioni climalteranti, ma aiutano altresì a sfatare alcuni miti che da anni animano i dibattiti internazionali in seno alle Nazioni Unite su chi sta realmente provocando il cambiamento climatico.

Il confronto delle impronte di carbonio associate ai modelli di consumo dei cittadini ricchi e poveri in un certo numero di paesi permette infatti di dimostrare che nonostante in alcune economie emergenti come Cina, India, Brasile e Sud Africa si stia registrando un costante e rapido incremento delle emissioni, l’impronta di carbonio dei loro cittadini più ricchi è comunque più bassa di quella dei più ricchi nei paesi OCSE, anche se queste dinamiche stanno cambiando e continueranno a modificarsi se non si prenderanno azioni urgenti di contrasto. Allo stesso modo, anche l’impronta di carbonio dei milioni di cittadini più poveri di quei paesi è significativamente più bassa di quella associata alle fasce più povere della popolazione dei paesi OCSE.

Sebbene sia certamente vero che i cittadini più ricchi possono e devono contribuire alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra rivedendo i loro comportamenti e modelli di consumo, è altrettanto vero che la crisi climatica non potrà essere risolta soltanto con le loro azioni volontarie, le cui scelte sono spesso condizionate da alcune politiche dei loro governi, come quelle nel settore energetico o dei trasporti. Senza dubbio, un accordo debole a Parigi non andrebbe a beneficio né loro né dei più poveri: sempre più frequentemente il 10% più ricco del pianeta sta vivendo sulla propria pelle gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici e si appella ai Governi per azioni di contrasto.

Gli unici a beneficiare di azioni inadeguate sul clima sarebbero una ben più esigua cerchia di potenti che hanno interessi personali nel dare continuità ad un’economia globale ad alto tasso di carbonio e profondamente disuguale. Secondo la classifica dei più ricchi del mondo stilata da Forbes, nel periodo compreso tra le conferenze sul clima di Copenaghen e Parigi, il numero di miliardari con interessi nel settore delle fonti fossili è passato da 54 del 2010 agli 88 del 2015, mentre l’ammontare delle loro ricchezze individuali è aumentato di circa il 50% da poco meno di 200 miliardi di dollari a più di 300 miliardi di dollari. A Parigi, è necessario che i Governi raggiungano un accordo per coloro che ne hanno più bisogno, ovvero i loro cittadini, soprattutto i più poveri, i più esposti ai cambiamenti climatici e i meno responsabili nella produzione di emissioni di carbonio.

 

 

Endorsements

‘L’analisi di Oxfam e il nostro recente studio “Carbon and inequality from Kyoto to Paris” sono due facce della stessa medaglia. I due studi convergono in un unico aspetto chiave: le emissioni individuali di carbonio sono distribuite in modo altamente disuguale nel mondo. Oxfam sostiene che per avere successo, l’eventuale accordo di Parigi deve porre al centro le disuguaglianze di emissioni tra paesi e all’interno di essi, nonché gli impatti del cambiamento climatico. Non potremmo essere più d’accordo. La nostra proposta di tassare progressivamente le emissioni di carbonio per poter finanziare l’adattamento climatico e la posizione di Oxfam di assicurare uno sviluppo a basso tasso di carbonio per i più poveri sono assolutamente complementari.’

Lucas Chancel e Thomas Piketty

Autori di ‘Carbon and inequality from Kyoto to Paris,’ Paris School of Economics

 

‘Quest’ultimo rapporto di Oxfam non lascia alcun dubbio sul fatto che la prova di un accordo equo ed efficace al summit di Parigi passa per la sua capacità di proteggere le persone più povere e vulnerabili al cambiamento climatico. Si tratta tra l’altro delle persone che contribuiscono molto meno all’emissione di gas ad effetto serra. L’analisi mostra che le donne sono quelle più a rischio di fronte al surriscaldamento globale a causa delle discriminazioni di genere a cui sono troppo spesso condannate, della loro dipendenza da attività fortemente legate alle condizioni metereologiche e della mancanza strutturale di risorse per far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Le raccomandazioni del rapporto per l’accordo di Parigi, legate alla necessità di aumentare gli sforzi finanziari per l’adattamento, all’attenzione per i diritti umani e la parità di genere in parallelo all’urgenza di accelerare la transizione verso l’energia sostenibile per tutti, rappresentano le misure chiave su cui misurare il successo del Summit’.

 

Mary Robinson

Presidente della Mary Robinson Foundation – Climate Justice

 

Published by
Valerio Roberto Cavallucci