Le imprese sociali sono disposte al cambiamento? E quante di loro hanno davvero capito quali siano gli scenari futuri dopo la Riforma del Terzo settore? Questi e molti altri i quesiti ai quali il nuovo Rapporto Isnet sull’impresa sociale ha cercato di dare risposte sottoponendo un sondaggio a un campione composto da cooperative sociali in tutta Italia, 100 imprese sociali e, per la prima volta, 10 società benefit con certificazione B Corp, società profit a tutti gli effetti, ma con ricadute sociali delle proprie attività. La decima edizione dell’Osservatorio Isnet sull’impresa sociale ha messo in evidenza, innanzitutto come sia maggiore il numero di cooperative sociali che temono il cambiamento, e che appaiano dunque tradizionaliste (35% circa) rispetto a quelle riformiste, che vedono quindi nel cambiamento un’opportunità (28,4%), mentre sono ancora molte che non hanno un’opinione in merito. Tra le motivazioni della prima categoria, la perdita di identità delle organizzazioni, l’eccessiva commistione tra i due modelli e l’innescarsi di meccanismi competitivi con imprese che assumono la veste sociale prevalentemente per motivi opportunistici. Tra i favorevoli all’ingresso di nuovi attori, invece, il valore aggiunto del cambiamento è rappresentato da una contaminazione positiva, dall’acquisizione di know how e dalla maggiore dinamicità organizzativa che ne può conseguire.
Il sondaggio mette in luce anche che nel gruppo dei riformisti le performance economiche sono migliori, così come gli indicatori di innovazione e di tenuta degli assetti occupazionali (il 50,9% dei riformisti prevede un andamento economico in crescita contro il 35,1% dei tradizionalisti).
«In sintesi», commenta Laura Bongiovanni presidente dell’Associazione Isnet e responsabile dell’Osservatorio, «i riformisti non sembrano preoccupati dell’ingresso di nuovi attori nella sfera dell’economia sociale che rappresenta al contrario un’opportunità, una sfida per il miglioramento; sono già forti e non temono il confronto. Dal lato opposto, i tradizionalisti non ne fanno una questione di salvaguardia e marcatura del territorio, così come si potrebbe facilmente pensare, ma si appellano ai principi fondativi, allo spirito e ai valori che guidano il fare Impresa sociale, che non possono essere assolutamente confusi con obiettivi di profitto».
L’Osservatorio Isnet anche quest’anno conferma poi i trend di crescita dell’economia sociale: le imprese sociali hanno svolto attività per 20,6 miliardi di euro e impiegato 735 mila addetti. Il 37,2% delle cooperative sociali dichiara di aver incrementato il proprio volume di attività facendo così registrare un +3,6% rispetto al 2015. Sul fronte dell’impatto sociale, solamente in termini di inclusione lavorativa, il sistema occupa 67.100 soggetti svantaggiati (L 381/91).
«I dati Isnet», ha commentato Edoardo Patriarca, parlamentare e presidente del Centro Nazionale per il Volontariato, «possono aiutare la politica a cogliere gli elementi di novità dell’impresa sociale che sta allargando i suoi confini. La sfida della contaminazione con modelli e pratiche diverse riguarda tutto il non profit ed è il tema a cui il Centro Nazionale per il Volontariato dedicherà il classico seminario formativo estivo di Lucca il 2 e 3 settembre prossimo. Il mondo del volontariato e dell’associazionismo ha fra le sue vocazioni proprio quella di essere generatore dell’impresa sociale».