L’8 agosto abbiamo segnalato la pubblicazione dell’ultimo dossier del Wwf Italia, “Italia: l’ultima spiaggia – Lo screening dei mari e delle coste della Penisola”(leggi l’articolo). Torniamo sull’argomento per fornire ai lettori il link al testo integrale, ma soprattutto per evidenziare le conclusioni dello studio e cioè “quello che manca in Italia” e, ancor più, “che si può fare nel nostro Paese”. Non anticipiamo nulla rinviando i lettori a quanto potranno trovare nel testo.
Felicità Pubblica, invece, vuol cogliere l’occasione per unirsi a quanti, in questi mesi, stanno augurando buon compleanno al WWF Italia. Nel sito dell’Associazione si legge: “50 ANNI INDIMENTICABILI! Era il 1966, quando Fulco Pratesi con un piccolo gruppo di volontari appassionati di natura decise di creare il WWF Italia…”. Una ricostruzione attenta e puntuale di un impegno continuo, coerente e determinato.
Chi scrive era tra quelli che negli anni 70 considerava il WWF espressione di un “ambientalismo moderato”. I fatti hanno dimostrato che il dialogo e il confronto possono andare di pari passo con il rigore e l’intransigenza sulle questioni essenziali. Ma, soprattutto, nel tempo, sono arrivati risultati concreti a dimostrare che lo “stile WWF” porta buoni risultati. Auguri e buon lavoro a tutti gli amici del WWF Italia!
PROPOSTE WWF PER NON RIDURSI ALL’ULTIMA SPIAGGIA
Quello che manca in Italia
Quello che manca in Italia (…) non sono le norme di riferimento o il rispetto sulla carta delle direttive comunitarie o dei trattati e delle convenzioni internazionali, ma spesso gli strumenti pianificatori e di gestione operativa opportunamente integrati e finanziati, declinati secondo priorità di intervento e obiettivi condivisi dalle varie amministrazioni responsabili sui nostri mari e sulle nostre coste (Ministero dell’Ambiente, Ministero delle Politiche agricole, Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo economico, Ministero dei Trasporti e delle infrastrutture, Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e Turismo, Regioni e Comuni).
Quello a cui siamo abituati nel nostro Paese nella generalità dei casi, è la mancanza di senso dello Stato da parte delle stesse amministrazioni competenti, intendendo in questo caso non la difesa dell’interesse pubblico, degnamente rappresentato da dirigenti e funzionari spesso anche molto competenti e amanti del proprio lavoro al servizio della comunità, ma di un disegno univoco e coordinato a cui concorrano i vari apparati e uffici pubblici nazionali e regionali.
Ancora oggi, nonostante l’Europa ci chieda per quanto riguarda il solo comparto ambientale, ad esempio nell’applicazione delle Direttive “Habitat” e “Uccelli”, o anche delle Direttive “VAS” (2001/42/CE) e “VIA” (Direttiva 2014/52/UE), standard elevati e coordinati nella gestione della rete Natura 2000, di habitat e specie a rischio, e nello svolgimento delle procedure di valutazione ambientale, stentiamo a trovare un linguaggio comune e una implementazione uniforme su scala nazionale e regionale.
E se si passa, poi, alla scala regionale, pur con competenze dirette sul paesaggio e condivise sul demanio marittimo, troviamo superficialità ingiustificabili nel governo del territorio e ritardi inspiegabili nella stessa definizione dei piani o, al contrario, il proliferare di piani settoriali che spesso non dialogano tra di loro e che comunque, come costante, hanno spesso il disprezzo o la rimozione dei limiti naturali in cui contenere gli interventi, considerate le risorse ambientali date.
Altra caratteristica nazionale è l’intensa attività compilativa nella raccolta dei dati di partenza e di monitoraggio della situazione in divenire per dare vita a banche dati, studi, disegni strategici che, nella stragrande maggioranza dei casi rimangono solo sulla carta e/o non sono concepiti per costituire un sistema informativo nazionale utile ad operare e accessibile da tutti i cittadini.
Da queste considerazioni partiamo per individuare alcune proposte che facciano superare i fallimenti simbolizzati ad oggi, su scala nazionale, dal percorso sulla Strategia nazionale per l’ambiente marino (decreto legislativo n. 190/2010, in attuazione della Direttiva 2008/56/CE) e, su scala regionale, dalla mancata redazione della nuova generazione dei Piani paesaggistici (ex decreto legislativo n. 42/2004 – Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Quello che si può fare nel nostro Paese
Integrare la strategia marina con la pianificazione dello spazio marittimo
Si ritiene necessario un coordinamento dei testi normativi e dei percorsi istituzionali attuativi della strategia nazionale marina (ex Direttiva 2008/56/CE, recepita con D.Lgs. n. 190/2010) e di pianificazione dello spazio marittimo (ex Direttiva 2014/89/UE, ancora da recepire in Italia) per fare in modo di integrare i traguardi ambientali progressivi per conseguire il “buono stato ecologico dell’ambiente marino entro il 2020”, definiti sinora solo sulla carta dalla strategia nazionale derivante dalla normativa comunitaria, con la definizione di piani di gestione sostenibile, sottoposti a Valutazione Ambientale Strategica, delle attività legate alle economie marittime (acquacoltura, pesca, estrazione di petrolio e gas, traffico marittimo, turismo attività militari, cavi e condutture sottomarine, conservazione della natura e ricerca) e l’uso sostenibile delle risorse naturali marine, di cui alla nuova normativa europea, in via di recepimento, che istituisce un quadro di pianificazione per lo spazio marittimo, attento all’approccio ecosistemico.
Il Santuario Pelagos esempio di gestione attiva delle risorse marine
È necessario rendere più efficace la governance del Santuario internazionale per la tutela dei cetacei, razionalizzando e consolidando i rapporti tra il Segretariato permanente, il Comitato scientifico-tecnico e i Comitati di pilotaggio nazionali, rapporti che sono andati avanti in questi anni spesso a marce differenziate. Il WWF chiede una governance estesa, che partendo dal coinvolgimento delle Regioni e degli accordi di partenariato con i Comuni costieri (l’Italia in questo vanta il primato tra i 3 Paesi con 61 Comuni aderenti), metta in rete anche le Aree Marine Protette, sulla falsa traccia di quanto già fatto positivamente in Francia con Port Cross, capofila di un’azione concertata nelle acque a noi vicine e l’individuazione di siti di interesse comunitario di alto mare nell’area del Santuario, mettendoli a sistema. Inoltre, il WWF chiede un nuovo Piano di gestione, di durata triennale, più operativo, che sia declinato per obiettivi di conservazione effettivamente conseguibili e di valorizzazione delle risorse marine e delle attività sostenibili (ricerca e turismo).
Moratoria sul nuovo edificato
In attesa che tutte le Regioni si dotino dei piani paesaggistici per la conservazione e la valorizzazione dei nostri beni territoriali, ai sensi del Codice dei Beni e delle attività culturali (Dlgs n. 42/2004), si chiede una norma nazionale, concertata con le stesse Regioni, che stabilisca una moratoria, a tutela di aree paesaggisticamente e naturalisticamente significative quali sono le nostre coste, sul rilascio, sino all’approvazione dei piani (a cu si dovranno uniformare gli altri strumenti urbanistici regionali e comunali), dei nuovi titoli abilitativi edilizi.
Blocco delle concessioni sulle aree demaniali
Si chiede di sospendere, in coerenza con la pronuncia della Corte di Giustizia europea, tutti i rinnovi automatici e anche il rilascio senza gara di nuove concessioni sulle aree demaniali marittime, in attesa di una nuova normativa nazionale, che uniformandosi alla nuova Direttiva Bolkstein (2006/123/CE), imponga l’assegnazione delle concessioni, di durata temporanea certa e contenuta, attraverso procedure pubbliche di selezione, in modo da arrestare l’occupazione pervasiva della fascia costiera da parte degli stabilimenti balneari (raddoppiati negli ultimi anni) con opere anche altamente impattanti sull’integrità dei nostri litorali.
Norma di salvaguardia delle coste italiane
Si chiede, infine, che il Governo o il Parlamento prendano in considerazione una nuova normativa di salvaguardia ad hoc per la tutela della nostra fascia costiera che, ad aggiornamento della cosiddetta Legge Galasso del 1985, estenda dai 300 ad almeno i 1000 metri dalla linea di battigia la tutela delle aree costiere, considerati i livelli di saturazione urbanistica sin qui raggiunti e la necessità di salvaguardare le poche aree rimaste ancora libere, ancora apprezzabili per il loro grado di naturalità che completano il mosaico ambientale della rete ecologica nazionale.
Razionalizzare la portualità turistica
Si ritengono necessari una programmazione regionale degli interventi per la portualità turistica, coerente e subordinata con la pianificazione paesaggistica, e la definizione di standard edificatori e volumetrici comunali molto prudenziali, a salvaguardia della fascia costiera e nel rispetto dei vincoli paesaggistici, ambientali e idrogeologici esistenti per limitare operazioni immobiliari speculative sovradimensionate rispetto alle funzioni di servizio per la nautica da diporto.