Interviste/Opinioni

Ivano Abbruzzi: “Così da 20 anni tuteliamo i minori con L’Albero della Vita”

Nata nel 1997 ad Assisi (Perugia) come semplice associazione, L’Albero della Vita in vent’anni ha ampliato il suo ambito d’intervento a tutela dei minori arrivando a toccare diversi Paesi del mondo con interventi sempre più strutturati. Dal 2004 l’associazione, passata anche per l’esperienza della cooperativa sociale, è diventata Fondazione per poi essere riconosciuta, nel 2008 Organizzazione non governativa. Per conoscere meglio le molteplici attività della Fondazione, da qualche anno impegnata in prima linea anche nella gestione dell’emergenza immigrati in Italia attraverso il Progetto Siria (leggi il nostro articolo sulla mostra dei disegni dei bambini siriani), abbiamo intervistato il presidente Ivano Abbruzzi.

 

Partiamo dalla storia. Quando nasce L’Albero della Vita Onlus e quali sono le sue finalità?

L’Albero della Vita si costituisce formalmente nel 1997 come associazione di volontariato. In verità l’idea nasce quasi un anno prima da un gruppo di persone che si siedono intorno a un camino ad Assisi nel Natale del 1996. L’associazione si costituisce poi nel 1998 anche come cooperativa sociale con il primo obiettivo di fornire accoglienza ai minori in difficoltà, ossia allontanati dalle famiglie dal Tribunale dei minori per vari motivi. Quello che quindi diventerà per L’Albero della Vita un filone molto forte per i primi 10 anni di vita. Nel 1998 nasce anche la prima comunità di accoglienza e da lì al futuro decennio l’attività dell’associazione si focalizza intorno alla nascita di queste strutture, sia centri diurni che residenziali, anche per mamme e bambini, differenziati per fasce di età. Dunque si occupa di promuovere vari interventi che spaziano sul tema della tutela del minore. Oggi le attività sono essenzialmente le stesse, solo in maniera molto più estesa. Dal 2008, quando siamo diventati un’Organizzazione non governativa, ad esempio ci stiamo dedicando anche al tema dell’accoglienza dei migranti, con la prima struttura nata a Palermo, mentre dal 2006 ci sono importanti novità anche sul tema dell’affido familiare, con la creazione di un’apposita equipe psico-sociale. Quindi il nostro percorso, iniziato in maniera romantica davanti a un camino, si è poi concretizzato con interventi anche molto strutturati sulla tutela dei minori anche grazie alla collaborazione dei tantissimi volontari che hanno raccolto la nostra sfida di cambiamento e di crescere per far crescere. Tutto ruota intorno al concetto di consapevolezza: le persone cambiano se riescono a incontrare una forma di consapevolezza interna di ciò che sono, ciò che è la loro condizione, ciò che sono le reali aspirazioni che hanno, ciò che sono i talenti che hanno ma che non sono ancora riusciti ad attivare. Il nostro è quindi un progetto orientato alla crescita e non solo volto a tamponare un disagio con una formula assistenzialistica, ma l’idea di lavorare per il cambiamento è l’asse portante.

Quali sono le azioni attraverso le quali si concretizza la missione de L’Albero della Vita Onlus?

Noi oggi lavoriamo su 5 aree di intervento: la protezione, l’educazione, l’area immigrazione, l’area emergenza e l’area sviluppo.
A livello di tutela, in Italia, ci occupiamo essenzialmente di accoglienza di minori fuori famiglia, di affido familiare, in sintesi di aiutare i minori che provengono da contesti familiari molto degradati. Sempre a livello italiano, nel campo dell’educazione, ci occupiamo di un lavoro che svolgiamo prevalentemente nelle periferie delle grandi città (Milano, Napoli, Bari, Palermo, Venezia Genova, Reggio Calabria ecc) dove andiamo a incontrare le condizioni di difficoltà di bambini che vivono in contesti di grave degrado sia ambientale che sociale e cerchiamo di proporre loro una chiave educativa. Sono proposte di carattere educativo, socializzante, anche attraverso attività sportive, culturali, laboratori di fotografia, ecc. Per fare un esempio ci sono a Napoli bambini di alcuni quartieri che non hanno mai visto il mare. Un’attività anche molto simbolica, quindi, che offre ai bambini la possibilità di guardare con ottimismo al proprio futuro. I ragazzi sono chiamati a prendere coscienza della loro realtà in chiave migliorativa non solo personale, ma anche relativamente al contesto in cui vivono. L’Albero della vita poi, sempre in ambito italiano, da circa 5 anni si occupa anche della questione immigrazione. In particolare a Milano, dove partecipa ad attività di accoglienza mirate soprattutto ai bambini che non avevano delle attività a loro dedicate, e quindi abbiamo realizzato degli spazi di ascolto, di gioco, ricreativi, rivolti alla loro fase di transito. Nel corso di quest’anno i nostri interventi si faranno anche più robusti perché saremo impegnati anche in un’attività di accoglienza delle famiglie gestita direttamente da noi. Un altro ramo che ha a che fare con le tematiche migratorie è il tema delle mutilazioni genitali femminili. Promuoviamo delle attività di sensibilizzazione in varie regioni d’Italia con le comunità e con le scuole per prevenire questo fenomeno. Sempre nell’area educazione facciamo molti interventi nelle scuole, in questo caso non rivolti necessariamente a soggetti con disagio, come educazione allo sviluppo e alla cittadinanza mondiale, educazione ai diritti, partecipazione, lotta al bullismo, integrazione degli stranieri, lingua italiana per stranieri ecc. Il nostro intervento internazionale, invece, parte nel 2005/2006, inizialmente in India, ed è focalizzato sulla scolarizzazione dei bambini e sul tema dell’adozione a distanza. Successivamente in Perù, in Kenya, poi ad Haiti e in Nepal a seguito dei terremoti, poi ancora in Bangladesh e Myanmar. In questi Paesi L’Albero della Vita fa molti interventi soprattutto nell’area sviluppo, attività che aiutano le famiglie a generare reddito e quindi a migliorare la qualità della vita di tutta la famiglia. Abbiamo lavorato molto ad esempio sul tema dell’acqua e dei servizi igienici, cercando di promuovere una maggiore cura della salute laddove questo era un vero miraggio. Anche all’estero ci occupiamo ovviamente di protezione dei minori: prevenzione della tratta, delle spose bambine, dei bimbi rapiti, ecc. A livello europeo, infine, abbiamo lavorato molto sull’area della migrazione intraeuropea, ad esempio sulle badanti che in grandi quantità hanno lasciato i loro Paesi d’origine e i loro figli spesso da soli o con livelli di custodia bassissimi. Ed è un’emergenza sociale che abbiamo preso in carico già dal 2009. Anche qui c’è da lavorare molto a livello di sensibilizzazione, ma anche di ricerca e di documentazione, quindi anche attraverso convegni con lo scopo di far conoscere un fenomeno diffusissimo ma poco conosciuto e compreso. E poi abbiamo fatto degli interventi di carattere psico-sociale nei confronti dei bambini, ma anche di consapevolezza e di formazione degli operatori nei singoli contesti, promuovendo una progettualità utile a creare un ponte tra i bambini e le loro famiglie e a portare soprattutto gli adulti a una genitorialità a distanza gestita nel miglior modo possibile.

A tale proposito avete anche presentato, negli anni scorsi, una ricerca dell’Università Cattolica sui fattori di resilienza dei piccoli siriani ospitati nei vostri centri. Qual è la fotografia che ne emerge?

I bambini durante i flussi migratori vivono grandi traumi, come ci possiamo aspettare. Tra i grandi fattori di resilienza che abbiamo individuato c’è senza dubbio la famiglia. Il poter migrare con i loro genitori è ovviamente importante. I bambini nella loro fase evolutiva, anche nei contesti più complessi, devono poter vivere in un sistema di relazioni solide. Se il sistema è solido sono capaci di vivere il trauma in maniera molto più resiliente. Sembra banale, ma dal punto di vista degli interventi di rafforzamento della famiglia è molto importante, per cui non si tratta di una semplice riflessione ma di un approccio metodologico. Altro elemento di resilienza è che i bambini possano avere spazi e momenti di attenzione diretta, cosa che non accade quasi mai. Penso ad esempio anche al sistema milanese, che in questi tre anni è stato in grado di dare risposte importanti nell’emergenza migranti, ma che però anche in questo schema eccellente non è riuscito a dare risposte adatte ai bambini, che sono almeno il 40% dei migranti.

Purtroppo a vivere in situazioni di disagio non sono solo i piccoli immigrati, ma anche tantissimi bambini italiani le cui famiglie sono pesantemente colpite dalla povertà. Quanto è diffuso questo fenomeno?

Il fenomeno è cresciuto enormemente dal 2007. A rilevarlo è ad esempio un rapporto relativo ai dati italiani della povertà letti nell’ambito della cornice europea, realizzato da Eurochild che noi abbiamo tradotto in Italia (leggi il documento). Dal documento emerge che la povertà dei bambini è triplicata a partire dal 2007/2008 ed è di fatto raddoppiata dal 2013 al 2015. Abbiamo a che fare con un milione e 40 mila bambini al di sotto della soglia di povertà, anche se il fenomeno è più diffuso perché gli indicatori evidenziano il fenomeno nella sua essenza più profonda. Si tratta quindi di una povertà assoluta che implica che i bambini non abbiano da mangiare tutti i loro pasti, che vivano in abitazioni senza utenze, senza riscaldamento e luce. Dai dati emerge poi che i bambini sono molto più poveri degli adulti, e questo sta creando nel nostro tempo storico una problematica che noi non possiamo che denunciare continuamente sia per l’impatto che ha oggi sulla qualità della vita dei minori, sia per quello che sarà l’impatto nel tempo e che noi tra qualche anno vivremo come problematica sociale enorme.

Per aiutare i bambini di tutto il mondo c’è bisogno della solidarietà di molti. Quanto è difficile l’attività di fundraising in un periodo di crisi economica come quello attuale? 

L’attività di fundraising è molto difficile perché sicuramente viviamo un impoverimento delle famiglie che contribuiscono o contribuivano alla raccolta fondi di tutte le organizzazioni. Noi dobbiamo ricordare però che all’impoverimento di alcuni corrisponde sempre l’arricchimento di altri. Quindi quando parliamo di impoverimento ci riferiamo solo a una parte della società e in questo caso senza dubbio la raccolta fondi che proviene da questo target è diminuita. Ovviamente le organizzazioni si muovono su più livelli, dalla raccolta fondi con i privati, ma anche con le aziende, le istituzioni, con realtà italiane ed europee. Per questo stiamo cercando di differenziare il più possibile le forme di raccolta cercando di trovare target meno impoveriti. L’importante è riuscire a scoprire le opportunità che esistono ed essere pronti a trasformarci per coglierle.

Lavorare quotidianamente con i bambini di tutto il mondo è molto impegnativo ma regala anche tante soddisfazioni. Qual è l’episodio che ricorda con maggiore emozione?

Nella storia del nostro lavoro ce ne sono tantissimi, poi personalmente sono nato come educatore per cui ho avuto spesso relazioni dirette con i bambini. Io racconterei uno degli episodi più recenti che mi ha toccato tantissimo. Sono stato per qualche giorno in Nepal e ho avuto occasione di andare a visitare una delle scuole su cui stiamo lavorando per delle ristrutturazioni legate al terremoto. Lì c’era una bambina di 11 anni che attendeva tantissimo questa visita e si era preparata una quarantina di frasi in italiano. Ha voluto accompagnarmi direttamente a vedere il suo quartiere, la sua casa, la scuola, e ha voluto raccontarmi lei stessa come si vive la difficoltà, portarmi al suo livello. Dopo qualche settimana dal nostro incontro, inoltre, mi ha mandato una poesia dove si racconta con le parole di un bambino qual è la situazione di sofferenza che i minori vivono. Ma anche con una bellissima frase finale in cui rilancia in maniera proattiva il fatto che lei ci prova, è ottimista, nonostante le grandissime difficoltà. Una testimonianza di grande consapevolezza del fatto che anche laddove tutto manca, lei può. Dopotutto le poesie fanno vedere tutto il dramma, anche perché in alcuni contesti i bambini sono proprio gli ultimi a ricevere attenzioni anche culturalmente. In Italia i bambini sono comunque un valore. In altri Paesi invece i bambini sono considerati ancora degli adulti sottosviluppati, soggetti di poca importanza. In tanti contesti se la famiglia non ha soldi i più piccoli non mangiano. Per L’Albero della Vita invece il bambino non solo è il futuro, ma anche il testimone che c’è la possibilità di un’umanità diversa, ma bisogna puntarci.

Ci sono tanti fattori che concorrono al raggiungimento della felicità pubblica. Qual è, secondo lei, il più importante?

Tornerei sul discorso della consapevolezza dal quale siamo partiti per la nostra riflessione. La felicità come concetto sociale per noi parte dal riconoscimento di ciò che siamo e della bellezza del dono che ci viene offerto, che è la base su cui si costruisce il lavoro anche sulle grandi difficoltà. La consapevolezza dal nostro punto di vista è proprio la chiave, nel senso che le persone sono molto spesso infelici e quindi anche poco propense a fare delle cose buone nella loro vita e nella loro famiglia perché mancano di attenzione, mancano di una presa di coscienza di ciò che sono, di ciò che potrebbero essere, della comprensione che la vita è un’opportunità rara e che quindi va utilizzata bene e con grande forza. Paradossalmente i bambini lo sanno benissimo e vivono la vita con una gioia che gli adulti non conoscono e che in genere colpisce tutti quelli che si trovano a lavorare nelle comunità di accoglienza. I bambini comprendono facilmente che la vita è bella, anche tra mille difficoltà, e che come tale va accolta, c’è bisogno di mantenere questa consapevolezza perché è su questo che poi si edifica tutto il miglioramento sociale che noi possiamo andare a produrre.

Riportiamo di seguito la traduzione in italiano della poesia della bambina nepalese di 11 anni di cui parla il presidente Abbruzzi nell’intervista:

Perché succede?
Ognuno dice, “il mondo è una creazione di Dio”.
Non dimenticare le sensazioni dell’umanità, della pietà, dell’amore e dell’affetto,
si dice che “nel mondo qualsiasi cosa è stata creata da Dio”.
Ma io sono vuota oggi, non ho cibo, riparo e vestiti.
E così mi chiedo: “Perché questo succede?”

Vago qua e là, cercando di vivere come chiunque altro,
cercando mani che mi aiutino.
Ahimè, Ho dimenticato. Il povero non ha il diritto di vivere felicemente.
Quando il ricco spreca, il povero salta la cena e questo quasi sempre.
E così mi chiedo: “Perché questo succede?”

Le mie orecchie sono stanche di sentire che siamo tutti figli di Dio.
“Dio riempie le borse di tutti e ne soddisfa i bisogni”. Così si dice.
Io ho moltissimi bisogni e la mia borsa è vuota, se posso fartelo sapere.
Dio è anche crudele, aggiunge a chi ha molto e lascia perdere chi ha niente.
E ancora il mio cuore si chiede: “Perché questo succede?”

Tutti dicono, “il mondo è bellissimo”.
Ma non vedo niente di buono anche se presto molta attenzione.
Vedo folle da ogni parte e confusione di cui nessuno si cura.
E nel bisogno non vedo mani tese che si preoccupino di venire in aiuto
E il mio cuore si chiede ancora: “Perché questo succede?”

Cerco risposte e cerco le ragioni.
Poi forse avrò capito il mondo. Il suo fondamento è il denaro, non l’umanità!
Per la bramosia di ricchezza, si vendono anche i propri figli.
Questo mondo è così inumano non dà sollievo
Ma aumenta le sofferenze di chi è ferito.
Dopo aver scoperto tutto questo, il mio cuore si chiede ancora: “Perché questo succede?”

Oggi, vivo in questo tipo di mondo.
Anche se soffro, rido e cerco di essere coraggiosa.
Cerco di far sapere al mondo,
“sono povera, ma non nel cuore”. Cerco di dimostrarlo.
Cerco di aiutare gli altri ad andare avanti invece di ingannarli.
Ed ogni momento cerco la risposta a quella domanda: “Perché questo succede?”

 

 

Published by
Antonella Luccitti