Il dibattito sulla sharing economy impegna tutti ormai da anni. Siamo entrati, piuttosto, nella fase dell’elaborazione normativa sia in sede comunitaria sia in ambito nazionale.
A inizio marzo è stato presentato pubblicamente il disegno di legge “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione”. Firmatari della proposta gli onorevoli Tentori, Palmieri, Catalano, Boccadutri, Bonomo, Bruno Bossio, Coppola, Galgano, Quintarelli, Basso (leggi l’articolo).
In proposito è utile segnalare la consultazione pubblica aperta fino al 31 maggio 2016 sulla piattaforma Making Speeches Talk di Open Evidence, in collaborazione con l’Associazione Stati Generali dell’Innovazione.
È invece passato sotto silenzio il recente parere del Comitato delle Regioni europee dal titolo “La dimensione locale e regionale dell’economia della condivisione” (2016/C 051/06), pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 10 febbraio scorso. Il testo merita attenzione perché aiuta a comprendere in tutte le sue sfaccettature la cosiddetta Economia della Condivisione, prendendo in esame, con approccio critico, le sue infinite potenzialità ma anche alcune sue profonde contraddizioni. Inoltre il parere focalizza l’attenzione anche sugli impatti che la sharing economy può produrre negli ambiti locali e regionali.
Un interessante contributo alla comprensione di un fenomeno complesso e un prezioso supporto per le future decisioni della Commissione in materia, per il quale dobbiamo ringraziare in modo particolare la relatrice Benedetta Brighenti, componente del Comitato delle Regioni per conto del Partito Socialista Europeo, vicesindaco del Comune di Castelnuovo Rangone in provincia di Modena.
Parere del Comitato europeo delle regioni — La dimensione locale e regionale dell’economia della condivisione (2016/C 051/06)
RACCOMANDAZIONI STRATEGICHE
IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI,
- ritiene che l’economia della condivisione (di seguito: «EdC») si basi su modelli sociali, nuovi o rimessi in auge, che presentano una serie di importanti implicazioni sul piano imprenditoriale, giuridico e istituzionale: le pratiche sociali di condivisione, collaborazione e cooperazione. Essendo per sua natura innovativo e dinamico, il concetto si sottrae in ultima analisi ad una definizione, ma ingloba tuttavia una serie di fenomeni contraddistinti dai seguenti tratti:
- gli agenti principali dell’EdC non agiscono nel modo solitamente previsto dai modelli economici classici (quello cioè del cosiddetto homo oeconomicus). Questo non significa che non possano operare in maniera razionale e determinata per conseguire i loro obiettivi;
- l’EdC adotta un approccio tipico delle piattaforme, in virtù del quale le relazioni, la reputazione, la fiducia sociale e altre motivazioni non economiche all’interno di una comunità diventano uno dei principali fattori propulsivi;
- l’EdC fa un uso intensivo e su vasta scala delle tecnologie digitali e della raccolta dati. I dati diventano materia prima primaria. I costi fissi sono in gran parte esternalizzati;
- su scala più ridotta e in una dimensione locale, alcune delle iniziative di questo nuovo tipo di economia possono limitarsi all’uso o alla gestione condivisi di attivi materiali (ad esempio, spazi di coworking, beni comuni urbani ecc.), o a nuove forme di sistemi di welfare «peer to peer» (tra pari) che interessano talvolta una singola strada o un singolo edificio;
- l’EdC può essere organizzata secondo modelli incentrati tanto su logiche di mercato quanto su logiche sociali;
- in questo contesto, osserva che la Commissione europea invece di «economia della condivisione» preferisce usare la formula «economia collaborativa», e che nella sua recente comunicazione «Migliorare il mercato unico: maggiori opportunità per i cittadini e per le imprese» ha compiuto un primo tentativo di definire il concetto alla base di questo nuovo settore economico nei seguenti termini: «procede a un ritmo elevato lo sviluppo dell’economia collaborativa, un complesso ecosistema di servizi a richiesta e di uso temporaneo di attività sulla base di scambi attraverso piattaforme online. L’economia collaborativa assicura ai consumatori una scelta più vasta e prezzi più bassi e alle start-up innovative e alle imprese europee esistenti opportunità di crescita, sia nel loro paese che all’estero. Accresce altresì l’occupazione e permette ai lavoratori di beneficiare di una maggiore flessibilità, da microattività non professionali a un’imprenditorialità a tempo parziale. Le risorse possono essere utilizzate in maniera più efficiente, accrescendo in tal modo la produttività e la sostenibilità». A giudizio del CdR, tuttavia, questa definizione è incentrata sugli aspetti commerciali e di consumo dell’economia della condivisione (o collaborativa) e ne trascura al tempo stesso gli approcci non commerciali e basati sui beni comuni. Chiede pertanto alla Commissione di approfondire prima di tutto l’analisi delle varie forme dell’EdC (parte della quale rientra nel settore dell’economia sociale) e, in un secondo momento, di fornire una definizione di tali diverse forme;
L’EdC come vettore di un nuovo paradigma
- rileva che, secondo un’opinione condivisa da molti, il soggetto principale dell’EdC non è più il «consumatore» mosso dalla volontà di possedere qualcosa o di acquistare un servizio, ma piuttosto un cittadino, semplice individuo, utilizzatore, fabbricante, produttore, creatore, progettatore/designer, collega di lavoro, artigiano digitale o agricoltore urbano desideroso di avere accesso ad un servizio o ad una attività necessari a soddisfare determinate sue esigenze;
- sottolinea che altri osservatori sostengono però che, in molti casi, il soggetto dell’EdC è parimenti una persona desiderosa di agire prendendosi cura di, gestendo, generando o rigenerando una risorsa comune, in libero accesso, materiale o immateriale, senza l’intermediazione di un fornitore pubblico o privato, su piccola scala e ad un livello «tra pari», interpersonale. Nell’EdC, quindi, il soggetto non è un semplice «soggetto economico», ma può invece essere un soggetto sociale, individuale o civico per il quale le tradizionali motivazioni economiche sono secondarie o inesistenti. Alcuni ambiti dell’EdC non sono necessariamente «economie» in senso stretto, bensì comunità e reti sociali collaborative che generano nuove iniziative economiche o svolgono una funzione in relazione ad attività economiche esistenti;
- osserva che l’EdC sembra anche mettere in discussione i modelli macroeconomici tradizionali che stabiliscono una chiara distinzione tra consumatori e produttori;
- ritiene che l’EdC potrebbe far nascere una nuova identità economica nella quale un individuo, refrattario ad agire in solitudine, invece di ricercare la massimizzazione dei propri interessi materiali, assocerebbe il proprio comportamento economico ad un impegno verso la comunità, agirebbe nella sfera pubblica — sociale, economica, politica — e si porrebbe in relazione agli altri per prendersi cura dell’interesse generale comune (in altre parole, la cosiddetta «mulier activa»);
- mette l’accento sulla necessità di distinguere tra le diverse forme di economia della condivisione. Pur ricorrendo tutte allo stesso paradigma sociale — l’atto di condividere, collaborare e cooperare — queste forme sono tuttavia molto diverse l’una dall’altra. Vi è spazio per definire con precisione quelle forme di EdC che in qualche modo perpetuano la stessa dinamica sociale ed economica del modello economico preesistente, e per applicare a ciascuna di esse un regime giuridico distinto. La dicotomia tra attività generatrice di profitto e attività senza fini di lucro (non-profit) e il tipo di impresa o associazione promotrici di progetti di EdC, nonché, in termini di diritto dell’UE, l’impatto sugli scambi transfrontalieri, possono rappresentare parametri importanti per tracciare una linea di demarcazione tra le diverse forme che assume questo tipo di economia e proporre approcci regolamentari differenziati;
- sottolinea che si potrebbe operare una prima distinzione tra EdC in senso stretto e forme collaborative di questa stessa economia considerando la collaborazione e la cooperazione in quanto stratificazioni della condivisione. Si potrebbe in effetti distinguere tra iniziative dell’EdC che creano e cristallizzano una distinzione tra diverse tipologie di utilizzatori (consumatori-utilizzatori versus fornitori-utilizzatori) e iniziative dell’EdC che promuovono un approccio «peer to peer» (tra pari), in cui ciascun utilizzatore può essere al tempo stesso anche fornitore e consumatore, o persino prendere parte alla gestione della piattaforma. Ancora, si potrebbe tener conto del modello di governo e controllo della transazione economica, distinguendo i casi in cui la piattaforma funge esclusivamente da strumento finalizzato a mettere in contatto i privati (i quali concludono l’accordo in autonomia) da quelli in cui l’intermediario mantiene il controllo della transazione. Un’ulteriore cooperazione potrebbe suggerire un approccio all’EdC basato sui beni comuni. Se i soggetti coinvolti non si limitano a condividere una risorsa ma collaborano alla creazione, produzione o rigenerazione di una risorsa comune per la collettività in generale, per la comunità, essi stanno cooperando, si stanno unendo o consorziando per i beni comuni;
- ritiene che sembrino profilarsi due categorie principali e quattro forme di EdC:
- l’EdC in senso stretto, o «economia su richiesta» (on-demand economy):
- 1)«economia dell’accesso»: per iniziative dell’EdC il cui modello imprenditoriale implica che lo scambio di beni e servizi avviene sulla base dell’accesso anziché della proprietà. Questo tipo di iniziativa si riferisce al noleggio temporaneo di oggetti piuttosto che alla loro vendita/acquisto permanente,
- 2)«gig economy» (gig = singola prestazione lavorativa attivata su richiesta tramite piattaforme online o applicazioni di cellulari, smartphone ecc.): per iniziative dell’EdC basate su prestazioni lavorative aleatorie che vengono negoziate in un mercato digitale;
- la pooling economy («economia della messa in comune»):
- 1) «economia collaborativa»: per iniziative dell’EdC che promuovono un approccio «peer to peer» (tra pari) e/o coinvolgono gli utilizzatori nella concezione del processo produttivo oppure trasformano i clienti in una comunità,
- 2) «commoning economy» («economia dei beni comuni»): per iniziative dell’EdC a proprietà o gestione collettiva;
- osserva che la Commissione europea cita un recente studio secondo cui l’EdC è potenzialmente in grado di accrescere le entrate globali dagli attuali 13 miliardi di euro circa a 300 miliardi di euro di qui al 2025. A giudizio del CdR, tuttavia, la crescita dell’EdC va considerata solo in parte una rivoluzione e/o una conseguenza della crisi. Per alcuni aspetti, essa potrebbe anche rappresentare la trasformazione-inversione di marcia o la transizione di determinati settori dell’attuale modello economico verso tradizioni economiche e modelli economici consolidati (ad esempio l’economia cooperativa, l’economia sociale, l’economia solidale, la produzione artigianale, l’economia dei beni comuni e altre ancora), e persino verso forme arcaiche di scambio economico (ad esempio l’economia del baratto), che costituiscono delle alternative a forme dell’economia di mercato ad elevata intensità di capitale;
- evidenzia che l’innovazione tecnologica gioca un ruolo di fondamentale importanza nello sviluppo dell’EdC, la cui maggior parte delle iniziative si basa sull’utilizzo di piattaforme collaborative attraverso le quali avvengono le transazioni/ scambi di beni e/o servizi. Per tale ragione è necessario rafforzare le iniziative di contrasto al divario digitale, soprattutto se si intende adottare un mercato unico digitale;
- sottolinea che nei casi in cui i nuovi servizi basati sull’EdC esercitino un effetto aggressivo di «spiazzamento dal mercato» (crowding-out) sui servizi tradizionali, le autorità pubbliche a livello nazionale, regionale o locale hanno quasi sempre un’importante responsabilità nella misura in cui:
- i requisiti di accesso al mercato stabiliti dalle autorità pubbliche in termini sia di politica fiscale che di requisiti professionali hanno creato dei monopoli o oligopoli senza che si siano verificate le condizioni di un fallimento del mercato,
- potrebbero non essere stati messi in atto dei sistemi di controllo della qualità dei servizi prestati;
Principi sottesi all’elaborazione di un’iniziativa dell’UE sull’EdC
- l’EdC può migliorare la qualità di vita dei cittadini, promuovere la crescita (in particolare a livello di economie locali) e ridurre gli effetti sull’ambiente. Essa può inoltre generare nuovi posti di lavoro di qualità, ridurre i costi e incrementare la disponibilità e l’efficienza di alcuni beni e servizi o infrastrutture. Tuttavia, è importante che i servizi offerti tramite l’EdC non siano all’origine di pratiche di elusione fiscale o concorrenza sleale né violino regolamentazioni locali e regionali o normative nazionali ed europee. Motori fondamentali di qualsiasi iniziativa normativa dell’UE sull’EdC dovrebbero poi essere la valutazione di tutti i suoi possibili effetti, positivi e negativi, e la definizione degli obiettivi di politica pubblica in questo ambito;
- ritiene necessario garantire il libero accesso al mercato per i nuovi arrivati. La raccolta di dati ad opera di piattaforme o iniziative dell’EdC può essere all’origine di «squilibri del potere economico». I dati costituiscono la materia prima di questa economia e in alcuni casi devono essere quanto più possibile open source (cioè liberi da licenza). Questo è talvolta necessario per ridurre le barriere all’ingresso nell’EdC e per consentire di valutare gli effetti delle iniziative o delle imprese di questa economia, oltre che per favorire una regolamentazione basata sui dati a tutti i livelli di governo. Si dovrebbe chiedere alle piattaforme dell’EdC di dotarsi dei meccanismi tecnici interni idonei per fornire agli enti locali e regionali dati pubblici e pertinenti, purché non di carattere sensibile o strategico. In ogni caso, l’UE e i governi nazionali dovrebbero offrire un sostegno agli enti locali e regionali per la realizzazione delle operazioni di raccolta dati. Uno dei fattori principali dovrebbe essere inoltre la protezione dei dati, e la mulier activa dovrebbe avere la possibilità di detenere la proprietà dei propri dati;
- mette l’accento sulle importanti condizioni sine qua non che sono, nell’EdC, la fiducia e la gestione della reputazione: tali fiducia e reputazione devono essere gestite con la massima attenzione e in modo indipendente (ad esempio mediante regolamentazione, certificazione, arbitraggio). Si dovrebbe poi condurre un’analisi più approfondita per valutare se i soggetti dell’EdC siano o no in grado di autoregolamentarsi in modo efficiente. La valutazione tra pari potrebbe essere un metodo utile per garantire la fiducia. L’istituzione di organismi indipendenti incaricati di elaborare dei rating, preferibilmente in comproprietà con soggetti alla pari nell’ambito dell’EdC, è un’opzione strategica che andrebbe valutata con particolare attenzione. Occorre inoltre riflettere alla questione della copertura assicurativa. In ogni caso, la «portabilità» dei dati e della reputazione dovrebbe costituire uno dei principali obiettivi di politica da perseguire;
- fa presente che i risultati della valutazione dell’impatto dell’EdC non sono sempre positivi in termini di protezione dell’ambiente, coesione sociale, uguaglianza e giustizia sociale, uso corretto del suolo o governance Va inoltre ricordato che le imprese orientate al profitto utilizzano talvolta impropriamente le piattaforme dell’EdC e al tempo stesso non garantiscono alcuna copertura sociale ai lavoratori, arrecando così danno, da un lato, al benessere dei cittadini e, dall’altro, ai bilanci nazionali, regionali e comunali. L’UE e gli enti regionali e locali devono sostenere e incoraggiare unicamente la realizzazione di iniziative o piattaforme di questa economia che abbiano ricadute positive sul piano sociale, economico e ambientale. Gli obiettivi di politica pubblica che andrebbero promossi tramite l’EdC sono la creazione di comunità, la messa in comune di beni urbani, l’inclusione, la non discriminazione, lo sviluppo economico locale, l’imprenditorialità giovanile, la consapevolezza delle problematiche ambientali e la solidarietà interpersonale;
- ritiene che se all’interno dell’UE le condizioni lavorative dei soggetti dell’EdC rientrano nello stesso quadro di quelle applicabili ad un «lavoratore dipendente», detti soggetti dovrebbero ricevere un trattamento adeguato. In un contesto di scambi economici sempre più «flessibile», questo tipo di economia è potenzialmente distorsivo delle relazioni industriali. Occorre svolgere un’analisi approfondita degli effetti dell’EdC sulla sicurezza economica individuale e sul welfare La Commissione europea, in cooperazione con gli Stati membri, le parti sociali e, laddove applicabile, gli enti locali e regionali, deve condurre studi dettagliati sulle condizioni di impiego e di lavoro dei lavoratori dell’EdC, al fine di valutare se sia necessaria un’azione di regolamentazione del settore. L’EdC potrebbe far nascere una nuova classe sociale, la «classe collaborativa», che necessita di tutele sociali ed economiche;
- sottolinea che nell’ambito dell’EdC dovrebbero in linea di principio essere applicate tutte le norme previste in materia di antitrust, mercato interno, fiscalità e tutela dei consumatori, proprio come avviene in tutti gli altri settori economici. Le iniziative dell’EdC non dovrebbero avere la possibilità di utilizzare il modello della condivisione al solo scopo di distorcere i mercati preesistenti mirando ad una strategia di riduzione dei costi che si prefigga di evitare i costi normativi applicabili a servizi e prodotti simili la cui fornitura non avviene tramite piattaforme. Il CdR ritiene tuttavia che la regolazione dei mercati preesistenti dovrebbe essere oggetto di una revisione periodica per accertare che sia in grado di consentire lo svolgersi di continui processi di innovazione. Il dibattito sull’economia circolare e sul mercato unico digitale potrebbe mettere in luce alcuni degli ambiti in cui si dovrebbe prendere in considerazione l’EdC. Nel contempo, la Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero garantire un approccio coordinato alla regolamentazione dell’EdC a livello europeo, laddove un tale approccio europeo sia necessario, onde rafforzare il mercato unico e agevolare la diffusione in tutti i paesi dell’UE delle iniziative di successo realizzate in questo campo; in tutti gli altri casi la regolamentazione dovrebbe rimanere prerogativa del governo nazionale, regionale o locale, conformemente al principio di sussidiarietà;
- osserva che la Commissione europea ha riservato uno spazio molto marginale alla questione dell’EdC nella sua comunicazione sulla «Strategia per il mercato unico digitale in Europa» [COM(2015) 192]; apprezza però l’impegno assunto dalla Commissione nella comunicazione «Migliorare il mercato unico: maggiori opportunità per i cittadini e per le imprese» ad elaborare un’agenda europea per l’economia collaborativa o della condivisione, a definire orientamenti sulle modalità di applicazione a questo nuovo settore economico del diritto UE vigente — in particolare la direttiva «servizi» e la direttiva sul commercio elettronico nonché la legislazione a tutela dei consumatori come la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la direttiva sulle clausole contrattuali abusive e la direttiva sui diritti dei consumatori — e a valutare eventuali lacune normative. Sottolinea che il CdR è pronto a svolgere un ruolo attivo nell’elaborazione di tale agenda e raccomanda una più stretta cooperazione in questo campo con le istituzioni europee;
- rileva che i dossier relativi all’EdC sono seguiti da una decina di direzioni generali della Commissione europea (in particolare CNECT, GROW, COMP, JUST, MOVE, TAXUD, EMPL, REGIO e TRADE), e che occorre assicurare un coordinamento interservizi all’interno della Commissione: raccomanda pertanto a quest’ultima di istituire un gruppo di lavoro per il coordinamento tra le DG che si occupano a vario titolo di EdC;
- plaude tuttavia all’intenzione della Commissione europea di avviare, a fine settembre 2015, una consultazione pubblica sugli approcci regolamentari auspicabili a livello dell’UE in materia di EdC;
- ritiene che, per gli aspetti commerciali dell’EdC, siano necessari approcci regolamentari settoriali a livello UE, per garantire certezza giuridica e condizioni di concorrenza eque agli operatori interessati, in particolare in materia di fiscalità;
- invita la Commissione europea e gli Stati membri a mettere a punto degli incentivi all’economia collaborativa affinché questo nuovo settore economico sostenga e dia attuazione ai principi dell’economia sociale (con particolare riguardo ai principi di solidarietà, di democrazia e partecipazione, e di cooperazione con le comunità locali);
- in una dimensione locale e regionale, le iniziative dell’EdC, oltre a promuovere lo sviluppo delle economie locali, possono divenire uno strumento attraverso il quale favorire la promozione, la cura e la rigenerazione dei cosiddetti beni comuni, come la mobilità, il welfare, il paesaggio urbano e l’ambiente. Da questo punto di vista, il ruolo delle pubbliche amministrazioni dovrebbe essere quello di favorire il consolidamento di un «ecosistema istituzionale collaborativo». In tale ottica, il compito degli enti locali deve essere quello di facilitare e coordinare le diverse iniziative di EdC, valorizzando quelle che rafforzano i processi di partecipazione e collaborazione con i mulier activa, si mostrano inclusive, sia in fase di progettazione che di gestione ed erogazione del servizio, e che rispettano i principi di trasparenza, apertura e accountability;
- giudica nel contempo importante verificare in quali settori si sviluppa l’EdC e in che modo essa influisce sugli indicatori macroeconomici, affinché questo particolare tipo di economia non si trasformi in un sistema di ottimizzazione fiscale.
Per un’agenda dell’EdC
- è del parere che qualsiasi iniziativa di regolamentazione di tipo vincolante dovrebbe mantenere un approccio settoriale e, nel definire le linee normative, dovrebbe basarsi sul criterio delle dimensioni delle iniziative dell’EdC da assoggettare alle regole. Le istituzioni e la legislazione dell’UE dovrebbero offrire un quadro solido, orientamenti sul piano istituzionale e giuridico e un accesso permanente a consulenze e altra assistenza adeguata ai fini dell’attuazione della regolamentazione;
- ciononostante, invita tutte le istituzioni dell’UE che si occupano di EdC ad adottare un approccio olistico nel trattare questo settore emergente in quanto fenomeno economico, politico e sociale, e, in considerazione dell’ampio potenziale di trasformazione degli attuali sistemi economici inerente all’EdC, le esorta a coordinare i loro sforzi tramite una politica pubblica globale, elaborando in collaborazione un’agenda di politica pubblica in materia di EdC;
- raccomanda che un’agenda dell’UE per l’EdC si basi sui seguenti pilastri:
- definizione di un protocollo metodologico basato anche su una valutazione preliminare dell’impatto urbano e territoriale ed elaborato in stretto partenariato con tutti i livelli di governo, come pure con la cooperazione di una comunità di responsabili politici, accademici, operatori del settore, esperti, nonché imprese, iniziative e piattaforme dell’EdC, al fine di promuovere la transizione verso città della condivisione e collaborative,
- promozione, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, di condizioni di parità a livello europeo, pur assicurando una flessibilità sufficiente per soluzioni locali, nonché incentivazione di progetti pilota e della creazione di reti di città e regioni portatrici di buone pratiche nel campo dell’EdC, come ad esempio il progetto pilota Iniziativa per start up nell’economia della condivisione («sharing economy»),
- promozione dello sviluppo di programmi educativi e campagne di comunicazione (ad esempio Sharitaly) destinate a diffondere una maggiore consapevolezza delle potenzialità e dei rischi dell’EdC,
- definizione di criteri chiari e condivisi per un sistema di qualificazione basato sulla comunità e sviluppo di una serie di indicatori per monitorare e misurare l’impatto delle iniziative e delle pratiche dell’EdC,
- applicazione effettiva dell’agenda dell’UE per l’EdC in modo da contrastare l’elusione fiscale e garantire la tutela dei consumatori, la concessione delle licenze e il rispetto delle normative in materia di salute e sicurezza,
- periodici aggiornamento e monitoraggio dell’agenda dell’UE per l’EdC per evitare oneri inutili e garantirne in permanenza la sostenibilità e l’efficacia in un contesto in rapido mutamento;
- ritiene che molti dei settori interessati dall’EdC abbiano un impatto, talvolta anche distorsivo, a livello locale e regionale, e che dovrebbero pertanto, se necessario, poter essere disciplinati o regolamentati dagli enti locali e regionali nel rispetto del principio di autonomia locale, per consentire a tali enti di adattare le iniziative e le imprese dell’EdC ai diversi contesti locali;
- insiste sulla necessità che un’iniziativa di regolamentazione dell’EdC non sia disgiunta da una visione di governance urbana e locale, oltre che delle zone rurali. Gli esperimenti di governance collaborativa e policentrica portati avanti in diverse città europee sembrano profilarsi come il metodo più idoneo per sostenere e promuovere uno sviluppo corretto ed equo di iniziative nel campo dell’EdC. Un approccio di governance collaborativa/policentrica all’EdC consentirebbe a gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni del terzo settore, sindacati, istituzioni operanti nel campo della conoscenza, imprese sociali e start-up di utilizzare spazi e attivi aperti oppure vacanti o abbandonati, di proprietà delle amministrazioni pubbliche e a loro disposizione, traendo ispirazione dalle iniziative adottate da alcuni enti locali e regionali [ad esempio, il Regolamento del comune di Bologna sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani].
Bruxelles, 4 dicembre 2015.
Il Presidente del Comitato europeo delle regioni
Markku MARKKULA