Nelle università italiane dopo anni di declino degli immatricolati torna a crescere dell’1,6 per cento il numero delle matricole. Un aumento che tra i ragazzi di vent’anni è stato del 2,4%. Ciò nonostante la distribuzione territoriale del fenomeno risulti disomogenea, pesanti i tagli al diritto allo studio e notevole la riduzione del numero dei professori (del 12% negli ultimi 10 anni). Questi sono alcuni dei dati che emergono dal secondo “Rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2016”, presentato lo scorso 24 maggio dall’Anvur – Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca.
Il rapporto, che ha preso in esame 90 atenei tra pubblici, privati e telematici, evidenzia che negli ultimi dodici mesi ci sono state il 3,2% in più di matricole al Nord e lo 0,4% in più al Sud, mentre i nuovi iscritti sono scesi al Centro dello 0,1%. La maggior parte dei nuovi immatricolati sono ragazzi ventenni che hanno appena finito le superiori, mentre la quota di iscritti over 25 è passata dal 15% del 2015 al 4%. Per quanto riguarda gli universitari stranieri, essi affollano sempre di più gli atenei italiani: costituiscono il 9% del totale e nel 2000 erano soltanto il 2%.
È aumentata anche la percentuale di studenti che scelgono di studiare in una regione diversa da quella di provenienza: dal 18% nel 2007/2008 al 22% nel 2015/2016. La maggior parte dei ragazzi scelgono di spostarsi al Nord. In particolare, la quota di residenti nel Mezzogiorno che s’immatricolano in un ateneo del Centro‐nord è salita da circa il 18% della metà dello scorso decennio al 24%.
Malgrado una continua crescita osservata negli ultimi anni, il nostro Paese permane tra gli ultimi Paesi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo d’istruzione terziaria. L’Italia anche se ha colmato la distanza in termini di giovani che conseguono un diploma di scuola secondaria superiore, mostra tassi di accesso all’istruzione terziaria ancora più bassi della media europea e Ocse, ossia 42% contro 63% della media Ue e 67% della media Ocse.
Per quanto concerne i professori, dopo la riforma Gelmini con i suoi tagli e il turnover bloccato, si è registrato un calo del numero dei docenti, che sono passati dai 62.753 mila nel 2008 ai 50.369 nel 2015, con una proporzione docente/studenti pari a 1 a 30. Negli ultimi ventisette anni il processo di innalzamento dell’età del corpo docente è stato continuo: dal 1988 al 2015 l’età media è aumentata di quasi 7 anni, arrivando a circa 53.
Infine, a gravare ulteriormente sul sistema università sono gli scarsi investimenti pubblici. La quota di PIL rivolta alla spesa in ricerca e sviluppo è rimasta stabile, ma pur sempre di gran lunga inferiore rispetto alla media UE, ossia 1,27% contro 2,35%. Il Piemonte risulta essere la regione che investe di più, ossia il 2,03% del PIL regionale, la Valle d’Aosta invece quella che investe meno risorse, ossia lo 0,4%. Nonostante ciò, la produttività scientifica dei ricercatori è ingente e sul totale delle pubblicazioni mondiali nel periodo 2011-2o14 quelle italiane costituiscono il 3,5%, con un rapporto pubblicazioni/numero di ricercatori pari allo 0,61%.
Come ha sottolineato Andrea Graziosi, presidente di Anvur: «Sarebbe opportuno migliorare ulteriormente la ripartizione delle risorse, sostenendo con più decisione aspetti come il diritto allo studio e le prospettive di carriera dei migliori giovani studiosi, favorendo la mobilità dei nostri docenti e ricercatori».