19 luglio 1992 – Cosa Nostra decide che, dopo aver assassinato Giovanni Falcone, è ora il turno del suo collega e amico Paolo Borsellino. Insieme avevano lavorato al pool antimafia creato da Rocco Chinnici, riuscendo nell’impresa di arrivare al maxiprocesso di Palermo contro la mafia in grado di condurre in carcere 475 mafiosi. Si tratta della più grande vittoria dello Stato contro la mafia e Borsellino è uno degli autori di spicco di questa pagina di storia.
Nell’86 Paolo Borsellino chiede e ottiene la nomina di Procuratore della Repubblica di Marsala. La sua non è una scelta casuale ma frutto di una strategia studiata per lungo tempo: mentre di fatto lavora nella città più popolata della provincia di Trapani, resta in stretto contatto con Falcone riuscendo in tal modo ad avere sotto controllo tutta la Sicilia occidentale. Torna a Palermo solo nel 1992 in veste di procuratore aggiunto – insieme al sostituto procuratore Antonio Ingroia – dal momento che il giudice Falcone è a Roma, impegnato a far luce sul rapporto tra Stato e mafia.
Quando, il 23 maggio dello stesso anno, Giovanni Falcone viene ucciso nella strage di Capaci, Paolo Borsellino è già consapevole che la sua sorte sarà legata a quella del suo amico e collega, tanto che lo dichiara apertamente nel corso di un’intervista nella quale, ricordando un dialogo avvenuto con Ninni Cassarà, dice: «Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano». Due mesi prima di morire, Paolo Borsellino aveva rilasciato un’altra intervista per un’emittente francese in cui aveva parlato dei legami tra mafia e ambiente industriale del Nord Italia, facendo riferimento anche a indagini su Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri.
Il 19 luglio del 1992 Paolo Borsellino si sta recando con la sua scorta, come ogni domenica, da sua madre. Sotto l’abitazione, in via D’Amelio, a Palermo, ad attenderlo c’è una Fiat 126 imbottita di tritolo che esplode al suo passaggio. Perdono la vita il giudice Borsellino e 5 agenti della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Unico superstite è Antonino Vullo che al momento della detonazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
La famosa “agenda rossa” che Borsellino portava sempre con sé e dove annotava il corso delle sue indagini, dopo la strage non viene ritrovata. A oggi, gli autori dell’assassinio sono ancora ignoti.