Prendo congedo dal tema dell’approfondimento odierno per dedicare qualche riga a una “piccola” mostra inaugurata qualche giorno fa nel Palazzo dei Conservatori dei Musei Capitolini a Roma, “La misericordia nell’arte. Itinerario Giubilare tra i Capolavori dei grandi Artisti italiani” (31 maggio – 27 novembre 2016).
Ma, prima di addentrarmi nel racconto della mostra, avverto l’esigenza di provare a comprendere meglio cosa sia la misericordia. In questi mesi molti hanno cercato di chiarire il senso di questa parola e, tuttavia, non è semplice trovare un’interpretazione convincente. L’origine è latina e richiama l’unione del verbo misereor, avere compassione, e del sostantivo cor-cordis, cuore. Il dizionario Treccani definisce la misericordia come un “sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla; anche, sentimento di pietà che muove a soccorrere, a perdonare, a desistere da una punizione”.
In senso teologico Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, in occasione del XXIII Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, dedicato a «Misericordia e perdono» (settembre 2015), ha sostenuto: “la misericordia, il cuore per i miseri, è uno dei sentimenti principali attribuiti a Dio e comandati all’umanità in tutta la Bibbia: sta nello spazio dell’amore e indica bontà, benevolenza, indulgenza, amicizia, disposizione favorevole, pietà, grazia”.
La misericordia, quindi, non consiste tanto nel “fare il bene” quanto nell’orientare il nostro cuore verso i “miseri”, verso “chi ha sbagliato o chi ha bisogno del nostro amore”.
Anzi, la misericordia cristiana va oltre, ci scandalizza perché Gesù la interpreta in modo opposto a come noi avremmo immaginato. In proposito ricorda: “Che Dio accolga i peccatori pentiti è cosa buona e lodevole, perché egli «è amore» (1Gv 4,8.16), ma che i peccatori e le prostitute precedano nel regno di Dio i sacerdoti e gli esperti della Legge (cf. Mt 21,32), questo è inaudito (…); che «il figlio prodigo» sia perdonato dal padre amoroso sarebbe accettabile, magari dopo un tempo di punizione e con la promessa di non reiterare l’errore; ma celebrare in suo onore una festa senza porgli condizioni e ammetterlo in casa senza obiezioni, questo è troppo (cf. Lc 15,20-24): è un pericoloso eccesso di misericordia”.
Anche la mostra dei Musei capitolini, a modo suo, aiuta a comprendere meglio cosa possa intendersi per misericordia, ponendo alla nostra attenzione il punto di vista degli artisti italiani, in particolare tra il Quattrocento e il Settecento.
La prima chiave di lettura è data dall’iconografia della Madonna della Misericordia o dei Raccomandati. La Vergine, con un ampio mantello, protegge e “accudisce” il suo popolo, tutti i suoi “figli”. “L’ampio manto prende in prestito dal mondo giuridico medievale il significato di protezione e di amore caritatevole: ad esempio i figli nati prima del matrimonio erano legittimati se tenuti sotto il manto della madre durante la celebrazione delle nozze oppure un detenuto poteva ottenere la grazia se si fosse rifugiato sotto il mantello di un personaggio altolocato”. Maria, quindi, accoglie, include, protegge, si prende cura persino degli “irregolari”, di quanti giungono a lei anche attraverso percorsi “tortuosi”. L’unica condizione è che vogliano stare sotto il suo manto, chiedano la sua protezione.
Nella mostra potremmo citare, come esempio di questo simbolismo, il Gonfalone della Confraternita di Santa Maria del Vescovado, opera della metà del Quattrocento di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, che raffigura Maria nell’atto di proteggere San Francesco, Santa Chiara e i loro confratelli.
La seconda chiave di lettura prende spunto dalla parabola del Giudizio finale del Vangelo di Matteo (in particolare 25, 35-36): “Perché avevo fame e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell’acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa, ero nudo e mi avete dato dei vestiti, ero malato e in prigione e siete venuti a trovarmi!”. Nel tempo, con l’aggiunta del precetto di “seppellire i morti”, queste sono diventate le sette opere di “misericordia corporale”. E su questo tema nella mostra si spazia, ad esempio, dalla Carità di Guido Reni al Buon Samaritano di Mattia Preti, dalla statua in oro e argento di Giuseppe Sanmartino e Biagio Giordano raffigurante San Rocco, il santo viandante e pellegrino nell’Italia del trecento flagellata dalla peste, al dipinto di Vincenzo Tamagni, San Martino divide il mantello con il povero.
Ma, come opportunamente segnalato nei testi a commento, due grandi opere non esposte simboleggiano, su tutte, i temi trattati: la Madonna della Misericordia nel Polittico di Piero della Francesca, conservato nel Museo civico di San Sepolcro, e Le sette opere di misericordia di Caravaggio, tela esposta nel Pio Monte della Misericordia a Napoli.
In conclusione mi permetto di suggerire ai lettori di Felicità Pubblica in visita ai Musei Capitolini di dedicare qualche minuto a questa mostra (ingresso museo e mostra € 15), nonostante gli spazi espositivi siano inadeguati per una buona visione delle opere esposte. Al di là del valore artistico, questo “itinerario giubilare alternativo”, come lo definiscono i curatori, aiuta a comprendere come ciascuno di noi quotidianamente debba fare i conti con il tema della misericordia. Non solo i credenti sono chiamati a orientare il proprio cuore verso chi ha bisogno, ma l’intera umanità. D’altra parte proprio queste pagine sono in larga parte dedicate a chi cerca rifugio dalle guerre, a chi è nel bisogno, agli sprechi e alla fame, al diritto al cibo e all’acqua, a chi lotta con la malattia, alla disabilità, ai carcerati e così dicendo. Potremmo usare altri termini ma tutto questo è “misericordia”, è prendersi cura gli uni degli altri, è quello spazio dell’amore e della reciprocità che cerca di costruire una società giusta. La differenza non risiede in una visione laica o “di fede” ma nella “radicalità” dell’approccio: non possiamo accontentarci dei “buoni sentimenti” determinati dalle emozioni del momento ma siamo chiamati a cercare, con costanza, pazienza e caparbietà, il modo possibile per “tenere insieme tutti”, senza lasciare indietro nessuno.