La responsabilità sociale nei progetti di sviluppo locale – prima parte

Presentiamo di seguito la comunicazione di Valerio Roberto Cavallucci all’OpenDay del Progetto Ascaré tenutosi a Pescara l’11 marzo 2015 presso l’Auditorium Petruzzi del Museo delle Genti d’Abruzzo. Il Progetto Ascaré – Accrescere il sistema delle competenze delle Autonomie locali della Regione Abruzzo è un’iniziativa della Regione Abruzzo realizzata da FormezPA nell’ambito del PAR/FSC 2007/2013 Linea VI.1.4.b Accrescimento della Capacity Building negli Enti Locali e nell’intera filiera inter-istituzionale anche attraverso l’innovazione e gestione associata dei servizi pubblici locali.

Il tema dello sviluppo locale continua a caratterizzare la programmazione economico territoriale e l’intero dibattito politico-amministrativo. Le prime riflessioni sul tema possono essere riferite ai distretti industriali del Centro Italia negli anni 80. Ma, in maniera più esplicita e consapevole, abbiamo iniziato a parlare di sviluppo locale nella prima metà degli anni ‘90, in ambito comunitario con il programma LEADER per lo sviluppo rurale e nel nostro Paese con la stagione dei Patti Territoriali di Giuseppe De Rita e del CNEL. Questa esperienza è proseguita per anni con la “programmazione negoziata”, con i patti territoriali gestiti dal CIPE, con i contratti d’area e con i contratti di programma, per affrontare i temi della crisi e dello sviluppo.

Nel 1998 viene pubblicato il Manifesto delle sviluppo locale di De Rita e Aldo Bonomi, che porta a piena consapevolezza la dimensione territoriale dello sviluppo, l’intreccio tra locale e globale, la competizione tra territori, il ruolo decisivo delle comunità, a partire dagli attori sociali e dalle istituzioni locali.

Non tutti gli strumenti per lo sviluppo locale hanno avuto successo; spesso i risultati sono stati modesti rispetto alle aspettative, ma il tema si è imposto e resta al centro dell’attenzione. Nel tempo sono cambiate le forme assunte dalle politiche per lo sviluppo locale, si sono “specializzate” le prestazioni ma gli elementi essenziali rimangono gli stessi. Abbiamo sperimentato le reti di imprese, i contratti di sviluppo, i poli di innovazione, i distretti culturali e turistici, e su altro versante, i piani integrati di sviluppo urbano e i piani di sviluppo territoriale. Diverse forme di aggregazione, quindi, tra soggetti economici e istituzionali, orientate a determinare cambiamenti territoriali. Queste modalità di intervento si estendono, progressivamente e quasi inconsapevolmente, ad altri ambiti, quali il sociale – pensiamo ai piani di zona – o l’ambiente – da Agenda 21 ai Contratti di fiume.

Anche la programmazione comunitaria 2014/2020 rilancia il tema. Vale la pena sottolineare l’attenzione dedicata nel Regolamento 1303/2013 allo sviluppo locale di tipo partecipativo e allo sviluppo territoriale. Ma, soprattutto, l’attenzione allo sviluppo locale è testimoniata nell’art. 12 del Regolamento FSE dove, per la prima volta, si dispone che il fondo possa “sostenere strategie di sviluppo locale di tipo partecipativo in aree urbane e rurali (…), i patti territoriali e le iniziative locali per l’occupazione (…) nonché gli Investimenti Territoriali Integrati”. Analoga attenzione troviamo nell’Accordo di Partenariato e, in particolare, nella strategia per le aree interne, non a caso fondata su due pilastri: l’adeguamento della quantità e qualità dei servizi essenziali e i progetti di sviluppo locale.

Naturalmente anche le azioni per rafforzare le competenze interne e ammodernare le Pubbliche Amministrazioni Locali entrano a pieno titolo nella strategia per lo sviluppo locale. Ma, ancor prima, concorrono al raggiungimento di questo obiettivo gli sforzi per riaggregare e ridisegnare i servizi erogati dagli Enti Locali quali, ad esempio, gli Sportelli Unici per le Attività Produttive, gli Sportelli Unici per l’Edilizia, i servizi aggregati dei Comuni di minori dimensioni. E’ di queste settimane, inoltre, la vicenda che investe le Province italiane che da un lato perdono competenze a favore di Regioni e Comuni e dall’altro sono chiamate a riprogettare il proprio futuro come enti di area vasta e, quindi, come soggetti che rispondono a bisogni “aggregati” che i singoli Comuni non riescono a soddisfare. In definitiva, anche le “centrali di committenza”, gli “uffici unici” per i procedimenti disciplinari, per i servizi di ragioneria, per la gestione del personale, per i servizi informatici concorrono, seppur indirettamente, alla strategia di sviluppo locale.

A partire da queste premesse vorrei proporre una prima riflessione. Quasi la totalità degli strumenti citati per promuovere lo sviluppo locale richiede competenze che rimandano da un lato al Project Cycle Management e dall’altro al Project Management. In qualsiasi progetto di questa natura c’è un Piano di Azione Locale o un Piano di Sviluppo, costruiti sulla base di analisi SWOT, attraverso processi di mobilitazione di interessi e saperi espressi dal territorio. Il Piano, a sua volta, è articolato in Assi, Misure, Azioni, Interventi, con associate attività di monitoraggio, sull’attuazione fisica e finanziaria, e attività di valutazione, in itinere ed ex post, svolte sulla base di indicatori di prodotto, risultato e impatto. Anche al più piccolo Gruppo di Azione Locale o al Gruppo di Azione Costiera di recente costituzione viene chiesto di organizzare efficaci attività di monitoraggio e valutazione. Grazie a questo prolungato impegno, pur con tutti i limiti del caso, si è strutturato un vero e proprio linguaggio dello sviluppo locale, con regole ben precise. E’ cresciuta una comunità di professionisti che opera all’interno o a fianco dei soggetti che governano lo sviluppo locale, con competenze articolate, specialistiche, a volte anche estremamente sofisticate.

Ma le Regioni – che promuovono, pianificano, finanziano e controllano queste esperienze – parlano lo stesso linguaggio? Sono sulla stessa lunghezza d’onda? Ad esempio, esistono e funzionano i sistemi di monitoraggio regionali? Esistono e funzionano i sistemi di valutazione? E ancora, perché si registrano tanti ritardi e tante incertezze nelle fasi di programmazione e avvio dei singoli interventi, anche di quelli a specifica rilevanza territoriale? In molti casi ci sono problemi di efficienza della struttura organizzativa. In altri casi si riscontra l’inadeguatezza della governance multilivello. Ma, forse, esiste anche un altro problema, che incide ancor più in profondità. Per le strutture amministrative regionali troppo spesso anche i programmi di sviluppo locale si riducono esclusivamente ad adempimento amministrativo. In altri termini, chi programma, finanzia e controlla parla un linguaggio diverso da chi, nei territori, attua concretamente azioni di sviluppo.

Mi rendo conto di proporre una semplificazione che non rappresenta a pieno la complessità delle singole situazioni. Tuttavia, in molti casi, l’attenzione degli attori locali è centrata sull’efficacia delle attività da realizzare, sulla tempestività della spesa, sui risultati da conseguire, sugli impatti determinati o da determinare. Al contrario, per i dirigenti e i funzionari delle amministrazioni regionali, il focus è costituito dall’adempimento amministrativo, mentre finalità, modalità attuative, risultati e impatti rimangono sullo sfondo, in lontananza. Non ci riferiamo ai pochi dirigenti apicali che, il più delle volte, per formazione ed esperienza, sono ben consapevoli della complessità e dell’unitarietà dell’intero ciclo dello sviluppo locale. La questione si pone per le centinaia di funzionari e dirigenti che hanno diretta responsabilità di misure o azioni che compongono gli interventi di sviluppo locale. Persone che, con ogni probabilità, vengono a contatto esclusivamente con la proiezione amministrativa dello sviluppo locale: il fascicolo, gli atti, le relazioni. E questo non accade di certo per loro responsabilità.

E’ necessario riflettere sul fatto che l’efficacia e l’efficienza dei piani di sviluppo locale esigono una comunità professionale che condivida finalità, obiettivi, strumenti, mezzi. Questa comunità professionale si estende dai dirigenti apicali delle Regioni, che concorrono alla programmazione, al funzionario che gestisce il singolo procedimento amministrativo, al Presidente di un GAL, di un Polo o di un Distretto che rappresenta gli attori locali, ai Direttori e agli operatori di queste strutture che attuano l’intervento e ne misurano i risultati. Questa “catena” non può avere anelli mancanti, ognuno deve parlare lo stesso linguaggio dell’altro, condividere le informazioni, se vogliamo recuperare efficacia ed efficienza. Questi soggetti, insieme, devono tendere a diventare, per l’appunto, una comunità professionale. Solo in questo modo, per tutti gli operatori coinvolti, parole come monitoraggio e valutazione, ad esempio, potranno acquisire un medesimo significato.

Se questa riflessione ha un fondamento, allora gli operatori dello sviluppo locale, nell’accezione e nell’estensione che abbiamo fin qui cercato di mostrare, devono trovare occasioni per stare insieme, per discutere, per formarsi insieme all’uso degli strumenti e dei linguaggi che ognuno per la sua parte è chiamato a utilizzare.

Leggi la seconda parte dell’approfondimento.

Published by
Valerio Roberto Cavallucci