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L’anno buio degli ambientalisti: nel 2016 ne sono stati uccisi oltre 200

Il 2016 è stato un anno terribile per gli ambientalisti di tutto il mondo secondo il rapporto annuale di Global Witness, la ong britannica per la difesa dei diritti umani. Sono stati uccise più di 200 persone che avevano ingaggiato una lotta contro i crimini ambientali, molti erano attivisti, circa 80 giornalisti e gli altri semplici indigeni che volevano difendere il proprio luogo natio.

Duecento è un numero che fa paura nell’arco di un anno, se si pensa che l’incremento è stato costante di anno in anno, fino oggi ad arrivare a questa situazione.  Secondo il rapporto di Global Witness i Paesi coinvolti da questo fenomeno sarebbero 24, con l’America Latina a vantare il triste primato del 60% degli omicidi. Preoccupa anche il trend dell’India che, dal precedente rapporto, ha praticamente triplicato il numero dei crimini rispetto all’anno precedente.

Come in ogni escalation di tipo criminale, anche in questo caso, l’omicidio è l’ultimo passo dei criminali dopo le solite minacce, le ritorsioni, le aggressioni anche a sfondo sessuale. Tuttavia, tanta brutalità, anziché intimidire gli attivisti sembra invece spronarli a fare di più, e, come si legge nel rapporto, «i difensori dell’ambiente si moltiplicano».

Facendo riferimento al 2016, lo Stato in cui sono state uccise più persone che lottavano per questo tipo di causa risulta essere il Brasile con 49 esecuzioni. A livello pro capite è però il Nicaragua ad avere il pessimo primato con 11 omicidi. Segue la Colombia che è stata coinvolta in una strage che ha visto 37 ambientalisti perire e poi il Congo con i 9 ranger uccisi dai bracconieri.

Il 40% di tutti i decessi registrati erano indigeni, popoli che da secoli abitavano le zone più svariate della Terra e mai, o quasi, protetti dai governi che avrebbero dovuto aiutarli, difenderne le ragioni e i diritti. Come sempre, in questi casi, sono stati gli interessi economici a determinare le uccisioni: le realizzazioni di dighe idroelettriche a percorrere e snaturare il paesaggio, costruzioni proposte dalle multinazionali e avallate da funzionari di Stato compiacenti. Quando gli indigeni si oppongono, anche insieme all’aiuto delle organizzazioni ambientaliste, lo sgombro forzato viene ottenuto servendosi della polizia locale.

Proprio quest’ultima, stando a Global Witness, sarebbe responsabile di almeno 43 del numero totale degli attivisti morti nel 2016. Così afferma Ben Leather della ong: «Gli attivisti vengono assassinati, attaccati e criminalizzati dalle persone che si suppone dovrebbero proteggerli».

 

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Redazione