Nella giornata di ieri abbiamo letto e ascoltato decine di servizi giornalistici dedicati alla commemorazione delle vittime del terremoto dell’Aquila e all’analisi dello stato della ricostruzione a otto anni dal sisma. Anche Felicità Pubblica è intervenuta sull’argomento cercando di fornire dati e qualche riflessione (leggi l’articolo). Molti commentatori, non senza buone ragioni, si sono soffermati sui ritardi accumulati nel processo di ricostruzione e la problematica situazione delle scuole cittadine è divenuta la cifra distintiva di questo triste anniversario. Utile la denuncia di tutte le inefficienze, soprattutto ora che il Paese è chiamato a fronteggiare anche la difficile ricostruzione di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e di tutte le aree limitrofe tra Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria.
Tuttavia alcuni interventi, anche tra quelli più severi, ci sono apparsi di circostanza, non in grado di cogliere a pieno la complessità della situazione e le grandi contraddizioni aquilane. Sia ben chiaro, è un rischio che si corre ogni qual volta si ricordi un evento così importante e doloroso. Evidenziare l’inadeguatezza del nostro operato sembra essere il modo più opportuno per rendere onore a quanti ci hanno lasciato per la crudeltà della natura e l’imperizia degli uomini. È un approccio assolutamente giustificato, forse necessario, specialmente nei primi anni dopo il disastro ma, trascorso molto tempo, lascia l’amaro in bocca e non risponde più a un autentico bisogno di comprensione.
Sarebbe più interessante scavare a fondo per capire cosa non ha funzionato, perché alcuni interventi sono stati efficaci e altri meno, quali “modelli” siano stati applicati e che risultati abbiano conseguito. Ha ragione il sindaco Cialente quando afferma: «Come si fa ad affrontare gli ultimi terremoti senza fare tesoro dei precedenti? Se fossero venuti a vedere all’Aquila come sono state fatte le cose…». In Italia corriamo spesso il pericolo di iniziare sempre daccapo, senza apprendere dall’esperienza. Non abbiamo la pazienza e l’umiltà di monitorare le nostre azioni e di soffermarci a valutarne risultati e impatti.
Inoltre sarebbe utile prendere in esame quale sia lo stato della ricostruzione sociale dell’Aquila. Come ha reagito la città all’evento che ne ha sconvolto abitudini e stili di vita? Quali sono i nuovi connotati della comunità aquilana? Questioni di estrema complessità che certo non possono essere affrontate compiutamente in occasione di un anniversario. Però, qualche cenno, qualche riferimento a queste problematiche avrebbe potuto rendere meno rituale e più profonda la commemorazione delle vittime.
Per queste considerazioni vogliamo proporre all’attenzione dei lettori di Felicità Pubblica un contributo originale elaborato dal Circolo Legambiente Abruzzo Beni Culturali: “Visita guidata a L’Aquila. Vi raccontiamo la città a otto anni dal sisma”. Una narrazione ampia, articolata, un ragionamento “alternativo” alla frammentarietà delle dichiarazioni raccolte per strada; una narrazione che offre un punto di vista interno alla città, ricco di rabbia e speranza. Come sempre accade non tutti i passaggi appaiono egualmente convincenti, ma in ogni caso siamo di fronte a un documento che aiuta a comprendere la complessità e la contraddittorietà della situazione aquilana cui si è fatto riferimento.
Per ragioni di brevità, di seguito proponiamo soltanto l’Introduzione e il paragrafo dedicato alla Ricostruzione sociale ma raccomandiamo caldamente ai lettori la consultazione del testo integrale (clicca qui).
Introduzione
Soprannominata la “Regina degli Appennini”, nel 2009 L’Aquila aveva 72.988 residenti ma arrivava a contare una presenza giornaliera sul territorio di quasi 100.000 persone per studio, attività terziarie, lavoro e turismo. La vita girava intorno al centro storico, ogni mattina a Piazza Duomo si svolgeva il mercato, nei vicoli del centro erano collocati gli uffici pubblici, alcune scuole e diverse sedi universitarie. Poi il 6 aprile 2009, alle 3.32 tutto è cambiato, dopo diversi mesi di scosse localizzate e percepite in tutta la zona dell’aquilano, L’Aquila è stata colpita da un terremoto di magnitudo 6.3 Mw, che ha portato la morte di 309 persone e danni ingenti. I bambini nati nel 2009 vivono oggi in una città estranea ai loro genitori e molti di quelli che avevano 13-14 anni all’epoca si sono trasferiti appena dopo il sisma. Difficile essere ragazzi in una città che sembra tutta una brutta periferia. Il centro cittadino è pressoché abbandonato e la maggior parte delle attività commerciali che hanno avuto la forza economica di riaprire sono concentrate in impersonali centri commerciali. Le 19 News Town realizzate in zone esterne all’abitato del 2009 e nelle frazioni oggi sono quartieri dormitori e in alcune mancano nelle vicinanze farmacie, supermercati o sportelli postali. Ad oggi l’ISTAT ha rilevato circa 70.000 residenti nella città e nelle frazioni, ma il dato fa fede alla residenza, e non tiene conto delle tante famiglie che hanno scelto di vivere altrove mantenendo la residenza a l’aquila per svariate ragioni e perché probabilmente ancora proprietari di immobili che necessitano del contributo per la ricostruzione.
Siamo tutti abituati a osservare, ammirare, le rovine che ci raccontano un tempo magico, lontano, i Fori Imperiali, Pompei, Sarajevo. Eventi lontani temporalmente e geograficamente che non sono accaduti a noi, che non ci toccano davvero. Ma qui a L’Aquila le rovine, sono una zavorra, un problema politico, qualcosa che ha fatto sfregare le mani ai più disonesti e allontanare molti che qui ci erano nati. Oggi arrivare in Piazza Duomo è una sfida verso se stessi e chi resta come noi cerca di evitare la retorica del terremoto. Ha imparato invece a cogliere le cose che ci sono in più, rispetto a un anno prima. Proviamo a immaginare la città come sarà tra 8 anni e non a ricordare come era 8 anni fa. Ci sforziamo di rovesciare la prospettiva, ogni giorno anche per arginare la fatica del vivere quotidiano. Sì, la vita continua a essere faticosa a L’Aquila ma non vogliamo una seconda Pompei.
A ormai 8 anni dal terremoto, negli alloggi post sisma (C.A.S.E.e M.A.P.) si trovano ancora poco più di 10mila sfollati e negli ultimi due anni circa il numero delle persone che ha lasciato il Progetto Case e i Map è sceso del 30%. Chi rimane in queste abitazioni per lo più è residente dei centri storici della città dell’Aquila e delle frazioni in attesa di poter tornare a casa propria; in molte frazioni infatti la ricostruzione non è neanche iniziata, nel 2016 a fronte di 120 contributi emessi i cantieri realmente partiti sono una decina. Così come ancora non parte la ricostruzione pubblica e quella delle scuole, mentre per la ricostruzione degli edifici privati sono stati richiesti 10,5 miliardi e ne sono stati erogati circa 4,4 miliardi.
Il disagio sociale è fortissimo, il terremoto ha prodotto 5 mila nuovi poveri (dati ISTAT), persone che hanno perso il lavoro o che comunque non riescono a trovare un’adeguata collocazione occupazionale. I tempi lunghi della ricostruzione e la mancanza di una vera programmazione stanno portando molti residenti ad abbandonare la città e le sue frazioni.
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Ricostruzione sociale
È nelle condizioni peggiori che a volte si realizzano le cose più straordinarie: è a partire dall’alba del 6 aprile 2009 che l’Aquila ha tragicamente riacquistato fascino, valore e importanza a livello locale, nazionale ed internazionale. Siamo dovuti finire sulle testate giornalistiche delle principale emittenti italiane e mondiali per capire che davanti ai nostri occhi avevamo uno dei patrimoni artisticoculturali più importanti d’Italia. Questa, irruenta, drammatica presa di visione e coscienza ha reso la cittadinanza più partecipe ed interessata alle problematiche ma anche alle risorse di cui questa città ha sempre disposto.
Prima del sisma in città si è sempre stati restii a tirare su lo sguardo e a battersi per gli interessi della collettività. Si era troppo impegnati a correre nell’assordante routine quotidiana per scoprire quanto di bello si nascondesse nell’esplorare la nostra realtà culturale, sociale, artistica e paesaggistica attraverso l’impegno civile e l’associazionismo; oggi si è scoperta una cittadinanza più sensibile alle tematiche della collettività e alla valorizzazione delle risorse umane e culturali. Si è passati dalla, a volte dilagante, indifferenza alla perdita fisica ed emotiva per arrivare alla voglia di partecipazione ed autorganizzazione.
È in un contesto di prima emergenza che si sono venute a costituire le prime associazioni di volontariato, tese a garantire servizi di assistenza primaria alla popolazione (supporto psicologico, medico, assistenziale) per poi nel corso degli anni mantenere viva questa volontà di associazionismo volto alla valorizzazione culturale, ambientale, umana e paesaggistica aquilana.
Dati alla mano, le associazioni culturali censite dal comune dell’aquila sono 206(dati al 31/3/2014) di cui 42 nate dopo il sisma, riguardanti i più disparati settori: promozione culturale, formazione dei giovani, assistenza ai disabili, servizio civile, teatro, arte, musica, cinema, commercio equo-solidale, adozione, immigrazione, diritti civili, sport. La cultura, la voglia di ritrovare spazi condivisi, di ricostituire un tessuto sociale, ha fatto da collante identitario dando di nuovo un senso a parole quali “cittadinanza” e “società”.
L’obiettivo generale è creare un luoghi di aggregazione per tutta la cittadinanza capaci di contribuire alla rinascita del tessuto sociale e alla valorizzazione delle risorse artistico-culturali e paesaggistiche di una terra, ferita e martoriata ma in grado di offrire ancora bellezze, cultura, ospitalità.
È in tale clima che numerose associazioni si sono costituite ex-novo e tante altre, già esistenti preterremoto, si sono battute per la raccolta di fondi necessaria alla realizzazione delle sedi con l’obiettivo comune di far rivivere le esperienze di ogni singola associazione nella speranza di dar vita a nuove iniziative e progetti.
Una forma ormai diffusissima di associazionismo che ha preso piede anche ne L’Aquila post sisma sono i comitati. La partecipazione ai comitati all’inizio tende ad essere sollecitata attorno a specifici temi e le arene così istituite hanno una durata temporale limitata: si sciolgono, quando quello specifico processo viene portato a termine. Nel caso de L’Aquila i comitati svolgono ancora oggi un ruolo fondamentale nelle battaglie sulla ricostruzione nel tenere alta l’attenzione sulla richiesta dei cittadini di trasparenza.
Solo una minima parte degli spazi che ospitavano iniziative culturali in centro storico è tornare agibile nel post sisma. Alcuni di questi spazi sono sorti altrove. L’esigenza di avere spazi aggregativi e culturali è stata una delle prime necessità manifestata dagli aquilani dopo il sisma. Le strade del centro storico sono oggi deserte, ad esclusione degli operai che operano nei cantieri. Ma c’è comunque un luogo in cui il centro storico dell’Aquila, è già a ora percorribile e reale, ed è ironia della sorte sulla piazza virtuale.
Nella grande piazza di Facebook, ad esempio, dove quotidianamente si incontrano migliaia di aquilani e non che nel centro storico ci hanno vissuto e vorrebbero tornarci, ma anche giovani che non l’hanno vissuto e avrebbero voluto.
C’è chi in queste pagine si abbandona ai ricordi di quelle piazze e viuzze che sembrano essersi dissolte in una notte di primavera, dopo un immenso boato, chi invece più pragmaticamente ragiona e discute su come ricostruirlo il centro storico, chi si scambia informazioni tecniche o cerca di organizzare consorzi di residenti in vista della ristrutturazione degli isolati, chi grazie alla rete riesce a mantenere vive le relazioni sociali, pur alloggiando in qualche albergo sperduto sulla costa o sulle montagne d’Abruzzo. E poi c’è la movida. Chiunque oggi voglia sapere cosa si fa a L’Aquila, dove e a che ora non cercherà più delle locandine, perché non ci sono piazze dove appenderle, ma cercherà su facebook.
Ora nella fase della ricostruzione i new-media come i social network possono diventare invece un prezioso strumento per rendere partecipate trasparenti le scelte, per mantenere vivi i rapporti di vicinato e il sentimento di cittadinanza presso migliaia di aquilani a cui toccherà in sorte un lungo esilio lontani dalla loro città.