Nell’editoriale di questa settimana abbiamo ricordato la solenne Dichiarazione di Bergamo dei ministri e dei rappresentanti di Italia, Francia, Germania, Giappone, Canada, Regno Unito, Stati Uniti, Unione Europea, Fao e Unione Europea: è necessario portare “cinquecento milioni di persone fuori dalla fame entro il 2030 attraverso impegni concreti dei 7 Paesi”. Speriamo sia così.
Intanto l’Indice Globale della Fame (GHI) 2017, redatto da IFPRI (International Food Policy ResearchInstitute)in collaborazione con Concern Worldwide (agenzia umanitaria di origine irlandese) e Welthungerhilfe (ong tedesca) e curato da Cesvi (Cooperazione e sviluppo) nella sua edizione italiana, fornisce questi dati: il livello di fame globale dal 2000 ad oggi è sceso del 27%, ma tuttora nel mondo ci sono 815 milioni di persone che non hanno accesso al cibo. Come noto i livelli più preoccupanti di insicurezza alimentare si registrano nei Paesi interessati da instabilità politica e da conflitti. Infatti “nello Yemen e in 7 paesi a sud del Sahara – Repubblica centroafricana, Ciad, Liberia, Madagascar, Sierra Leone, Sudan e Zambia – si sono susseguiti negli ultimi anni conflitti armati che hanno avuto pesanti ripercussioni sulla sicurezza alimentare”.
Esclusi dalla rilevazione dell’Indice Globale della Fame ben 13 Paesi per indisponibilità di dati. Tra questi, alcuni Paesi in cui è lecito supporre condizioni allarmanti o estremamente allarmanti: la Libia, la Somalia, il Sud Sudan, la Siria.
Il Rapporto di quest’anno approfondisce in particolar modo il rapporto tra fame e diseguaglianze. Come si legge nel Sommario dell’Indice – di seguito riportato integralmente – “nella maggior parte dei casi, sono le persone e i gruppi con meno potere sociale, economico o politico – quelli che sono discriminati o svantaggiati, come le donne, le minoranze etniche, i popoli indigeni, gli abitanti delle zone rurali e i poveri – a essere le principali vittime della fame e della malnutrizione”. Tutto questo non è inevitabile, ma per invertire la rotta è necessario intervenire modificando le relazioni di potere e immettendo massicce quote di equità.
Afferma Daniela Bernacchi, Direttore Generale di Cesvi: “La fame rappresenta uno dei problemi più gravi che affiggono l’umanità, più dell’azione combinata di malattie come AIDS, tubercolosi o malaria. È un’emergenza globale che interessa ancora troppe persone nel mondo e si concentra soprattutto in alcuni particolari territori. Negli ultimi anni molto è stato fatto per intervenire sulla condizione di migliaia di persone che soffrono quotidianamente la fame e la malnutrizione, ma possiamo e dobbiamo impegnarci affinché l’Obiettivo Fame Zero venga raggiunto entro il 2030”.
Sommario
L’Indice Globale della Fame (GHI) 2017 evidenzia progressi a lungo termine nella riduzione della fame nel mondo. Ma si tratta di miglioramenti irregolari: ci sono ancora milioni di persone in situazione di fame cronica e in molte zone si registrano gravi crisi alimentari e persino carestie.
Secondo i risultati del GHI 2017, rispetto al 2000 il livello difame globale è diminuito del 27%. Dei 119 paesi presi in esame nel rapporto di quest’anno, solo uno rientra nella categoria “estremamenteallarmante” della Scala di Gravità dell’Indice; 7 rientrano in quella allarmante; 44 in quella grave; 24 in quella moderata. Solo 43 paesi hanno un punteggio basso. Va detto anche che 9 dei 13 paesi privi di dati sufficienti per il calcolo del GHI 2017 sono fonte di notevoli preoccupazioni, come per esempio Somalia, Sud Sudan e Siria.
Per registrare la natura multidimensionale della fame, i punteggidi GHI utilizzano quattro indicatori – denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità infantile. Il miglioramento del 27% di cui sopra rispecchia i progressi per ciascuno di questi indicatori secondo gli ultimi dati 2012-2016 per i paesi del GHI:
Risultati Regionali
Le regioni del mondo più colpite dalla fame sono l’Asia meridionale e l’Africa a sud del Sahara. I punteggi di entrambe (rispettivamente 30,9 e 29,4) rientrano nella categoria grave. I punteggi di Asia orientale e Sud-est asiatico, Vicino Oriente e Nord Africa, America Latina e Caraibi, e Europa dell’Est e Comunità degli Stati Indipendentivanno da bassi a moderati (tra 7,8 e 12,8). Ma dietro queste medie si nascondono alcuni dati preoccupanti all’interno di ciascuna regione, come per esempio il punteggio grave di Tagikistan, Guatemala, Haiti, Iraq e quello allarmante dello Yemen, così come i risultati gravi di metà dei paesi di Asia orientale e Sud-est asiatico, la cui media è mitigata dal basso punteggio della Cina (7,5).
Risultati Nazionali e Subnazionali
Otto paesi registrano livelli di fame estremamente allarmanti o allarmanti. A parte lo Yemen, tutti si trovano in Africa a sud del Sahara: Repubblica Centrafricana, Ciad, Liberia, Madagascar, Sierra Leone, Sudan e Zambia. Molti di questi paesi hanno vissuto crisi o conflitti violenti negli ultimi decenni. In particolare, Repubblica Centrafricana e Yemen in anni recenti sono stati lacerati da guerre civili.
Rispetto al 2000, i punteggi di GHI 2017 di 14 paesi sono migliorati del 50% o più: quelli di 72 paesi hanno registrato una diminuzione compresa tra il 25 e il 49,9%; e quelli di 27 paesi sono calati di meno del 25%. Solo la Repubblica Centrafricana, unico paese con una fame estremamente allarmante, non evidenzia alcun segno di progresso. Il rapporto di quest’anno mostra i dati subnazionali dell’arresto della crescita infantile, che rivelano grandi disparità tra un paese e l’altro. Le differenze relative ai profili di fame e nutrizione indicano che nella maggior parte degli stati è improbabile che un approccio unico e indifferenziato alla lotta alla fame e alla malnutrizione dia buoni risultati. I dati a livello regionale e statale, congiuntamente ad altre informazioni – come per esempio quelle provenienti dai focus group – possono fornire una solida base per la corretta progettazione di programmi e strategie. In tutti i paesi del mondo possiamo vedere ampie variazioni del tasso di arresto della crescita infantile a livello subnazionale. Anche in paesi dove la media nazionale è bassa, ci sono aree in cui l’arresto della crescita infantile è alto.
Disuguaglianza, Potere e Fame
Nel saggio di quest’anno, Naomi Hossain, ricercatrice presso l’Instituteof Development Studies, esplora i legami tra disuguaglianza, potere e fame. Nella maggior parte dei casi, sono le persone e i gruppi con meno potere sociale, economico o politico – quelli che sono discriminati o svantaggiati, come le donne, le minoranze etniche, i popoli indigeni, gli abitanti delle zone rurali e i poveri – a essere le principali vittime della fame e della malnutrizione. Questi gruppi sono direttamente interessati dalle politiche agricole e alimentari, ma hanno poca voce in capitolo nelle discussioni strategiche, dominate da governi, imprese e organizzazioni internazionali. Analizzando il ruolo che il potere gioca nella creazione di queste disuguaglianze interne al sistema alimentare e consentendo a tutti i cittadini – soprattutto i più svantaggiati – di prendere parte ai processi decisionali sarà possibile contribuire alla risoluzione delle disuguaglianze nutrizionali.
L’Indice Globale della Fame 2017 offre quindi delle raccomandazioniper affrontare gli squilibri di potere, nonché le leggi, le politiche, gli atteggiamenti e le pratiche che li intensificano e li perpetuano, al fine di mitigare l’impatto della fame sui più vulnerabili. I governi nazionali, il settore privato, la società civile e le organizzazioni internazionali devono agire subito, se aspirano a ridurre le disuguaglianze e a raggiungere l’Obiettivo Fame Zero entro il 2030.