Come preannunciato in un recentissimo articolo della redazione (leggi l’articolo) l’Oxfam Briefing Paper di gennaio 2017, dedicato alle diseguaglianze e all’attuale distribuzione della ricchezza, contiene dati sconcertanti. La ricchezza si concentra progressivamente in pochissime mani lasciando alla stragrande maggioranza dell’umanità solo le briciole.
I paradossi della diseguaglianza illustrati dai dati Oxfam sono, talora, difficilmente immaginabili:
- dal 2015 l’1% più ricco dell’umanità possiede più ricchezza netta del resto del Pianeta;
- oggi otto persone possiedono tanto quanto la metà più povera dell’umanità;
- nei prossimi 20 anni 500 persone trasmetteranno ai propri eredi 2.100 miliardi di dollari: è una somma superiore al PIL dell’India, Paese in cui vivono 1,3 miliardi di persone;
- tra il 1988 e il 2011 i redditi del 10% più povero dell’umanità sono aumentati di meno di 3 dollari all’anno mentre quelli dell’1% più ricco sono aumentati 182 volte tanto;
- un amministratore delegato di una delle 100 società dell’indice FTSE guadagna in un anno tanto quanto 10.000 lavoratori delle fabbriche di abbigliamento in Bangladesh;
- negli Stati Uniti, secondo le nuove ricerche condotte dall’economista Thomas Piketty, negli ultimi 30 anni i redditi del 50% più povero sono cresciuti dello 0%, mentre quelli dell’1% più ricco sono aumentati del 300;
- in Vietnam la persona più ricca del Paese guadagna in un solo giorno più di quanto la persona più povera guadagna in 10 anni.
Ma, forse, l’espressione più efficace per descrivere lo stato delle cose consiste nell’opposizione tra l’economia per l’1% e l’economia per il 99%. All’esame di questa dicotomia sono dedicate alcune pagine del documento citato che di seguito riportiamo. Vi invitiamo a leggerle con attenzione perché, in modo schematico e apparentemente semplice, viene rappresentata la drammatica alternativa dei nostri giorni. Saremo in grado di sfatare i falsi miti e di correggere drasticamente la rotta?
I FALSI MITI DI UN’ ECONOMIA PER L’1%
L’attuale economia per l’1% si basa su una serie di presupposti errati che stanno dietro gran parte delle politiche, degli investimenti e delle attività di governi, imprese e individui ricchi, e che trascurano tutti coloro che vivono in povertà e la società in generale. Alcuni di tali falsi miti riguardano l’economia stessa; altri hanno più a che fare con quella visione dominante dell’economia che gli stessi suoi creatori definiscono “neoliberismo”, e che presuppone erroneamente che il benessere creato al vertice della piramide si diffonda a cascata verso il basso fino a raggiungere tutti. Il FMI ha identificato nel neoliberismo una delle principali cause della crescente disuguaglianza. Finché non sfateremo questi falsi miti non riusciremo ad invertire la rotta:
- Falso Mito n° 1: il mercato ha sempre ragione e il ruolo dei governi dovrebbe essere ridotto al minimo. In realtà il mercato non si è dimostrato il modo migliore di organizzare e attribuire valore alla nostra comune esistenza o di dare un volto al nostro comune futuro.
Abbiamo visto invece come la corruzione e il clientelismo condizionino i mercati a discapito della gente comune e come l’eccessiva crescita del settore finanziario porti la disuguaglianza a livelli estremi. La privatizzazione dei servizi pubblici come la sanità l‘istruzione o il settore idrico si è rivelata un fattore di esclusione per i poveri e specialmente per le donne.
- Falso Mito n° 2: le grandi imprese devono a tutti i costi massimizzare i profitti e i dividendi da distribuire agli azionisti. La massimizzazione dei profitti dà un impulso sproporzionato ai redditi di coloro che sono già ricchi ed esercita un’inutile pressione sui lavoratori, gli agricoltori, i consumatori, i fornitori, le comunità e l’ambiente. Esistono invece alternative per organizzare l’attività imprenditoriale in modo più costruttivo contribuendo ad una maggiore prosperità per tutti, e vi sono moltissimi esempi pratici su come farlo.
- Falso Mito n° 3: l’estrema ricchezza individuale è positiva ed è sintomo di successo, la disuguaglianza non è importante. Al contrario, l’affermazione di una nuova “età dorata” con un’eccessiva concentrazione di ricchezza in pochissime mani, la maggioranza delle quali maschili, è controproducente in termini economici, politicamente corrosiva e pregiudica il progresso collettivo. Si rende necessaria una più equa distribuzione della ricchezza.
- Falso Mito n° 4: la crescita del PIL deve essere il principale obiettivo nella definizione delle politiche economiche. Ma come disse Robert Kennedy nel 1968, “Il PIL misura tutto, tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta”. Il PIL non tiene in considerazione l’enorme mole di lavoro non retribuito svolto dalle donne in tutto il mondo; non tiene conto della disuguaglianza, cioè del fatto che un Paese come lo Zambia può registrare una forte crescita del PIL e veder crescere allo stesso tempo il numero dei suoi poveri.
- Falso Mito n° 5: il nostro modello economico non è sessista. In realtà i tagli ai servizi pubblici la precarietà occupazionale e la violazione dei diritti dei lavoratori colpiscono maggiormente le donne. La presenza femminile nei posti di lavoro più precari e peggio retribuiti è sproporzionatamente più alta di quella maschile; sono le donne a svolgere la maggior parte del lavoro di cura non retribuito, di cui non si tiene conto nel calcolo del PIL ma senza il quale le nostre economie non potrebbero funzionare.
- Falso Mito n° 6: le risorse del Pianeta sono illimitate. Questo presupposto non soltanto è errato ma potrebbe anche avere conseguenze catastrofiche per il pianeta. Il nostro modello economico si basa sullo sfruttamento dell’ambiente, ignorando i limiti di ciò che il pianeta può sostenere. Proprio il sistema economico è il principale responsabile di quel cambiamento climatico che ormai sfugge al nostro controllo.
Questi sei falsi miti devono essere rovesciati, e alla svelta. Sono obsoleti, retrogradi e non hanno generato né prosperità condivisa né stabilità. Ci stanno spingendo verso il baratro. Vi è urgente bisogno di un modello alternativo per il funzionamento della nostra economia: un’economia umana.
UN’ECONOMIA UMANA PENSATA PER IL 99%
Dobbiamo creare insieme un nuovo senso comune e rovesciare completamente la prospettiva, dando vita a un’economia umana il cui principale obiettivo sia quello di favorire l’interesse del 99% e non quello dell’1%. La fascia sociale che dovrebbe trarre enorme vantaggio dalle nostre economie è quella dei poveri, a prescindere dal fatto che si trovino in Uganda o negli Stati Uniti. L’umanità possiede un incredibile talento, enormi ricchezze e un’immaginazione sconfinata: dobbiamo combinare questi tre fattori per creare un’economia più umana che vada a vantaggio di tutti, non soltanto dei pochi privilegiati.
Un’economia umana garantirebbe società migliori e più eque, assicurerebbe posti di lavoro sicuri con retribuzioni dignitose, tratterebbe uomini e donne con pari dignità; nessuno dovrebbe più preoccuparsi per il costo delle cure mediche, tutti i bambini avrebbero la possibilità di realizzare il proprio potenziale. La nostra economia prospererebbe entro i limiti posti dal Pianeta e lascerebbe ad ogni nuova generazione un mondo migliore e più sostenibile.
I mercati sono il motore vitale della crescita e della prosperità, ma non possiamo continuare a far finta che sia il motore a guidare la macchina o a decidere qual è la direzione migliore da prendere. I mercati devono essere gestiti in modo oculato e nell’interesse di tutti affinché i proventi della crescita siano equamente distribuiti, il cambiamento climatico sia affrontato in maniera adeguata e sanità ed educazione siano una prerogativa di molti, specialmente (ma non solo) nei Paesi più poveri.
Un’economia umana avrebbe tutta una serie di componenti essenziali atti a contrastare i problemi che hanno determinato l’attuale crisi della disuguaglianza. Il presente rapporto si limita a tratteggiarne alcuni, offrendo in tal modo una base da cui partire.
In un’economia umana:
- I governi lavoreranno per tutti i cittadini. Governi responsabili: è questa l’arma più potente contro la disuguaglianza estrema e la chiave per un’economia umana. I governi devono prestare ascolto a tutti, non soltanto a una ricca minoranza e ai suoi lobbisti. Dobbiamo assistere ad un rafforzamento dello spazio civico, specialmente per dare voce alle donne e ai gruppi emarginati. Più i governi sono responsabili, più le nostre società saranno giuste.
- I governi collaboreranno, non si limiteranno a competere. La globalizzazione non può seguitare a tradursi in un’inarrestabile corsa al ribasso in materia di fiscalità e dei diritti dei lavoratori ad esclusivo vantaggio di chi sta ai vertici della società. Dobbiamo porre fine una volta per tutte all’era dei paradisi fiscali. I Paesi devono collaborare su un piano di paritetico per costruire un nuovo consenso globale e generare un circolo virtuoso in cui le grandi imprese e i ricchi individui adempiano in modo equo ai propri obblighi fiscali, l’ambiente sia protetto e i lavoratori ben retribuiti.
- L’impresa lavorerà per il bene di tutti. I governi devono sostenere modelli di business ispirati ad un tipo di capitalismo che generi benefici per tutti e ponga le basi per un futuro sostenibile. I proventi dell’attività imprenditoriale devono andare a coloro che l’hanno resa possibile e realizzata: società, lavoratori e comunità locali. Si deve porre fine alle attività di lobbying da parte delle imprese e ad un insano condizionamento delle istituzioni democratiche. I governi devono fare in modo che le grandi imprese corrispondano salari equi, versino le imposte dovute e si assumano la responsabilità del proprio impatto sul Pianeta.
- Per eliminare la povertà estrema dovremo porre fine all’estrema concentrazione della ricchezza. È necessario porre fine all’attuale “età dorata” che pregiudica il nostro futuro. I super-ricchi devono essere indotti a dare il proprio equo contributo alla società anziché limitarsi a godere di ingiusti privilegi. Ciò significa adempiere correttamente ai propri obblighi fiscali: le imposte che gravano sulla ricchezza e sui redditi più alti devono aumentare per garantire condizioni più eque per tutti, e gli abusi fiscali da parte dei super ricchi devono essere arginati.
- I benefici saranno uguali per uomini e donne. L’uguaglianza di genere è il cuore dell’economia umana per garantire che le due metà dell’umanità abbiano pari opportunità di vita e siano in grado di vivere in modo soddisfacente. Scompariranno per sempre gli ostacoli al progresso femminile, tra cui quelli che impediscono l’accesso all’istruzione e ai servizi sanitari. Non saranno più le convenzioni sociali a dettare il ruolo della donna nella società e, in particolare, il lavoro di cura non retribuito sarà riconosciuto, ridotto e ridistribuito.
- La tecnologia sarà messa al servizio del 99%. Le nuove tecnologie incorporano un enorme potenziale capace di trasformare in meglio le nostre vite. Ciò accadrà tuttavia soltanto con un intervento attivo da parte dei governi, specialmente per quanto riguarda il controllo della tecnologia. L’attività di ricerca pubblica è già alla base di alcune delle maggiori innovazioni degli ultimi tempi, tra cui lo smartphone. I governi devono intervenire per far sì che la tecnologia contribuisca a ridurre la disuguaglianza e non ad aggravarla.
- L’economia umana sarà alimentata da energie sostenibili e rinnovabili. I combustibili fossili sono stati il motore della crescita economica fin dall’era della rivoluzione industriale, ma sono incompatibili con un’economia che mette al primo posto i bisogni della maggioranza dell’umanità. L’inquinamento atmosferico derivante dalla combustione del carbone causa milioni di morti premature in tutto il mondo, mentre le devastazioni indotte dal cambiamento climatico colpiscono più duramente i soggetti più poveri e vulnerabili. Le fonti energetiche sostenibili e rinnovabili possono consentire accesso universale all’energia e crescita pur nel rispetto dei limiti posti dal pianeta.
- Sarà valutato e misurato ciò che conta veramente. Dobbiamo valutare il progresso umano utilizzando misure alternative al PIL, scegliendo tra i tanti indicatori disponibili. I nuovi indicatori devono tenere pienamente conto del lavoro non retribuito svolto dalle donne in tutto il mondo; devono riflettere non soltanto il volume dell’attività economica ma anche il modo in cui reddito e ricchezza sono distribuiti; devono essere strettamente legati alla sostenibilità e contribuire alla costruzione di un mondo migliore per noi e per le generazioni future. Ciò consentirà di misurare il reale progresso delle nostre società.
Possiamo e dobbiamo costruire un’economia più umana prima che sia troppo tardi.