A pochi giorni dalla celebrazione della Giornata mondiale della libertà di stampa (3 maggio) arrivano notizie incoraggianti per i giornalisti e i lettori del nostro Paese. La consueta classifica stilata annualmente da Reporters sans Frontieres, l’organizzazione per la libertà dell’informazione, fotografa un netto balzo in alto per l’Italia che guadagna 25 posizioni nella classifica mondiale passando dal 77esimo al 52esimo posto.
Seppure il Belpaese sia ancora troppo lontano dalla vetta della classifica, occupata dai Paesi del Nord Europa come Norvegia e Finlandia, si tratta comunque di un miglioramento che non può che rallegrare operatori del settore e popolo. Quanto alle motivazione che bloccano l’Italia oltre il 50esimo posto della classifica, restano “intimidazioni verbali o fisiche, provocazioni e minacce”, e “pressioni di gruppi mafiosi e organizzazioni criminali”. Tra i problemi indicati anche l’effetto di “responsabili politici come Beppe Grillo che non esitano a comunicare pubblicamente l’identità dei giornalisti che danno loro fastidio“.
Se per l’Italia, dunque, le notizie sono parzialmente positive, la fotografia scattata da Reporters Sans Frontieres (RSF) attraverso il suo rapporto 2017 è tutt’altro che rassicurante. Al contrario, l’organizzazione con base in Francia che vigila sullo stato dell’informazione, evidenzia come mai la libertà di stampa sia stata così minacciata. La situazione viene definita “difficile” o “molto grave” in 72 paesi, fra cui Cina, Russia, India, quasi tutto il Medio Oriente, l’Asia centrale e l’America centrale, oltre che in due terzi dell’Africa. Ventuno i paesi classificati come “neri”, in cui la situazione della libertà di stampa è “molto grave”: fra questi Burundi (160° su 180), Egitto (161) e Bahrein (164). Ultima assoluta, come negli ultimi anni, la Corea del Nord, preceduta da Turkmenistan ed Eritrea. Male anche Messico (147) e Turchia (155). In testa alla classifica, come abbiamo già anticipato, sempre i Paesi del Nord Europa, ma la Finlandia cede il primo posto che deteneva da 6 anni alla Norvegia, a causa di “pressioni politiche e conflitti d’interesse”.