L’approfondimento trae spunto dal Rapporto italiano della Social Impact Investment Task Force istituita in ambito G8 pubblicato a fine 2014 dal titolo “La finanza che include: gli investimenti ad impatto sociale per una nuova economia”.
Tale lavoro è il risultato di un impegno collettivo, frutto di analisi, riflessioni e approfondimenti condotti dalla Task Force internazionale dell’Advisory Board Italiano e dai Gruppi di Lavoro italiani, con il contributo di ACRI, BCC – Federcasse, UBI Banca, l’Ente nazionale per il Microcredito, Human Foundation, Politecnico di Milano, Università La Sapienza di Roma (inserire link per tutti). Inoltre, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministero degli Affari Esteri hanno seguito con costante attenzione il suddetto lavoro.
Leggendo il Rapporto, si ha una chiara definizione di impact investing: è un’attività di investimento in imprese, organizzazioni e fondi che operano con l’obiettivo di generare un impatto sociale misurabile e compatibile con un rendimento economico. L’impact investing si distingue per:
• l’intenzionalità dell’investitore di generare un impatto sociale;
• l’aspettativa di un rendimento economico che motiva l’investitore;
• la flessibilità del tasso di rendimento atteso che può posizionarsi al di sotto del livello medio di mercato o allinearsi ai rendimenti di mercato;
• la varietà degli strumenti finanziari utilizzati e delle forme di intervento che spaziano dal debito all’equity puro;
• la misurabilità dell’impatto, fondamentale per assicurare trasparenza e accountability.
Ripercorrendo la storia e le origini della finanza ad impatto sociale, vediamo come sia nata e si sia sviluppata nei mercati a matrice anglosassone. Seppur con le dovute differenze, Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Canada sono, per esperienze operative in atto e per diffusione conoscitiva del fenomeno, i Paesi all’avanguardia nell’impact investing. Negli Stati Uniti, tra le determinanti principali del mercato dell’impact finance è possibile annoverare il riposizionamento strategico di alcune fondazioni filantropiche che, in periodo di crisi finanziaria, hanno ripensato le loro modalità di intervento e contribuito a gettare le fondamenta degli investimenti ad impatto. Nel Regno Unito, la crescita dell’impact investing è frutto dell’azione istituzionale che, a partire dal 2000 con Tony Blair, ha dato vita ad un ecosistema complesso il cui perno operativo è Big Society Capital, un intermediario finanziario dedicato all’impact investing e finanziato da fondi pubblici e risorse provenienti dal settore bancario privato.
In Italia, la finanza sociale vanta una lunga storia, che trae le sue origini nell’operatività di soggetti, profit e non-profit, da sempre attenti ai bisogni sociali dei cittadini e delle comunità: le cooperative, le istituzioni mutualistiche, le casse di risparmio, le banche di credito cooperativo, le casse peota, le fondazioni bancarie. D’altro canto, l’accesso al capitale privato sta mutando anche in virtù del fatto che operatori profit-oriented prestano maggiore attenzione all’impatto sociale delle proprie azioni. L’ingresso nel mercato di nuovi operatori è anche stimolato da una domanda crescente di servizi determinata dall’emergere di nuovi e differenti bisogni.
Se l’innovazione è sostenuta, prima di tutto, dal nascente interesse da parte di nuovi soggetti, lo è altrettanto dalla possibilità – e necessità – di sperimentare l’utilizzo di nuovi strumenti, come, ad esempio, i social impact bond, i local impact fund, gli innovation fund – fondamentali per lo sviluppo futuro di questo mercato. La convivenza tra elemento sociale ed elemento economico rende difficile stabilire una definizione univoca del mercato della finanza ad impatto sociale. Domanda ed offerta, infatti, risultano trasversali ai mercati della finanza tradizionale e, al tempo stesso, intersecano quelli tipici del non-profit.
In Italia gli strumenti di equity sono caratterizzati da uno stadio di crescita molto limitato o inesistente, rispetto a quelli di debito. Tra gli strumenti di equity più evoluti si annoverano quelli di venture philanthropy e i social impact funds.
Per venture philanthropy si intende una serie di iniziative che mirano a costruire organizzazioni sociali più solide fornendo loro sostegno sia di tipo finanziario sia non finanziario (es. capacity building), con l’obiettivo di incrementarne l’impatto sociale. L’approccio di venture philanthropy contempla ugualmente l’utilizzo dell’investimento sociale e delle donazioni e solitamente prevede un coinvolgimento più complesso con un orizzonte temporale più lungo rispetto ad un programma di accelerazione.
I Social impact funds sono fondi che investono sotto forma di capitale di rischio in imprese o organizzazioni con l’obiettivo di generare un impatto sociale o ambientale misurabile insieme ad un ritorno di tipo finanziario.
Facendo una ricerca di modelli operativi del Venture Capital, abbiamo analizzato Oltre Venture che canalizza risorse finanziarie verso iniziative innovative e efficienti e offrendo agli imprenditori competenze manageriali e finanziarie. Promuove e supporta aziende che operano nei settori sociali, e in particolare nella sanità, nell’educazione, nell’housing sociale, nell’area dei servizi alla persona, nell’inserimento lavorativo e nello sviluppo economico di attività in aree geografiche depresse. L’obiettivo delle aziende in cui investe è quello di sviluppare nuove e migliori soluzioni per affrontare i bisogni sociali e collettivi, creando valore non solo per gli azionisti, ma anche per gli utenti e per l’intera collettività.
Nell’ambito della finanza a impatto sociale, evidenziamo un’importante best practice: la Fondazione CRT rese possibili i IX Giochi Paralimpici Invernali di Torino 2006 con un contributo straordinario di 20 milioni di euro. A distanza di 10 anni, la Fondazione sostiene i festeggiamenti del decennale che si terranno in data 26/27/28 febbraio 2016 (http://www.to2016.it).
Per la Fondazione CRT le Paralimpiadi sono state anche un punto di partenza. Da allora, infatti, la Fondazione ha promosso molti progetti per migliorare l’inclusione delle persone con disabilità e l’accessibilità del nostro territorio: da Vivomeglio, ai corsi di formazione degli operatori museali per accogliere visitatori in difficoltà. Sempre sul fronte turistico, l’itinerario nel centro storico di Torino ToTourForAll, progettato per essere accessibile a tutti tramite app. E ancora: String Box e BookingAble.com, due nuove opportunità per viaggiatori con disabilità, ispirate rispettivamente allo Smart Box e al celebre sito Booking.com. Ultimo, in ordine di tempo, il contributo di oltre 700.000 euro che la Fondazione CRT ha dato alla Città di Torino per l’inclusione dei bimbi con disabilità nei nidi e nelle materne.