Il Bangladesh è uno dei pochi Paesi musulmani in cui la prostituzione è legale e proprio qui, a Kandapara, è situato il bordello più antico del posto. Al suo interno vivono circa 200 donne, molte di queste sono ancora bambine di appena 12 anni di età. Qualcuna di loro è addirittura nata entro le mura di questa fabbrica infernale, perché figlia di madre impiegata nell’esercizio del mestiere da tempo immemore.
Le altre minorenni vi arrivano trasportate dal vento dell’estrema povertà delle famiglie che non hanno mezzi per mantenerle e scelgono di affidarle al bordello, altre ancora vi entrano per saldare dei debiti con i loro aguzzini ma raramente ne escono: anni e anni di quel tipo di vita sono un ostacolo insormontabile per il reinserimento in società, soprattutto in un contesto, quello musulmano, in cui alla donna vengono concesse possibilità di riscatto pari allo zero. Così finiscono per rassegnarsi, rinunciando per sempre ai propri diritti. In questo lager della prostituzione, infatti, sin dal momento in cui le ragazze vengono vendute divengono una proprietà esclusiva del gestore del bordello. Molto spesso sono proprio i mariti delle sventurate a raggiungere accordi con i malfattori che ne affidano l’addestramento alle “madame” le donne più esperte del posto.
Qui vigono regole severissime. Al contrario di quanto avviene in tutto il Paese – dove le donne indossano l’hijab – le giovani devono avere il capo completamente scoperto, truccato, abbigliato in maniera tale da richiamare l’attenzione dei clienti. Guadagnano circa 9 euro per atto sessuale e sono costrette a “intrattenere”, quotidianamente, una media di circa 15-20 uomini.
Non si creda tuttavia che queste ragazze vivano in condizioni prospere, anch’esse sono vittime di una povertà dilagante; non a caso, è stato riscontrato che per nascondere il proprio stato di salute vengano spesso costrette ad assumere l’Oradexon, uno steroide diffuso tra gli agricoltori che serve ad aumentare il peso dei bovini con il risultato che, sull’essere umano, tale tipo di sostanza comporta mal di testa, problemi alla cute, diabete e altre serie patologie.
Nel corso del 2014, grazie all’intervento di alcune ong locali, il bordello di Kandapara fu chiuso, misura però che servì a poco perché in men che non si dica tutto fu rimesso in piedi, nell’opinabile convinzione, da parte degli uomini, che le donne fossero felici di fare quel mestiere. E, fatto ancora più grave, intervenne direttamente la Bangladesh National Women Lawyers Association a dire che con quella chiusura non si stava difendendo la dignità di quelle donne e aggiungendo che licenziare delle lavoratrici costituisse atto illegale. Con la benedizione dell’Alta corte rieccoti allora la casa di tolleranza del Bangladesh.
Ci si augura che lo sforzo congiunto delle numerose associazioni umanitarie, unitamente all’indignazione dell’opinione pubblica, possa impedire che l’inferno di Kandapara venga dimenticato, fino a intervenire in maniera risolutiva sanando una piaga atroce che coinvolge, in quanto donne, tutte le donne e in quanto esseri umani, tutti gli esseri umani.