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L’Onu vieta le armi nucleari, ma la strada per il disarmo è ancora lunga

L’Onu mette finalmente al bando le armi nucleari, ma l’obiettivo auspicato dello smantellamento di tutti gli arsenali presenti (10 in totale nel mondo) è ancora molto lontano. Nei giorni scorsi, infatti, le Nazioni Unite hanno formalmente adottato un trattato che proibisce l’uso delle armi nucleari, le uniche finora a non avere un documento che le vieti.

Dopo un lungo negoziato, utile a modificare e migliorare più volte il documento, il Trattato è stato approvato da 122 Paesi (un astenuto, Singapore, e un voto contrario, l’Olanda) e accolto con 5 minuti di applausi. Ma questo non basta a gridare vittoria dal momento che le potenze nucleari – Usa, Russia, Francia, Israele, Gran Bretagna, Cina, India, Pakistan e Corea del Nord – e i Paesi della Nato, molti dei quali ospitano testate nucleari degli Stati Uniti, non hanno aderito e partecipato ai negoziati definendo gli obiettivi dei negoziati “ingenui e irraggiungibili” soprattutto alla luce della minaccia nordcoreana.

Anche l’Italia ha scelto di disertare i lavori e la votazione finale, insieme a tutti gli alleati occidentali che hanno seguito la direttiva di Washington di sabotare il trattato. Perfino il Giappone ha seguito gli ordini americani nonostante i numerosi appelli alla partecipazione provenienti dai sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki.

Si tratta tuttavia di un documento storico che va a sommarsi a trattati simili succedutisi negli anni e che hanno stabilito di volta in volta l’illegalità delle armi biologiche (1972), chimiche (1993), delle mine (1997), delle bombe a grappolo (2008), il cui uso è classificato come un crimine nel diritto internazionale.

Il documento approvato si è reso necessario anche alla luce del debolissimo impatto del Trattato di Non Proliferazione del 1970 e del suo art. VI che imponeva «trattative in buona fede per concludere quanto prima un disarmo nucleare e generale». In questo ultimo mezzo secolo, infatti, non solo le armi nucleari non sono sparite, ma al contrario il numero di testate negli arsenali nucleari mondiali è più che raddoppiato, passando da 30.000 a 70.000, e il numero di Stati dotati di armi nucleari è passato da 6 a 9, senza considerare il Sudafrica che dopo aver essersi dotato di un arsenale lo ha poi smantellato.

Ma vediamo cosa prevede il Trattato.

Innanzitutto la sua importanza sta nel fatto che rappresenta un riconoscimento delle “catastrofiche conseguenze umanitarie” delle armi nucleari, e che la loro completa eliminazione “rimane il solo modo di garantire che esse non siano mai usate in qualsiasi circostanza”.

Il cuore del Trattato si incontra già all’articolo 1 che vieta in termini molto fermi agli Stati che vi aderiranno di: sviluppare, testare, produrre, acquisire qualsiasi dispositivo nucleare esplosivo, qualunque sia la sua potenza; trasferirli o riceverli a/da chicchessia; consentirne lo schieramento (vieta quindi esplicitamente il nuclear sharing, in base al quale l’Italia ospita circa 70 testate termonucleari statunitensi); assistere, incoraggiare o indurre chicchessia in siffatte azioni proibite. Il trattato dunque non vieta solo l’uso delle armi nucleari, ma anche la minaccia, negandone quindi la legittima deterrenza e la corsa agli armamenti (basti pensare a quanto successo durante la Guerra Fredda).

L’art. 4 fa riferimento al percorso “Verso la totale eliminazione delle armi nucleari”, e l’art. 12 impegna gli Stati aderenti a farsi promotori del bando presso gli altri Paesi, in modo che il Trattato raggiunga l’universalità. Il Trattato inoltre garantisce una specifica assistenza ai colpiti dall’uso o dalla sperimentazione di armi nucleari, e sancisce la necessità di bonifica ambientale (articolo 6).

Il Trattato sarà aperto alle firme il 20 settembre, ed entrerà in vigore entro 90 giorni dopo la ratifica di almeno 50 Paesi. Esso prevede la prima revisione ufficiale 6 anni dopo l’entrata in vigore, ma emendamenti, secondo l’art. 10, possono essere proposti e fatti circolare in ogni momento. Essi possono essere approvati dalle riunioni degli Stati aderenti e dalle Conferenze di revisione con una maggioranza qualificata di 2/3. Gli emendamenti entrano in vigore dopo che la maggioranza degli Stati aderenti al momento dell’adozione depositano la ratifica.

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Redazione