L’Unicef torna a parlare in occasione della recentissima Giornata mondiale contro l’impiego dei bambini soldato, ricordando a un mondo piuttosto indifferente le migliaia di minori che vengono addestrati, reclutati e mandati a morire nei tanti conflitti che piagano il nostro Pianeta.
In modo particolare, l’Agenzia umanitaria vuole incentrare l’attenzione su quanto sta accadendo nel Sud Sudan dove è in corso una guerra da più di 3 anni che sta facendo una carneficina anche tra i bambini, reclutati in 1.300.
Mentre papa Francesco, consapevole della follia di quella che ormai è diventata una consuetudine, chiede a gran voce che sia eradicata questa barbarie, l’Unicef fa i conti e c’è da star male: in Sud Sudan sono stati impiegati più di 17.000 bambini dal 2013, anno dell’inizio delle ostilità. Di questi, 2.342 sono stati uccisi o rimasti mutilati; 3.090 risultano rapiti; 1.130 hanno subito abusi sessuali. In totale, 1.932 minori sono stati rilasciati, di cui 1.755 nel 2015 e solo 177 nel 2016.
Se lasciamo il Sud Sudan e invece consideriamo la situazione nel resto del mondo, è possibile fare delle stime ma è impossibile avere dei dati precisi. Tuttavia c’è da mettersi le mani nei capelli stando all’Unicef: almeno 250.000 minorenni, tra ragazzi e ragazze – se non di più – sono attualmente impiegati nelle guerre in corso, mentre a migliaia corrono il rischio di essere arruolati da un momento all’altro. La fascia d’età media di minori coinvolti è compresa tra i 14 e i 18 anni, tuttavia non è raro riscontrare casi di fanciulli con età inferiore (10 – 13 anni) e, addirittura, a scendere. Svolgono ogni tipo di mansione: soldati, facchini, messaggeri, cuochi, scudi umani.
Il presidente Unicef Italia Giacomo Guerrera è stato molto chiaro: «Non possiamo aspettare la pace per aiutare i bambini intrappolati nelle guerre. Dobbiamo investire in interventi concreti per tenerli lontani dalle linee di combattimento, soprattutto attraverso l’istruzione e il sostegno economico». E, continua: «L’Unicef opera per rispondere ai bisogni specifici e ai diritti dei bambini e delle bambine vittime dei conflitti armati, promuovendo interventi immediati e a lungo termine di sostegno psico-sociale, educativo e di formazione professionale. Solo nel 2015 l’Unicef ha assicurato il rilascio di più di 10.000 bambini da forze o gruppi armati e ha contribuito a reintegrare 8.000 bambini».
Numeri positivi, questi, che non pareggiano il conto di quelli negativi ma sono certamente azioni importantissime perché, dietro le cifre, ci sono migliaia di vite salvate. Il lavoro dell’Unicef, tra le altre cose, sta nella prevenzione di fenomeni di questo genere. Più si tengono lontani i bambini da situazioni pericolose, fornendo loro un’istruzione, del cibo e l’accesso ai servizi sanitari, minori saranno le possibilità che questi cadano vittime di figuri senza scrupoli. Inoltre, per tutti quei ragazzi che vengono recuperati da questi discutibili eserciti, l’Unicef attua programmi guidati di reinserimento e mediazione familiare in ogni parte del mondo, offrendo la possibilità di una vita normale, tra percorsi di scolarizzazione, aiuto psicologico dopo i drammi vissuti, oltre a prevedere percorsi di recupero per tutte quelle bambine – ma anche bimbini – vittime per anni di abusi e violenze sessuali.