Mai stata in ginocchio è l’opera prima di Paola Leccese, pubblicata per i tipi di Riccardo Condò Editore. Novanta pagine intense e complesse in cui l’autrice teatina racconta fatti, incontri e storie della sua vita, con una scrittura sempre scorrevole, rapida, a volte tagliente. Si alternano registri diversi: un forte pudore dei sentimenti, giudizi talora “spietati”, una costante vena d’ironia.
Mai stata in ginocchio è un titolo perfetto perché capace di affascinare il lettore ben prima di renderlo consapevole delle sue motivazioni, in grado di evocare forza e dignità senza nulla conoscere della narrazione. In realtà Paola Leccese non è mai stata in ginocchio perché a quattro mesi ha contratto la poliomielite che ha lasciato nel corpo “l’indelebile traccia del suo passaggio”. Ma non è mai stata in ginocchio, soprattutto, perché affronta la vita a viso aperto o – come avrebbe detto Pierangelo Bertoli – “a muso duro”, senza piegarsi alla sofferenza e alle difficoltà, alla rassegnazione e ai luoghi comuni. Non è mai stata in ginocchio neppure per pregare e ha dovuto chiedere “al capo di chinarsi al posto delle gambe”.
Non aspettatevi, però, un romanzo sulla disabilità. “Handicap. Malattia. Diversa abilità. Disabilità. Diversabilità. Definizioni di realtà che non si riesce a recingere all’interno della normalità, senza pensare che, semplicemente, l’handicap è uno dei diversi modi in cui può esprimersi la natura umana e che anche l’essere diversi, nel fisico come nella psiche, non è omologabile entro schemi fissi di bisogni e di esperienze, come avviene anche nel mondo dei normodotati”.
E così nelle pagine del libro scorre la storia di Paola, a partire dalla famiglia d’origine con mamma Elsa e papà “Giuseppe, per tutti Peppino”, passando attraverso luoghi, incontri, persone care, per giungere alla sua famiglia e all’amato figlio Stefano. Sullo sfondo l’ambivalente rapporto con Chieti, la sua città.
Di grande intensità le pagine dedicate alla madre, una giovane donna di provincia chiamata, tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60, all’arduo compito di aiutare a crescere la figlia, affrontando con serenità e determinazione la poliomielite. Un racconto capace di descrivere un rapporto decisivo, fondante, pieno d’amore reciproco senza nascondere paure, problemi, frizioni. “La ringrazio anche per le paure che mi ha trasmesso, perché la fatica di vincerle mi ha reso ogni volta più forte, più libera e più serena. Con lei non mi sono mai sentita una figlia diversa, obbligatoriamente da viziare e proteggere, quasi a pareggiare i conti con la sorte”.
Altrettanto importanti le pagine dedicate all’amica Giovanna – tra le più belle del romanzo – e al figlio Stefano.
Un’attenzione particolare l’autrice dedica alla descrizione dei luoghi che hanno segnato il suo percorso – dagli ospedali agli istituti religiosi, dalle scuole al Consiglio Comunale – e ai colori evocati da oggetti e situazioni: “il blu della lampada della sala operatoria e delle lunghe notti insonni in ospedale”, il “tipico colore grigio-verde, chissà quanto volutamente militare e asettico” degli arredi in fòrmica del Reparto Dozzinanti, il “color arancio che scalda il cuore” dell’adorata cucina, il “famoso rosso ducati” della moto di Stefano.
Infine, piace segnalare un tema che attraversa sotterraneamente l’intera narrazione, per irrompere sulla scena con grande forza: il rapporto con Dio. Una relazione così profonda che l’autrice ha la sfrontatezza di rivolgersi a Dio senza mediazioni. “Eccomi Dio. (…) Se tu sei l’origine della vita e la fonte della sua sacralità, perché nei secoli la tua Chiesa ha preteso di spiegare tutto con il termine vuoto e inutile della ‘prova’, facendoti diventare, in una bizzarra alternanza, ora Dio che punisce ora Dio che salva?”. Anche in questo caso, un confronto adulto dove la ricerca è fatica e alla certezza si affianca il dubbio. “Beh, Dio io una sorta di soluzione, con fatica, molta fatica, l’ho trovata. Anche perché non mi va di starti troppo lontana, non fosse altro per tutte le volte che ti ho cercato e tu non ti sei negato”.
Un’ultima considerazione. Mai stata in ginocchio rappresenta un esordio convincente. Una scrittura veloce, incisiva e in alcuni passaggi davvero felice, consente una lettura tutta d’un fiato. La storia, di taglio autobiografico, coinvolge e, a tratti, affascina. Non rimane che sperare di leggere, a breve, un nuovo romanzo di Paola Leccese, a conferma della sua vocazione letteraria.