Sicuramente molti consumatori si sono accorti che sugli scaffali dei supermercati di tutta Italia manca il rifornimento adeguato di un alimento importante: le uova. La denuncia è arrivata anche dal Codacons che ha riferito di un aumento di prezzi sconsiderato sul prodotto a causa appunto della sua carenza.
Ci sono delle ragioni ben precise per questo fenomeno, tra le quali la prima è certamente l’emergenza Fipronil (ne avevamo parlato qui) e la seconda è dovuta al ritorno dell’influenza aviaria che è tornata a colpire in Europa con diverse mutazioni: non più solo il ceppo H5N1 ma anche N2, 5, 6, 8 e 9.
Per quanto riguarda il Fipronil, molti allevamenti lo hanno usato illegalmente ma il suo utilizzo ha avuto conseguenze pesanti dal momento che ha causato l’abbattimento di centinaia di migliaia di galline e la conseguente sanificazione dei locali degli allevamenti stessi, che impiega diverse settimane per essere portata a termine. La fase acuta del problema si è esaurita a settembre ma naturalmente in questi stabilimenti la produzione di uova ha dovuto obbligatoriamente fermarsi e occorrerà tempo per riportare la produzione di uova ai livelli precedenti.
Invece, per quanto riguarda l’influenza aviaria il problema è, se possibile, anche più serio: se infatti è vero che in generale le uova scarseggiano, le uova biologiche – qui avevamo spiegato come distinguerle – sono diventate praticamente introvabili. Spiega infatti Gian Luca Bagnara, presidente di Assoavi: «La contaminazione arriva soprattutto dagli uccelli selvatici migratori che, con il clima ancora troppo caldo, rimangono sul nostro territorio più del solito».
Va evidenziato che per legge gli allevamenti biologici devono tenere le galline all’aria aperta e in questo modo è ovviamente più facile che vengano in contatto con escrementi di uccelli selvatici, contraendo quindi il virus dell’aviaria.
Per forza di cose negli stabilimenti dove è stato riscontrato il virus non solo viene reso obbligatorio l’abbattimento degli animali, ma si impone anche un blocco alla movimentazione dei capi in un raggio di tre chilometri per un mese, ottenendo quindi il risultato di isolare l’allevamento colpito per 30 giorni prima che possano essere introdotti nuovi capi.
Facciamo tristemente notare quindi come ancora una volta il cambiamento di clima influenza la vita, nostra e di tutti gli esseri viventi del nostro pianeta.