Manie di perfezionismo? Ne sono sempre più vittime i giovani e giovanissimi e la colpa è anche e soprattutto dei social network. E’ quanto emerge da un’indagine pubblicata su Psychologycal Bullettin che evidenzia come i cosiddetti Millennials, cioè i nati più o meno dall’inizio degli anni Ottanta alla fine dei Novanta, siano più propensi al perfezionismo anche a costo di rimetterci la salute, almeno quella mentale.
Lo studio ha analizzato i dati raccolti tra oltre 40mila studenti di college statunitensi, canadesi e britannici fra la fine degli anni Ottanta e lo scorso anno. Ogni partecipate ha compilato una scala di perfezionismo multidimensionale, un test in grado di individuare proprio questo tipo di atteggiamenti. Tre i tipi di profili analizzati: perfezionismo orientato verso se stessi, cioè un irrazionale desiderio di raggiungere la massima condizione possibile; quello orientato verso gli altri; o vittima di eccessive aspettative dalla società, cioè da chi ci sta intorno. I risultati hanno messo in luce come le nuove generazioni ottengano risultati più alti in ciascuna forma di perfezionismo di qualsiasi altra generazione prima di loro. Fra l’89 e il 2016 il primo profilo è aumentato del 10%, il secondo del 16 e l’ultimo, quello che interpreta lo slancio al perfezionismo come aspettativa altrui, del 33%. Una buona notizia? Non proprio, considerando che secondo gli autori dell’indagine, che vede al vertice Thomas Curran, queste tendenze portano con se collegamenti a problemi psicologici come depressione, ansia e istinti suicidi.
Se da un lato, infatti, avere una propensione al perfezionismo, di per sé, non rappresenta un atteggiamento sbagliato, perché consente di migliorarsi costantemente, dall’altro però non è affatto normale che questa necessità sia dettata più dal dimostrare qualcosa agli altri che a noi stessi. Ma quali sono le ragioni di questo cambio di passo? Tra i fattori analizzati dai ricercatori statunitensi ci sono proprio i social network come Facebook e Instagram.
Queste piattaforme hanno reso molto semplice il confronto e innescato, involontariamente, una competizione che tuttavia non è reale e bilanciata. Troppo spesso, infatti, la realtà virtuale non corrisponde affatto a quella reale e sui social tendiamo a dare un’idea di noi non perfettamente corrispondente al nostro reale vissuto e soprattutto al nostro stato d’animo. Ma questo forse i giovanissimi fanno ancora difficoltà a percepirlo e dunque, vedere le immagini di un amico felice e soddisfatto spesso spingono a una competizione non proprio sana. Certo la competizione non è generata solo dai social network, ci mancherebbe. Chi non ricorda la corsa, sui banchi di scuola, allo zaino più bello o alle scarpette di marca. Ma il problema, semmai, è che i social amplificano le debolezze psicologiche scatenando ancora più atteggiamenti e reazioni spesso nocive.
Il punto è dunque che i Millennials hanno a disposizione uno strumento in più per giudicare la propria esistenza, rispetto ai loro genitori. E la battaglia si svolge a colpi di like, numero di followers e amici vituali. Come uscire da questo circolo vizioso? Il primo passo, suggerisce Curran, è focalizzare su altre qualità della propria personalità (diligenza, flessibilità, perseveranza) piuttosto che guardare alla perfezione come una dimensione monodimensionale. In generale occorrerebbe insomma spostare l’attenzione sui propri traguardi e sui propri desideri, non impostarli o stabilirli in base a quelli degli altri.